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   ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA                                           

 Ultimo aggiornamento: 23.12.2013

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  vedi anche I FARMACI DELL'EMERGENZA

DIAGNOSI E TERAPIA DELLE ARITMIE IPERCINETICHE

 

E. USLENGHI, C. BRUNA, G. ROSSETTI, A. VADO

  

Il nodo del seno è la struttura normal­mente deputata a generare l'attività ritmica di eccitazione del cuore; la sua loca­lizzazione subepicardica all'estremità cra­niale del solco terminale, in prossimità della giunzione tra vena cava superiore e atrio destro, rende ragione della direzione verso sinistra e in basso dell'attivazione atriale: le onde P sinusali sono caratteristi­camente positive in D2 e negative in aVR.

La capacità di generare attività ritmica (attività pacemaker) viene definita “automatismo” ed è mediata dalla depolarizza­zione diastolica lenta delle cellule sinusali: al raggiungimento di un valore “soglia” viene iniziato un potenziale d'azione, pro­pagato alle fibre atriali circostanti. Gli ef­fetti opposti delle catecolamine e dell'ace­tilcolina assicurano la continua modula­zione della frequenza di scarica sinusale in rapporto alle esigenze fisiologiche. Cellule con proprietà di “normale automatismo” sono altresì presenti in altre zone dell'atrio (cresta terminale, setto interatriale) della giunzione atrioventricolare, e possono subentrare al nodo del seno in condizioni di rallentamento fisiologico (ipertono vagale) o patologiche (malattia del nodo del seno, blocco atrioventricolare). Meccanismi elettrofisiologici diversi stanno alla base delle aritmie ipercinetiche:

‑ comparsa di alterato automatismo in cellule di miocardio comune, non capaci in condizioni normali di depolarizzazione diastolica, quando per condizioni patolo­giche il potenziale trasmembrana a riposo è meno negativo;

‑ ritmi da automatismo triggerato (inne­scato): comparsa di depolarizzazionì ano­male solo in seguito a uno stimolo prece­dente, durante le fasi 2‑3 del potenziale d'azione (early afterdepolarizations, post potenzialí precoci) o in fase 4 (delayed af­terdeplarizations, post potenziali tardivi);

‑ aritmie da rientro, rese possibili dal combinarsi di blocco della conduzione in alcune strutture, con il contemporaneo rallentamento della conduzione in altre. Come vedremo, la maggior parte delle ta­chiaritmie riconosce questo meccanismo.

Vengono definite sopraventricolari tut­te le aritmie in cui l'attivazione dei ventri­coli procede dal fascio di His: la caratteristica elettrocardiografica distintiva è quindi la presenza di QRS stretti, quando non sia presente già in ritmo sinusale un blocco di branca, o questo non compaia come fenomeno funzionale legato all'improvvisa accelerazione del ritmo.

   

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DIAGNOSI

 

Il cardiopalmo è in genere l'elemento che fa sospettare un'aritmia: è importante definirne le modalità di insorgenza e regressione (improvvise o graduali), la percezione di un ritmo assolutamente rego­lare (tachicardia parossistica) oppure disordinato (fibrillazione atriale), la frequenza cardiaca durante l'episodio (una frequenza di 150/min suggerisce, per esempio, un flutter atriale). La presenza di cardiopatia postinfartuale o una cardio­miopatia deve far sospettare una tachicar­dia ventricolare; la giovane età o la pre­senza di sindrome di WPW orienteranno verso una TPSV. Da ultimo occorre ricordare che a volte il cardiopalmo è assente, mentre una aritmia è in realtà la responsabile di un episodio sincopale, di angina o di dispnea inspiegate.

L'analisi dell'ECG inizia dai QRS (larghi e aberranti o stretti), quindi prosegue con la ricerca di onde P (sono visibili, di quale polarità nelle varie derivazioni, in rapporto 1: 1, oppure più numerose, o meno numerose dei QRS ?); se in rapporto 1: 1, precedono (PR<RP) o seguono (PR>RP) il QRS?

Ai fini diagnostici si valutano gli effetti sull'aritmia in corso delle manovre vagali, come vedremo in dettaglio.

L'elettrocardiogramma transesofageo può condurre alla diagnosi svelando onde P non visibili all'ECG di superficie; lo studio elettrofisiologico transesofageo permette di valutare l'inducibilità, la possibilità di interrompere l'aritmia, e i precisi rapporti temporali tra attivazione atriale e ventricolare. Lo studio elettrofisiologico endocavitario permette inoltre di definire i parametri di conduzione AV nelle sue componenti (nodo AV e sistema His-Purkinje); di definire la presenza di vie anomale di conduzione, di localizzare e caratterizzare un meccanismo di rientro alla base della tachiarimia in studio mediante le tecniche di stimolazione elettrica pro­grammata e di mappaggio.

 

 

TERAPIA

 

Si avvale di farmaci antiaritmici e pre­sidi non farmacologici. Per i farmaci antiaritmici diversi dalla digitale è comune­mente utilizzata la classificazione di Vaugham-Williams

‑ Gruppo I: bloccanti il canale rapido del sodio;

IA: con effetto deprimente la condu­zione e di allungamento del potenziale d'azione;

IB: con scarso effetto sulla velocità di conduzione;

IC: con marcato effetto deprimente la conduzione e scarso sulla durata del potenziale d'azione.

‑ Gruppo II: beta bloccanti.

‑ Gruppo III: farmaci che allungano il potenziale d'azione per blocco dei canali del potassio.

‑ Gruppo IV: Ca‑antagonisti.

Tra i presidi non farmacologici ha oggi ruolo di assoluta preminenza l'ablazione transcatetere. L'erogazione di corrente al­ternata nella gamma della radiofrequenza (300-750 Hz) dalla punta dell'elettrocatetere in contatto con l'endocardio genera per effetto termico una lesione di necrosi coagulativa a margini ben demarcati, del diametro e profondità di pochi mm.

Le dimensioni circoscritte della lesione evitano le complicanze già osservate con l'ablazione a DC shock (depressione della funzione ventricolare sinistra, rotture della parete, aritmie iper o ipocinetiche), ma richiedono un mappaggio estremamente accurato per localizzare la struttura critica per la genesi dell'aritmia. La tec­nica si è dimostrata in grado di fornire una cura risolutiva nella sindrome di WPW, nelle TPSV giunzionali con efficacia superiore al 90%; con efficacia minore nelle tachicardie e flutter atriali e in alcune forme di tachicardia ventricolare.

La tecnica comporta lunghi tempi di Rx scopia e quindi un'esposizione radiologica non indifferente per il paziente e gli operatori; le complicanze pur ridotte in centri esperti (Blocco AV non intenzionale, tamponamento cardiaco, embolie sistemiche) devono essere attentamente bilanciate in rapporto al rischio e all'importanza dei sintomi legati all'aritmia che si vuole curare.

 

 

EXTRASISTOLIA

SOPRAVENTRICOLARE

 

Extrasistoli sopraventricolari sono mol­to comuni, anche in cuori normali; si fan­no più frequenti in caso di ischemia, dilatazione acuta degli atri (scompenso cardiaco), ipossia, per stress psicofisico o come effetto di farmaci, fumo, caffè, alcol. Elettrocardiograficamente sono contraddistinte da un'onda P anticipata, di aspetto diverso dalla P sinusale in rapporto alla sede del focolaio ectopico, a volte poco riconoscibile se inscritta sull'onda T precedente; usualmente sono condotte con QRS stretto e PR normale, ma il PR può essere allungato o il QRS a blocco di branca se l'extrasistole è molto precoce; l'impulso atriale ectopico può in­fine essere bloccato nella giunzione AV, dando come effetto una pausa anziché un battito prematuro.

Usualmente non è richiesta alcuna terapia oltre alla ricerca e cura della cardiopa­tia di base e alla rimozione dei fattori predisponenti; quando si ritiene preluda a fibrifiazione atriale (post-operatorio, post­cardioversione, dilatazione atriale sn, pericardite, scompenso cardiaco, tireotossicosi) si potranno somministrare beta bloccanti, verapamil, digossina, antiaritmici del gruppo I.

 

 

TACHICARDIE

SOPRAVENTRICOLARI

 

Usualmente a carattere parossistico, pos­sono in alcuni casi avere un andamento incessante o permanente. Nel primo caso il paziente riferisce classicamente l'insor­genza repentina di batticuore rapido, regolare, che mantiene la stessa frequenza fino all'improvvisa interruzione dell'episo­dio.

E’ frequente, durante o dopo l'episodio, la poliuria, dovuta a liberazione di omone natriuretico atriale.

In base al meccanismo elettrogenetico sono classificabili come:

‑ tachicardie da rientro giunzionale (o nodale);

‑ tachicardie da rientro atrioventricolare;

‑ tachicardie atriali (da rientro o automatiche).

 

 

Tachicardia parossistica

sopraventricolare da rientro giunzionale

 

E’ la forma di TPSV di gran lunga più frequente (40-50% di tutte le TPSV). Colpisce ogni età, in assenza o presenza di cardiopatia, con lieve predilezione per il sesso femminile. La frequenza cardiaca può variare da 150 a 250/min.

Il substrato anatomico per il circuito di rientro è localizzato nel nodo AV, coinvol­gendo inoltre la regione atriale circostante, definita dal triangolo di Koch. Nei soggetti predisposti, esistono, all'intemo del nodo AV, due vie funzionalmente: diso­mogenee: una via a conduzione rapida e periodo refrattario lungo (cosiddetta via rapida, localizzata sul versante antero-superiore del nodo AV), e una via a conduzione lenta e periodo refrattario corto (via lenta, che raggiunge, proveniendo dall'ostio del seno coronarico, la porzione posteroinferiore del nodo), che si congiungono quindi nel nodo compatto. Durante il ritmo sinusale il PR è determinato dalla conduzione lungo la via rapida. L'innesco della TPSV è originato da un'extrasistole atriale con un grado critico di prematurità: l'impulso verrà bloccato lungo la via rapida, ancora refrattaria dopo A precedente battito sinusale, e procederà lentamente lungo la via lenta (l'extrasistole sarà condotta con un PR inaspettatamente lungo). Se il ritardo di conduzione lungo la via lenta sarà sufficiente a consentire A recupero della via ra­pida dalla refrattarietà, questa verrà per­corsa, rapidamente, in senso retrogrado e l'impulso, contemporaneamente all'attivazione dei ventricoli, tornerà ad attivare gli atri (“eco” atriale) e, quindi, nuovamente la via lenta in senso anterogrado. In condi­zioni neurovegetative adatte, la condu­zione lungo 9 circuito si perpetua dando così origine alla tachicardia. Il rapporto A/V è costantemente 1:1 (raramente e solo all'innesco delle TPSV si può osservare un rapporto A/V 2:1 per blocco intrahis­siano). L'attivazione quasi contemporanea degli atri (con direzione caudo-craniale) e dei ventricoli spiega le caratteristiche elettrocardiografiche: onde P generalmente non visibili, o sovrapposte al QRS, di cui alterano la parte terminale: apetto a “pseudo S” in DII-DIII-aVF, pseudo r' in V1 .

Oltre a questa forma “tipica” (lenta/rapida, o slow/fast), esistono forme atipiche di tachicardie da rientro giunzionale, presenti nel 10% dei casi: la via rapida può essere percorsa in senso anterogrado e la lenta in senso retrogrado (forma rapida/ lenta, fast/slow), o il circuito avviene fra due vie lente (slow/slow). In questi casi, la separazione della P dal QRS permette di individuarne chiaramente la negatività nelle derivazioni inferiori, positività in aVI e aVR, come atteso in un'attivazione degli atri a partire dal setto interatriale basso; nella forma fast/slow la P precede 9 QRS, nella slow/slow può essere variamente situata tra i QRS.

Le manovre vagali possono interrom­pere la tachicardia (generalmente per blocco della via lenta) in modo improv­viso o dopo breve e modesto rallentamento, o essere del tutto inefficaci. L'induzione di un blocco AV esita sempre nell'interruzione della tachicardia.

 

 

TERAPIA

 

Se le manovre vagali (MSC; manovra di Valsalva) sono inefficaci, la TPSV può es­sere interrotta con la somministrazione e. v. di farmaci che deprimono la condu­zione nel nodo AV. Il Verapamil (5-10 mg), il Diltiazem (0,3 mg/kg), l'Adenosina (3-12 mg) sono efficaci nel 90-100% dei casi entro pochi minuti, e hanno soppian­tato la digitale, meno efficace e ad effetto ritardato (> 30).

La profilassi, da iniziare solo in caso di crisi ricorrenti o mal tollerate, ha effica­cia limitata dall'ampia variabilità delle proprietà elettrofisiologiche nodali in di­pendenza del tono autonomico; si basa sull'impiego di beta bloccanti o calcio antagonisti (Verapamil o Diltiazem), da soli o associati alla digitale. Più efficaci, ma oggi non più utilizzati a causa degli effetti collaterali cardiaci (proaritmia, ef­fetto inotropo negativo) ed extracar­diaci, sono gli antiaritmici del gruppo Ic o III.

Pazienti fortemente sintomatici nono­stante la terapia sono candidati ad abla­zione transcatetere, mirata alla modifica­zione della via lenta, con efficacia superiore al 90% e rischio di indurre un blocco AV intorno al 2 %.

 

 

Tachicardia parossistica da rientro atrio‑ventricolare (TRAV)

 

E’ la seconda forma di TPSV per fre­quenza (30% fra i pazienti sottoposti a studio elettrofisiologico). E’ sostenuta da un macrorientro che comprende l'atrio, il sistema di conduzione nodo‑hissiano in senso anterogrado, i ventricoli e un fascio accessorio atrio‑ventricolare in senso re­trogrado. Quando il fascio accessorio è capace di conduzione anterograda (A>V) è presente all'ECG standard in ritmo sinusale il tipico aspetto da preec­citazione ventricolare (sindrome di WPW). Se il fascio accessorio è capace di sola conduzione retrograda (V>A), viene definito “occulto”, poiché l'ECG in ritmo sinusale è del tutto normale, non essendo mai presente preeccitazione veri­tricolare.

Le caratteristiche elettrofisiologiche della TRAV verranno descritte nella trat­tazione della sindrome di WPW.

Come la TPSV da rientro nodale, si ve­rifica a ogni età, per lo più in assenza di cardiopatia. Elettrocardiograficamente è caratterizzata da QRS ritmici a frequenza 160‑250/min. Poiché per il suo innesco non è necessario un marcato ritardo di conduzione nodale come avviene invece nel rientro nodale, il primo complesso ventricolare della TRAV è piuttosto pre­coce rispetto ai cicli sinusali precedenti e facilmente può instaurarsi un blocco di branca funzionale, che può risolversi dopo alcuni battiti per progressivo adatta­mento della refrattarietà delle branche. Se la scomparsa del blocco di branca si ac­compagna ad accelerazione della tachicar­dia (accorciamento del ciclo RR di almeno 25 msec, fenomeno apparentemente para­dossale), si può porre diagnosi con cer­tezza di TRAV da via accessoria omolate­rale al blocco di branca: il blocco della branca ipsilaterale alla sede della via ac­cessoria causa infatti un prolungamento del circuito di rientro.

 

A un esame attento è spesso possibile individuare onde P in rapporto 1:1 con i QRS; usualmente la P retrograda segue precocemente il QRS (RP'<P'R). L'asse delle P, quando determinabfle, indica la sede di inserzione atriale della via anomala (fig.04x).

Poiché il nodo AV è parte integrante del circuito di rientro, il MSC può termi­nare la tachicardia, ogniqualvolta deter­mini il blocco nodale della conduzione.

 

 

Tachicardia permanente reciprocante

giunzionale

 

E’ una rara tachicardia sopraventricolare ad andamento incessante: ogni interru­zione è seguita dalla ricomparsa della ta­chicardia dopo pochi battiti sinusali (fig.05x). Di riscontro più comune in età infan­tile, può condurre a un quadro di “tachi­cardiomiopatia” a causa dell'alta fre­quenza cardiaca persistente per anni. Caratteristicamente le onde P, negative e profonde in D2, D3, aV_F precedono i QRS (PR<RP); il rapporto AV è obbliga­toriamente 1A, le manovre vagali inter­rompono la tachicardia ogniqualvolta in­ducano il blocco AV. Il nome “Tachicardia di Coumel” è legato all'Au­tore che ne dimostrò il meccanismo di rientro giunzionale. Viene percorso in senso anterogrado il sistema nodo‑hissia­no, in senso retrogrado una via accessoria atrio‑ventricolare occulta a sede paraset­tale posteriore, a bassa velocità di conduzione e con proprietà decrementali. Rara­mente la via occulta può avere altra sede.

I farmaci (digitale, amiodarone) sono scarsamente efficaci, consentendo per lo più di rallentare la tachicardia rendendola sopportabile; terapia risolutiva è l'abla­zione transcatetere della via accessoria, non sempre agevole per la complessità anatomica della regione parasettale poste­riore.

 

 

Tachicardie atriali

 

Non sono una forma comune di tachi­cardia parossistica: più sovente hanno an­damento incessante o semipermanente, spesso nel contesto di cardiopatia orga­nica o pneumopatia cronica.

Importante dal punto di vista diagno­stico per differenziarle dal rientro nodale o TRAV è la possibilità di mantenimento della tachicardia anche in presenza di blocco AV, spontaneo o provocato con farmaci o manovre vagali: il meccanismo elettrogenetico è per definizione circo­scritto agli atri, mentre le strutture di con­duzione AV trasmettono passivamente gli impulsi ai ventricoli.

Comprendono:

‑ Tachicardie atriali focali (unifocali, multifocali).

‑ Tachicardie da rientro (seno‑atriale, intra‑atriale).

 

 

Tachicardie atriali focali (o automatiche, o ectopiche)

 

Le TA “focali” vengono così definite per il comportamento caratteristico di un focolaio automatico: in genere permanenti o semipermanentí (ossia presenti per oltre il 50% delle 24 ore), si manifestano in pre­senza di cardiopatia (reumatica, ische­mica, infarto miocardico), broncopneu­mopatie croniche, o intossicazione digi­talica. Possono raramente presentarsi an­che in cuori sani e in giovane età; per il loro carattere incessante possono determi­nare un quadro di “tachi‑cardiomiopatia”, ossia di dilatazione e ipocinesia ventrico­lare indistinguibili da una cardiomiopatia dilatativa. Mostrano variazioni di fre­quenza legate al tono adrenergico; la P che dà inizio alla tachicardia non è di so­lito molto anticipata ed è uguale alle P successive; è spesso presente il fenomeno del “riscaldamento”, cioè una graduale accelerazione all'inizio dell'episodio, e l'opposto all'interruzione. Non sono di­mostrabili i criteri del rientro (non è possi­bile innescare nè interrompere la tachicar­dia con la stimolazione elettrica program­mata). Usualmente si osserva un PR<RP, ma il PR può variare da momento a mo­mento in rapporto alla frequenza atriale e alla capacità di conduzione del nodo AV, soggetta al tono neurovegetativo e all'ef­fetto di farmaci; si possono osservare pe­riodi di blocco AV 2A, 3:2 (fig.06x). Rara­mente i farmaci antiaritmici sono efficaci nel sopprimere l'aritmia: l'obiettivo tera­peutico è il rallentamento della frequenza ventricolare con beta bloccanti, Verapa­mil, Diltiazem e digitale da soli o in asso­ciazione.

La TA da intossicazione digitalica riconosce come meccanismo elettrogene­tico un automatismo innescato da post­potenziali tardivi conseguenti al sovrac­carico di Ca intracellulare. E’ quasi sem­pre accompagnata da blocco AV 2:1; la frequenza atriale aumenta progressiva­mente con l'aumento dei livelli di digos­sinemia. La sospensione del farmaco e la correzione della ipokaliemia frequen­temente coesistente rappresentano la terapia.

I casi di TA persistenti, non da intossi­cazione digitalica, sintomatici e resistenti alla terapia farmacologica, possono essere trattati con l'ablazione del focus guidata dal mappaggio atriale: l'esperienza acqui­sita con l'ablazione ha insegnato come i focolai ectopici si localizzino più frequen­temente lungo la cresta terminale nell'a­trio dx e allo sbocco delle vene polmonari nell'atrio sinistro. La morfologia dell'onda P può indirizzare verso una localizzazione destra (P positiva o bifasica in aVL) o sini­stra (P positiva in V 1) del focus.

 

 

Tachicardia atriale multifocale

 

Questa tachiaritmia, detta anche “ritmo atriale caotico”, si presenta come una suc­cessione arítmica a frequenza 100‑130/ min di onde P di differenti morfologie (al­meno 3), usualmente condotte 1:1 ai ven­tricoli. Si verifica comunemente in pa­zienti anziani, affetti da scompenso car­diaco congestizio o broncopneumopatie croniche, spesso durante le riacutizza­zioni; può essere favorita dalla teofillina, e può preludere alla fibrillazione atriale. La terapia è quella dell'affezione di base: cor­rezione dell'ipossia e dei disturbi elettroli­tici. Verapamil e amiodarone sono stati usati con qualche successo.

 

 

Tachicardia da rientro seno-atriale

 

Rappresenta non più del 5% delle TPSV. P più frequentemente osservata in soggetti di età media o avanzata. La fre­quenza è inferiore alle altre forme di TPSV (130‑180/min), e ciò la rende usual­mente ben tollerata. Le onde P sono molto simili a quelle sinusali; si differenzia dalla tachicardia sinusale per il suo com­portamento parossistico. Il MSC rallenta e può terminare la tachicardia, indipenden­temente dal contemporaneo effetto sulla conduzione AV.

Lo studio elettrofisiologico permette di indurre e interrompere la T. con extrasti­moli; l'índuzione non è correlata all'indu­zione di ritardo di conduzione intra­atriale o atrio‑ventricolare; la sequenza di attivazione atriale è uguale a quella sinu­sale. Risponde alla terapia con Verapamil, beta bloccanti, digitale.

 

 

Tachicardie da rientro intra‑atriale

 

Di riscontro non frequente; ne sono esempio più studiato le forme cosiddette “incisionali”, che colpiscono pazienti sot­toposti a interventi cardiochirurgici, soste­nute da circuiti di rientro intorno alle cica­trici da atriotomia. Come nel caso del rientro seno‑atriale, hanno andamento pa­rossistico e rispondono ai criteri del rien­tro: si possono indurre e interrompere con la stimolazione programmata. La distin­zione con forme di flutter atriale non co­mune si fa convenzionalmente in base alla frequenza atriale (non superiore a 240/ min) all'ECG di superficie, con il map­paggio atriale allo studio elettrofisiolo­gico.

 

Le manovre vagali possono produrre transitorio blocco AV, ma non interrompono la tachicardia. Quando non rispon­dono alla terapia antiaritmica (farmaci del gruppo Ia, Ic, amiodarone), è possibile la ablazione transcatetere, in questo caso mi­rata a individuare l'istmo critico e suscetti­bile di completa interruzione con una li­nea di lesioni (cicatrice da atriotomi­anello tricuspidale o altro).

 

 

Flutter atriale

 

Elettrocardiograficamente è definito da una successione ritmica di onde atriali a frequenza 250‑350/mín, di morfologia co­stante, ad andamento continuamente on­dulante, non separate da isoelettrica, con l'aspetto tipicamente “a denti di sega”. In assenza di farmaci antiaritmici, è caratteri­stico il rapporto 2:1 con i QRS, per blocco fisiologico 2:1 a livello del nodo AV: si ve­rifica quindi una tachicardia ritmica a fre­quenza vicino a 150/min. Per effetto di farmaci antiaritmici del gruppo I o amio­darone, la frequenza può scendere a 180­200/mín, che può ‑ in circostanze di iper­tono adrenergico ‑ essere trasmessa 1: 1 ai ventricoli. In presenza di patologia del nodo AV o di terapia digitalica, la risposta ventricolare diventa 4:1, 6: 1, o alternativa­mente 2:1‑4:1 ecc.

Si verifica di regola in presenza di car­diopatia organica con dilatazione atriale: valvulopatia reumatica, cardiopatia ipertensiva, cuore polmonare, comunicazione interatriale, cardiopatia ischemica, tireo­tossicosi; più raramente di quanto capiti per la fibrillazione atriale può manifestarsi in assenza di cardiopatia. Può essere insta­bile, dando luogo a fibrillazione atriale o a ritmo sinusale, o manifestare una notevole stabilità.

Le particolari caratteristiche e l'aspetto elettrocardiografico stereotipato hanno sti­molato da tempo le ricerche sul meccani­smo elettrofisiologico, fino alla sua quasi completa definizione recente.

In base all'aspetto elettrocardiografico, Puech aveva distinto una forma “comu­ne”, caratterizzata da onde F a dominante negatività nelle derivazioni inferiori, e po­sitività in V1, che si ritrova con minime variazioni nella maggior parte dei casi (fig.07x), e una forma “non comune” o rara (fig.08x), con onde F a prevalente positività in D2‑D3‑aVF. Entrambe le forme sono su­scettibili di interruzione con la stimola­zione atriale ad alta frequenza, e corrispondono al flutter “tipo 1” descritto da Wells (frequenza atriale fino a 320‑340); il “flutter impuro”, forma di transizione verso la fibrifiazione atriale, non è sensi­bile alla stimolazione rapida e corrisponde al “tipo 2” di Wells (frequenza atriale >320‑340).

L'assenza di isoelettrica a separare le onde P (chiamate F in questo caso) indica la presenza di un'onda di eccitazione atriale a continua evoluzione in un cir­cuito di macrorientro. Tale meccanismo, a partire dagli studi fondamentali del gruppo di Waldo sul fenomeno del trasci­namento (“entrainment”), fino ai risultati delle procedure di ablazione transcate­tere, è stato confermato e precisamente lo­calizzato.

Nel flutter “comune”, una singola onda di attivazione percorre con senso di rota­zione antioraria l'atrio destro (fig.09x), in un “canale” delimitato anteriormente dal­l'anello tricuspidale, e posteriormente dalla cresta terminale nell'intervallo intercavale e dalla valvola‑cresta di Eustachio nella porzione postero‑inferiore. L'impul­so scende lungo la parete anterolaterale dell'atrio, subisce un rallentamento en­trando come in un imbuto nell'istmo fra cava inferiore e anello tricuspidale, per poi risalire cranialmente lungo il setto in­teratriale. L'atrio sinistro è attivato passivamente.

Il circuito può essere, più raramente, percorso in senso inverso (orario), dando luogo a onde prevalentemente positive nelle derivazioni inferiori come nel flutter non comune di Puech.

In una classificazione basata sul mecca­nismo elettrofisiologico, le due forme ven­gono quindi riunite nella definizione di flutter comune, antiorario (“counter‑c1ock­wise”) e orario (“reverse” o “clockwise”), entrambe suscettibili di trattamento radi­cale mediante ablazione transcatetere del­l'istmo cava‑tricuspide.

Ancora in fase di precisa definizione è il flutter atriale sinistro, sospettabile, per onde F (negative o positive) di minima ampiezza in D2‑D3‑aVF, positive in V1, spesso associato a blocchi di conduzione interatriale (P>0.12" in ritmo sinusale, con aspetto bifasico +/‑ nelle derivazioni inferiori).

 

 

TERAPIA

 

Quando perdura oltre 12‑24 ore, diffi­cilmente il flutter può essere interrotto con farmaci antiaritmici. In assenza di se­gni di insufficienza cardiaca conclamata, è agevole ottenere la riduzione della fre­quenza ventricolare con Veraparnil 5‑10 mg, Diltiazern 0.30 mg/kg ex., mentre la digitale da sola è poco efficace o trasforma il flutter in fibrifiazione (che a sua volta potrà regredire). La cardioversione elet­trica, spesso con soli 50 j, è la metodica più efficace per ripristinare il ritmo sinusale. Se la cardioversione è controindicata (insufficienza respiratoria, obesità, alti do­saggi di digitale), o anche come prima scelta in caso di flutter comune di recente insorgenza (entro 48 ore), l'aritmia può essere interrotta con la stimolazione ra­pida transesofagea o atriale destra. Specie quando il flutter è di lunga durata si ot­tiene invece la trasformazione in fibrilla­zione, aritmia meglio tollerata per il più facile controllo della frequenza ventrico­lare, ma a maggior rischio tromboembo­lico.

Se non è efficace o indicata la riconver­sione in ritmo sinusale, il controllo della frequenza richiede in genere l'associa­zione di digitale e calcio antagonisti o beta bloccanti; risulta peraltro spesso impossi­bile impedire la conduzione 2:1 ai ventri­coli durante sforzo.

La prevenzione delle ricorrenze si attua con antiaritmici del gruppo le (propafe­none, flecainide) con risultati mediocri, o con amiodarone. La somministrazione di antiaritmici la (chinidina, disopíramide) come le dev'essere accompagnata a far­maci che deprimono la conduzione AV per evitare altissime frequenze ventricolari in caso di conduzione AV 1:1 (effetto di tipo vagolitico sul nodo AV di chinidina e disopiramide) delle onde di flutter, rallen­tate in maggior misura da flecainide o pro­pafenone.

L'ablazione transcatetere del flutter co­mune (antiorario o orario) richiede la creazione di una linea continua di lesioni che interrompa la percorribilità del cir­cuito, dall'anello tricuspidale alla cava in­feriore (istmo posteriore), o da tricuspide a seno coronarico‑ cresta di Eustachio (istmo settale). La continuità della lesione ~ verificata in base all'assenza di condu­zione tra i due lati della stessa ‑ determina i risultati a distanza: se si ottiene un blocco bidirezionale, le recidive si verifi­cano nel 10% dei casi; possono però com­parire nel 20‑30% dei casi episodi di fi­brifiazione atriale non diagnosticati in precedenza.

 

 

Fibrillazione atriale

 

Gli atri sono attivati da più fronti d'onda simultanei risultanti da circuiti di rientro funzionali multipli e in continua trasformazione: ciò dà origine sull'ECG di superficie alle continue e irregolari ondu­lazioni della linea isoclettrica, senza l'evi­denza di onde P discrete. Le onde di fi­brillazione (onde f), a frequenza compresa fra 350 e 600/min, possono essere ampie (“coarse” atrial fibrillation), o di minimo voltaggio tanto da essere irriconoscibili, ma sempre irregolari per ciclo e morfolo­gia, a differenza del flutter.

 

La risposta ventricolare è tipicamente irregolare, a frequenza fra 100 e 160/min in assenza di trattamento: non tutte le onde vengono infatti trasmesse: molte vengono bloccate dopo un percorso varia­bile all'interno del nodo AV (conduzione occulta), generando scie di refrattarietà che bloccano gli impulsi successivi. I QRS sono abitualmente stretti, in assenza di blocchi di branca preesistenti; quando però un QRS cade precocemente dopo una pausa lunga, può avere l'aspetto di blocco di branca (usualmente destro) per blocco funzionale dell'impulso nella bran­ca 9 cui periodo refrattario è stato allun­gato dal ciclo lungo precedente (feno­meno di Ashman).

La successione dei QRS tende a farsi rit­mica per frequenze ventricolari molto alte. Se la frequenza ventricolare è bassa (< 60/min) e i QRS sono assolutamente ritmici, è presente un blocco AV totale con ritmo sostitutivo (giunzionale o idio­ventricolare in base all'aspetto dei QRS).

In pazienti con sindrome di WW la frequenza ventricolare può essere elevatis­sima (300/min), i QRS sono larghi, e può verificarsi fibrillazione ventricolare.

 

 

TERAPIA

 

Se il riconoscimento della FA è usual­mente agevole e immediato, la terapia pone molti problemi, legati alla presenta­zione clinica (forma cronica o parossistica, presenza o assenza di cardiopatia, fun­zione ventricolare sinistra, coesistenza di altri disturbi dell'eccito‑conduzione car­diaca), alle conseguenze emodinamiche e al rischio tromboembolico.

Gli obiettivi della terapia sono: il con­trofio della frequenza ventricolare, il ripri­stino del ritmo sinusale, la prevenzione delle recidive e delle tromboembolie.

Al momento della presentazione clinica occorre valutare, in successione: la tolle­ranza emodinamica, la presumibile epoca di insorgenza dell'aritmia, la presenza e gravità di un'eventuale cardiopatia (in or­dine di frequenza: ipertensiva, valvolare, ischemica, oppure cardiomiopatia, cuore polmonare acuto o cronico, pericardite di ogni causa), di fattori scatenanti extracar­diaci (tireotossicosi, stati febbrili ecc.).

In presenza di segni di insufficienza car­diaca o di ridotta funzione ventricolare si­nistra, la riduzione della frequenza car­diaca è il primo obiettivo da raggiungere. La cardioversione elettrica viene riservata a casi di emergenza (edema polmonare ra­pidamente evolvente secondario alla ta­chiaritmia, bassa portata, WPW, infarto miocardico acuto). Il farmaco di prima scelta è altrimenti la digitale: l'efficacia non è immediata, ma non presenta gli effetti cardiodepressivi degli altri antiarit­mici. In assenza di ipotensione o segni di scompenso cardiaco si possono associare, sotto stretta sorveglianza, Ca‑antagonisti (Diltiazem, Veraparnil) o, specie in caso di ipertiroidismo e buona funzione ventrico­lare sinistra, beta bloccanti. Nella terapia di mantenimento occorre verificare che la frequenza ventricolare rimanga entro li­miti adeguati sia a riposo sia durante sforzo. La digitale deprime la conduzione AV attraverso un effetto vagomimetico: il suo effetto può quindi annullarsi sotto sforzo. In tal caso si associa spesso il Dil­tiazem o un beta bloccante.

 

 

Ripristino e mantenimento del ritmo sinusale

 

Nel valutare l'opportunità di tentare la cardioversione del ritmo, entrano in gioco diverse considerazioni:

‑ la FA comporta una perdita di effica­cia emodinamica e un rischio tromboem­bolico variabili da soggetto a soggetto; per quest'ultimo vanno considerati a rischio i pazienti con storia di scompenso cardiaco o ridotta funzione ventricolare sinistra, ipertensione arteriosa, pregressi episodi embolici, età superiore a 60 anni;

‑ tanto maggiore è la durata della FA, tanto minore è la probabilità che si ripri­stini in modo duraturo il ritmo sinusale; il “rimodellarnento elettrico” dell'atrio pro­vocato dalle FA di lunga durata comporta un rischio di recidiva aritmica post‑car­dioversione a decadimento esponenziale, particolarmente alto nei primi tre mesi;

- il ripristino dell'attività meccanica del­l'atrio espone il paziente al rischio di tromboembolie: la paralisi meccanica del­l'atrio si protrae tanto più a lungo quanto maggiore era la durata dell'arittmia, probabilmente in misura indipendente dalla modalità di cardioversione.

 

Se la FA è insorta da meno di 12 ore in assenza di compromissione emodinamica, è probabile il ripristino spontaneo del ritmo sinusale entro le successive 24 ore: per accelerare la conversione, in pazienti con conservata funzione ventricolare sini­stra, si possono utilizzare farmaci IC (il propafenone è il più utilizzato, con effica­cia simile alla flecainide), da sommini­strare ex., sotto stretto controllo clinico­ECG. L'amiodarone ex. è probabilmente meno efficace, ma più sicuro in pazienti con disfunzione ventricolare sinistra.

Se la FA perdura da oltre 48 ore, se­condo le raccomandazioni universalmente accettate dell'Am. Coll. Phys., occorre con­siderare il paziente a rischio di tromboem­bolie: la cardioversione, qualora indicata, va quindi rimandata di almeno tre setti­mane, periodo raccomandato di adeguata terapia anticoagulante orale UNR fra 2 e 3). Dopo tale periodo le probabilità di successo della cardioversione farmacolo­gica scendono sensibilmente: si ricorre pertanto abitualmente alla cardioversione elettrica, efficace nell'80‑90% dei casi con energie varianti fra 200 e 360 j.

La cardioversione elettrica endocavita­ria (uno shock a bassa energia, 1‑10 j, viene erogato fra due cateteri ad ampia su­perficie elettrodica, introdotti nell'atrio destro e in seno coronarico o ramo sini­stro dell'arteria polmonare) è più efficace, non richiede una narcosi profonda, ma è manovra invasiva, costosa, e di indicazio­ne non ancora codificata (per ora limitata all'inefficacia della cardioversione elet­trica transtoracica). La terapia anticoagu­late va continuata per quattro settimane dal ripristino del ritmo sinusale, comun­que ottenuto.

I pazienti con FA ricorrente, o perdu­rata a lungo prima della cardioversione, sono candidati a terapia antiaritmica cro­nica per la profilassi delle recidive, te­nendo conto che:

‑ i farmaci del gruppo 1A‑1C e il sota­lolo aumentano la probabilità di manteni­mento del ritmo sinusale al 50% a 1 anno rispetto al 25 % senza terapia;

‑ la chinidina, nonostante questi risul­tati, ha aumentato la mortalità dei pazienti trattati, probabilmente per effetto proarit­mico ventricolare (torsioni di punta);

‑ gli altri antiaritmici IC hanno aumen­tato la mortalità, ma solo nei pazienti con storia di scompenso cardiaco;

‑ l'amiodarone a bassa dose è farmaco probabilmente più efficace, privo di effetti cardiodepressivi e con minime potenzia­lità proaritmiche, ma gli effetti extracar­diaci (tiroidei e polmonari) ne limitano l'impiego.

Sono in corso trials clinici per valutare se una strategia di cardioversioni ripetute e profilassi antiaritmica sia superiore al semplice controllo della frequenza ventri­colare e terapia anticoagulante cronica in termine di sopravvivenza, incidenza di scompenso cardiaco, eventi tromboembo­lici ed emorragici.

 

 

 

Terapia non farmacologica

 

I risultati insoddisfacenti della terapia farmacologica e l'alto impatto socio‑sani­tario della FA hanno stimolato la ricerca di terapie alternative.

Pazienti con malattia del nodo del seno, o con FA isolata bradicardia dipendente possono giovarsi della stimolazione car­diaca permanente, atriale o bicamerale. Sono attualmente in studio modalità più efficaci di stimolazione (stimolazione biatriale simultanea, algoritmi di soppres­sione delle pause postextrasistoliche e di overdrive).

Pazienti che rimangono sintomatici e in cui non si ottiene un adeguato controllo farmacologico della frequenza ventrico­lare, specie se con disfunzione ventrico­lare sinistra, rispondono con netto miglio­ramento della qualità di vita e spesso della funzione ventricolare sinistra all'ablazione transcatetere della giunzione A‑V, seguita dall'impianto di un pace maker rate‑re­sponsive; la “modulazione” del nodo A‑V (riduzione della frequenza ventricolare ot­tenuta con erogazioni sulla “via lenta” senza creazione di blocco AV totale) può evitare l'impianto di un pace maker ma è meno efficace sul sintomo cardiopalmo. Non eliminando infine la fibrifiazione atriale, queste procedure non modificano, per quanto noto a tutt'oggi, il rischio tromboembolico.

L'eliminazione radicale della FA è stata ottenuta chirurgicamente con l'opera­zione di “maze” (“labirinto”), introdotta da Cox. Con una serie di incisioni delle pareti atriali miranti a compartimentaliz­zare il tessuto atriale in “ritagli” troppo piccoli per mantenere circuiti di rientro, viene resa impossibile l'attività fibrillato­ria, mantenendo nel contempo la condu­zione dal nodo del seno al nodo AV. Le complicanze postoperatorie (deficit di pompa, ritenzione idrica, aritmie ipocine­tiche) e la complessità dell'intervento ne limitano fortemente Papplicabilità.

L in rapida evoluzione, con risultati an­cora incerti, un'analoga compartimentaliz­zazione atriale per via transcatetere; l'abla­zione a RF si è inoltre dimostrata utile in limitati casi di fibrifiazione atriale a genesi “focale”.

t stato sviluppato infine, e recentemen­te introdotto nell'uso clinico, il defibrillatore atriale automatico impiantabile. Presupposto all'ideazione del dispositivo è che il pronto riconoscimento dell'arit­mia e la sua interruzione possano evi­tarne la cronicizzazione e ridurre il ri­schio embolico. Tale presupposto attende verifica.

   

SINDROMI DA PREECCITAZIONE

VENTRICOLARE

 

Denominatore comune di queste sin­dromi e substrato chiave delle aritmie ca­ratteristiche è la presenza di fasci di fibre miocardiche che realizzano una o più con­nessioni anomale tra gli atri e i ventricoli. Queste vie anomale, o accessorie, possono percorrere il solco atrio ventricolare lungo tutto il perimetro degli anelli tricuspidale e mitralico, salvo la porzione anterosettale sinistra, corrispondente alla continuità mi­tro‑aortica.

Costituite da miocardio comune, a dif­ferenza del nodo atrio ventricolare, non posseggono, salvo alcune ben definite ec­cezioni, proprietà di conduzione decre­mentale e non determinano rallentamento della conduzione A‑V.

Delle tre entità cliniche individuate per particolare substrato anatomico ha per­duto diritto di esistenza la sindrome di Lown‑Ganong‑Levine (PR corto in as­senza di onda delta): 9 PR corto è dovuto a proprietà anatomiche o funzionali del nodo AV, mentre le fibre di Jarnes atrio­fascicolari non sono mai state correlate a TPSV; anche il quadro elettrocardiogra­fico già attribuito a fibre di Mahaim (fasci nodo o fascicolo‑ventricolari) è ora dimo­strato essere dovuto a particolari vie ac­cessorie atrio‑ventricolari.

 

 

Sindrome di Wolff‑Parkinson‑White

 

Descritta dagli Autori nel 1930, è defi­nita dall'associazione di un tipico quadro ECG di preeccitazione ventricolare con tachicardie parossistiche.

L'aspetto tipico dell'ECG in ritmo sinu­sale (fig.10x): PR corto, QRS allargato, onda delta) è determinato dall'invasione dei ventricoli da due fronti d'onda: l'onda delta, a inizio precoce, svela l'attivazione anticipata della zona di miocardio ventri­colare basale attraverso la via anomala a conduzione rapida, e da cui si diffonde lentamente per conduzione attraverso il miocardio comune; la successiva defles­sione rapida del QRS riflette l'attivazione ventricolare attraverso il sistema di condu­zione nodo‑bissiano, a inizio ritardato per il rallentamento della conduzione del nodo AV, ma successivamente rapida per l'utilizzo della rete di Purkinje.

Il grado di preeccitazione è determinato dalla differenza tra i tempi di conduzione dal nodo del seno ai ventricoli attraverso le due vie nelle loro componenti: condu­zione intra‑interatriale, lungo la via ano­mala, nel nodo AV e sistema di Purkinje. Per l'assenza di proprietà decrementale della conduzione lungo la via anomala, ì]. PR non si afiunga con le extrasistoli o la stimolazione atriale prematura.

Per un minor tempo di conduzione in­traatriale generano maggior preeccitazio­ne le vie anomale destre rispetto alle sini­stre, più lontane dal nodo del seno; il quadro di preeccitazione (o WPW) inap­parente è definito dall'assenza visibile di preeccitazione pur essendo presente la conduzione anterograda lungo la via ano­mala: la preeccitazione può rendersi visi­bile con manovre che rallentino la condu­zione dell'impulso nel nodo AV (Valsalva, NISC, Verapamil, adenosina ex.).

Per via anomala “occulta” si intende in­vece una via capace di conduzíone solo re­trograda (ventricolo atriale) per blocco fisso unidirezionale, che non determina quindi mai preeccitazione: la sua presenza si desume solo per gli episodi di TPSV.

 

 

LOCALIZZAZIONE DELLA VIA ANOMALA IN

BASE ALL'ECG DI SUPERFICIE

 

Fino a qualche anno fa solo elegante esercizio deduttivo, la precisa localizza­zione della via anomala è diventata di im­portanza pratica con l'avvento dell'abla­zione transcatetere.

L'attivazione ventricolare attraverso la via anomala genera un vettore che “fugge” dal punto di inserzione ventrico­lare della stessa: la direzione del vettore permette quindi di risalire alla localizza­zione della via. Diversi schemi e algoritmi sono stati proposti (Gallagher, Frank, Fitzpatrick, Oreto), correlando l'ECG con i riscontri anatomici (casistiche da mappaggi intraoperatori all'epoca della terapia chirurgica del WPW) o, più re­centemente, con la sede, radiologica­mente determinata, di efficace ablazio­ne endocardica transcatetere. In tutti i casi è necessario un grado sufficiente di preeccitazione per un'analisi attendibfle (tab.02x).

 

 

ARITMIE DELLA SINDROME DI WPW

 

L'aritmia di più frequente riscontro (70% delle aritmie nella S. di VTPW) è la tachicardia parossistica sopraventricolare, denominata anche, nel caso particolare, tachicardia reciprocante atrio‑ventricolare (TRAV) ortodromica o comune.

L sostenuta da un macrocircuito di rien­tro, in cui l'impulso attiva successiva­mente gli atri, il nodo AV, i ventricoli, per rientrare agli atri attraverso la via ano­mala, percorsa in via retrograda (fig.03x). Poiché i ventricoli sono attivati esclusiva­mente attraverso il normale sistema di conduzione, la TPSV è caratterizzata da QRS stretti (non preeccitati: fig.04x). Pre­supposto per l'innesco della TPSV è un periodo refrattario della via anomala più lungo di quello nodo‑hissiano, in tale modo che un'extrasistole atriale sufficien­temente anticipata può trovare impercor­ribile la via anomala ed essere condotta ai ventricoli esclusivamente per via nodo­hissiana.

 

Se 9 ritardo della conduzione nel nodo AV o lungo le branche è sufficiente a per­mettere 9 recupero della via anomala dalla refrattarietà, questa è percorribile in senso retrogrado dall'impulso che ha comple­tato l'attivazione dei ventricoli.

Si inizia così il rientro che può mante­nersi indefinitamente realizzando una TRAV. Con adeguate combinazioni di re­frattarietà, la TPSV può essere innescata non raramente anche da extrasistoli ven­tricolari, bloccate in via retrograda nel si­stema nodo‑hissiano e condotte all'atrio attraverso la via anomala.

 

Le caratteristiche ECG della TRAV sono già state descritte.

Per la natura del circuito di rientro, è obbligatorio un rapporto fisso 1:1 fra i QRS e le onde P.

 

 

Tachicardia reciprocante affioventricolare antidromica.

 

Raramente il circuito di rientro può es­sere percorso in senso inverso (antidro­mico: fig.03x): la conduzione anterograda avviene attraverso la via anomala, la retro­grada attraverso il sistema nodo hissiano.

La tachicardia sarà costituita da una successione ritmica di QRS totalmente preeccitati (durata > 0. 14 ") e con l'aspetto corrispondente alla sede di inserzione ventricolare della via anomala; le onde P precedono ogni QRS.

In realtà una “tachicardia preeccitata” con l'aspetto descritto può essere dovuta ad altri meccanismi, con cui va fatta una diagnosi differenziale:

‑ tachicardia reciprocante coinvolgente due vie anomale, percorsa l'una in senso anterogrado, l'altra in senso retrogrado;

‑ tachicardia o flutter atriale con condu­zione 1:1 o 2:1 ai ventricoli attraverso la via anomala: questo è il meccanismo più comune delle tachicardie preeccitate;

‑ tachicardia reciprocante giunzionale con incidentale preeccitazione ventrico­lare per presenza di via anomala che non partecipa al meccanismo di rientro (inno­cent bystander).

 

Per quanto fastidiose e a volte invali­danti, le TPSV non costituiscono, almeno direttamente, un elemento di rischio per i pazienti affetti da S. di WPW; la fibrilla­zione atriale è invece potenzialmente in grado, quando condotta attraverso vie anomale ad alta capacità di conduzione, di generare frequenze ventricolari elevatis­sime, che possono condurre a sincope o in ‑durre una fibrillazione ventricolare fatale.

La FA nel paziente con WPW si mani­festa elettrocardiograficamente come una successione aritmica di QRS, raggruppati in sequenze di QRS totalmente slargati e aberranti per preeccítazione totale, alter­nati a sequenze di QRS stretti (non preec­citati: fig.11x). 1 fenomeni di conduzione occulta anterograda e retrograda nel nodo AV e nella via anomala determinano l'al­ternanza dei QRS stretti e preeccitati; ai fini di una diagnosi differenziale con un blocco di branca funzionale, si considerano:

‑ l'aspetto dei QRS consistente con un quadro preciso di preeccitazione, usual­mente ben diverso da un BB tipico, a volte simulante una tachicardia ventricolare, aritmica e rapidissima;

‑ l'assenza di un valore critico di frequenza ventricolare al di sopra del quale compare l'aberranza.

L'incidenza di morte improvvisa nei por­tatori di S. di WPW ed esenti da cardiopa­tie associate è sicuramente molto bassa (sti­mabile intorno allo 0. 1 % all'anno), ma l'osservazione di casi di fibrillazione ventri­colare (M anche come prima manifesta­zione della Sindrome, ha stimolato la ri­cerca di fattori predittivi di rischio.

Elemento chiave nel determinare 9 ri­schio è la capacità di conduzione della via accessoria, definita come Periodo Refrat­tario Effettivo (PRE), misurabile con sin­golo extrastimolo, o minimo ciclo atriale condotto 1: 1 lungo la via anomala in cor­so di stimolazione atriale rapida, o minor intervallo RR tra QRS preeccitati in corso di fibrillazione atriale.

Si deve a Klein, in base a studi retro­spettivi su pazienti andati incontro a FV, la definizione di WPW a rischio per PRE della via anomala < 250 ms.

Quando valutato prospetticamente, tale valore si è dimostrato in grado di indivi­duare 9 gruppo a sicuramente a basso rí­schio (PRE via anomala > 250 ms), ma poco specifico (molti pazienti venivano definiti a rischio senza andare incontro ad aritmie gravi). Poiché inoltre le proprietà elettrofisiologiche delle vie anomale risen­tono profondamente del tono neurovege­tativo (il PRE viene accorciato in misura rilevante dalle catecolamine), la determi­nazione del PRE (definito in base all'RR minimo tra QRS preeccitati in FA indotta con stimolazione transesofagea) dev'es­sere effettuata anche sotto sforzo, almeno negli atleti, essendo considerato a rischio un valore < 2 10 ms.

Un altro parametro potenzialmente im­portante è l'effettiva propensione a episodi di fibriflazione atriale: l'incidenza di FA è maggiore nei pazienti con WPW rispetto alla popolazione generale; la capacità di conduzione retrograda della via anomala, e quindi di TPSV, è un fattore predispo­nente (spesso la FA risulta dalla degenera­zione di una TPSV); lo studio della vulne­rabilità atriale (facilità d'innesco della FA con la stimolazione programmata atriale, durata dell'aritmia indotta) contribuisce a individuare i pazienti con maggior propen­síone a episodi spontanei di FA.

 

 

TERAPIA

 

Di fondamentale importanza è evitare in ogni caso i farmaci attivi esclusivamente sul nodo AV come i Ca antagonisti, o po­tenzialmente in grado addirittura di accor­ciare il periodo refrattario della via ano­mala come la digitale.

Per l'interruzione delle TPSV in pre­senza di VTPW già diagnosticato si utiliz­zano per infusione ex. gli antiaritmici del gruppo IA‑C: oggi sono preferiti, accanto alla procainamide e ajmalina, il propafe­none e la fiecainide, per il potente effetto di depressione della conduzione sulla via anomala. Da evitare negli adulti l'adeno­sina per la possibilità di trasformazione della TPSV in fibrillazione atriale; poiché tale evento è eccezionale nei bambini, il farmaco è indicato nell'età pediatrica, sotto monitorizzazione ECG e pronti alla rianimazione. Gli stessi farmaci sono uti­lizzati in caso di fibrillazione atriale preec­citata: è essenziale in questo caso evitare la digitale e i calcio antagonisti, che possono precipitare una fibrillazione ventricolare. Anche la somministrazione ex. dell'amio­darone dev'essere evitata, perché il far­maco, in acuto, agisce prevalentemente sul nodo AV e non sulla via anomala.

In caso di instabilità emodinamica si im­pone la cardioversione elettrica.

Per la profilassi delle recidive aritmiche si utilizzano farmaci del gruppo IC (flecai­nide, propafenone) o III (sotalolo, amio­darone, riservando quest'ultimo come ul­tima scelta per gli effetti collaterali extra­cardiaci). Se le TPSV sono frequenti, o mai tollerate, e in caso di episodi di fibril­lazione atriale rapida, è oggi preferibile ri­correre all'ablazione transcatetere della via anomala piuttosto che a una terapia farmacologica a tempo indefinito.

 

 

ARITMIE VENTRICOLARI

 

Contrazioni premature ventricolari

 

Le contrazioni premature ventricolari (CPV) sono definite come una attività spontanea ventricolare anticipata. Le cau­se elettrofisiologiche della loro genesi sono identiche alle aritmie extrasistoliche sopraventricolari: esaltato automatismo, rientro o attività triggerata. L'aspetto elet­trocardiografico del complesso che ne deriva è bizzarro, allargato rispetto ai battiti normali; l'onda T è allargata con anda­mento opposto alla deflessione principale (fig.12x). La diagnosi di certezza dell'ori­gine ventricolare di un battito anticipato non è mai sicura all'ECG: criteri di pre­sunzione sono il complesso allargato con onda T di polarità invertita in presenza di normale conduzione intraventricolare ne­gli altri complessi, la dimostrazione di onde P retrograde prodotte dall'attiva­zione degli atri in via retrograda attraverso la via nodo‑hissiana (onda P negativa in D2‑133), o ancora la presenza di onda P si­nusale dissociata. In relazione alla pre­senza o meno della retroconduzione, la pausa che segue il battito anticipato può essere o no completamente compensatoria e talvolta la contrazione prematura può essere interpolata. Spesso le CPV avven­gono in modo ripetitivo e costante ri­spetto al ritmo sinusale di base, dando ori­gine al fenomeno del bigeminismo (una CPV dopo ogni battito sinusale), trigemi­nismo (una CPV ogni due battiti sinusali) o accoppiamenti con rapporti più elevati. L'accoppiamento della CPV rispetto alla battuta sinusale può essere fisso o varia­bile. L'accoppiamento fisso è più frequen­temente dovuto a rientro o ad attività trig­gerata. Quando l'accoppiamento è varia­bile si parla di parasistolia legata a un fo­cus con blocco di entrata: questo focus quindi risulta protetto, non viene resettato infatti dalla normale attività elettrica car­diaca e invade i ventricoli in relazione alla propria frequenza di scarica e all'eccita­biltà del tessuto ventricolare che lo cir­conda.

 

Le CPV sono fenomeni aritmici comu­ni, presenti con frequenza in cuori sani in soggetti asintomatici che eseguono ECG dinamico per altri motivi. Talvolta i battiti sono sintomatici: in questo caso, oltre alle rassicurazioni, può essere utile l'utilizzo di basse dosi di beta bloccanti. Quando le CPV compaiono in cuori malati è necessa­rio disporre di indagini più approfondite, come un ECG dinamico e una valutazione della funzione ventricolare sinistra. La presenza di CPV in cuori malati, se asinto­matica, non necessita di trattamento, men­tre un ECGD può evidenziare altre forme di aritmie associate e un EC0213 una fra­zione di eiezione depressa che possono portatare a indicare un trattamento farma­cologico o non farmacologico delle arit­mie. La presenza di CPV numerose al­l'ECG dinamico nel post‑infarto è un fattore di rischio di aumentata mortalità, ma studi clinici controfiati hanno dimo­strato come la soppressione delle CPV con antiaritmici della classe 1 sia gravata da tassi di mortalità aumentati rispetto ai pazienti del gruppo controllo. L'attuale orientamento quindi è di evitare l'uso di antiaritmici della classe la e 1c in questa situazione clinica. L'uso di beta bloccanti è, se tollerato, sicuramente efficace nella riduzione di fenomeni aritmici, di nuovi eventi ischemici e nel migliorare la soprav­vivenza. Recenti studi clinici controfiati hanno dimostrato che l'uso di basse dosi di amiodarone dopo infarto miocardico acuto in presenza di CPV frequenti e ripe­titive riduce la mortalità aritmica, ma non la mortalità totale. Nei soggetti affetti da scompenso cardiaco con CPV frequenti inoltre, l'amiodarone si è dimostrato utile nel ridurre le aritmie, ma non ha miglio­rato la sopravvivenza. Al momento quin­di, il trattamento delle CI`V dopo infarto miocardico è limitato alle sole forme sin­tomatiche.

 

 

Tachicardia ventricolare

 

Si definisce tachicardia ventricolare (TV) una serie di tre o più battiti prema­turi ventricolari con frequenza vetricolare oltre i 100 o 120 battiti per minuto (fig.13x). Quando questa aritmia duri più di 30 secondi, o necessiti di cardioversione im­mediata per compromissìone emodina­mica, viene definita sostenuta. Il ricono­scimento di una TV è, in analogia delle CPV, solo di presunzione, in quanto è possibile che aritmie sopraventricolari condotte con aberrazione o che utilizzano una via accessoria in via anterograda pos­sano simulare una TV. Tuttavia è bene ri­cordare che ogni tachicardia a complessi larghi dev'essere considerata ventricolare fino a che non si dimostri il contrario. La diagnosi differenziale si avvale di criteri clinici, anamnestici ed elettrocardiografici. 1 criteri clinici si basano sulla presenza o meno di una patologia cardiaca presi­stente, come una cardiopatia ischemica, la presenza di distrubo di conduzione nei battiti sinusali ecc. 1 criteri ECG sono schematizati nella tabella 3. Nonostante qualche critica, questo algoritmo mostra ottima sensibilità e specificità. La diagnosi di certezza è posta con la dimostrazione di dissociazione atrioventricolare, in cui si di­mostri un ritmo atriale (sinusale o meno) indipendente dal ritmo ventricolare. Lo studio elettrofisiologico (SEF) con stimo­lazione ventricolare programmata può riprodurre l'aritmia: in tal caso la TV viene definita inducibile (fig.14x).

Le TV si classificano in base alla morfo­logia in monomorfe, quando i complessi siano tra loro uguali o molto simili, oppure polimorfe quando presentino ampie varia­zioni morfologiche battito‑battito. Le TV monomorfe si classificano ulteriormente in:

l. TV associate a cardiopatia ischemica.

2. TV associate a cardiomiopatia dilata­tiva.

3. TV in cuori apparentemente sani.

4, TV nella displasia aritmogena del ventricolo destro.

l. Le TV associate a cardiopatia ische­mica cronica rappresentano la maggio­ranza delle TV e costituiscono un pro­blema clinico rilevante nella gestione dei pazienti. Il meccanismo elettrogenetico di queste aritmie è rappresentato quasi inva­riabilmente da fenomeni di rientro localiz­zati a livello ventricolare, in cui le zone di cicatrice ischemica formano barriere elet­triche e zone a lenta conduzione, basi per generare circuiti di rientro. L'aspetto elet­trocardiografico di tali aritmie è general­mente monomorfo, tuttavia bisogna ricor­dare che lo stesso circuito di rientro può mostrare morfologie del QRS differente in base alle caratteristiche in un certo istante del tessuto miocardico che lo circonda, o per blocchi in uscita. La localizzazione della zona che genera la TV è possibile utilizzando criteri vettoriali conoscendo la massa di cicatrice del ventricolo: tale loca­lizzazione, un tempo solo speculativa, può essere utilizzata come prima mappatura per procedure di ablazione della zona arit­mogena. La terapia in acuto delle TV so­stenute sintomatiche per sincope prevede manovre di rianimazione cardiopolmonari e la cardioversione elettrica con energia compresa tra 50 e 200 j/sec; quando siano tollerate emodinamicamente, può essere tentato l'uso di xilocaina o altri antiarit­mici in vena. Nella tabella 4 è mostrato un diagramma di flusso della terapia in acuto della TV sostenuta. Le TV non sostenute rappresentano un frequente reperto nei soggetti dopo infarto miocardico acuto: in analogia con le CPV, la terapia può essere farmacologica con beta bloccante o con amiodarone, che si è dimostrato efficace nel migliorare la sopravvivenza nei soggetti con ridotta funzione ventricolare si­nistra. Recentemente, lo studio control­lato MADIT ha dimostrato che nei sog­getti con depressa funzione ventricolare post‑infartuale, TV non sostenuta al moni­toraggio dinamico e TV inducibile allo stu­dio elettrofisiologico e non sopprimibile dai farmaci, l'impianto di un defibrillatore migliora in modo significativo la sopravvi­venza. Le TV sostenute che si presentano sufficientemente tollerate possono essere trattate inizialmente con farmaci antiarit­mici; come per le CPV, tuttavia, i risultati negativi di molti antiaritmici hanno limi­tato la terapia farmacologica ai soli beta bloccanti, sotalolo e amiodarone. La do­cumentazione dell'efficacia del tratta­mento può essere effettuata con il monito­raggio Holter o con studioelettrofisiologi­co seriato. Nel caso la terapia farmacolo­gica si dimostri inefficace o mal tollerata, trova indicazione l'impianto di defibrilla­tore impiantabile o, in caso di TV mono­morfe non sincopali, il tentativo di abla­zione transcatetere del focus.

In corso di ischemia acuta e in partico­lare di infarto miocardico, sono frequenti i ritmi ventricolari a frequenza non elevata, in genere al di sotto dei 100 battiti per mi­nuto, che vengono perciò definiti idioven­tricolari accelerati: tali aritmie sono soste­nute da foci di esaltato automatismo. Se non portano a compromissione emodina­mica, non necessitano trattamento. Le forme di tachicardia ventricolare mono­morfa a elevata frequenza durante infarto acuto sono di norma espessione di esaltato automatismo e sono, in genere, sensibili alla xilocaina.

 

2. Le TV in corso di cardiomiopatia di­latativa possono non essere differenti dalle TV nella CI, ma esiste un tipo peculiare di TV, probabilmente responsabile del 30% delle TV in questi soggetti, dovuto a un meccanismo di rientro tra le branche. La TV da rientro tra le branche si caratterizza per il quadro clinico di severa dilatazione ventricolare sinistra, ritardo di condu­zione nelle branche nell'ECG di base, sin­copi da TV molto rapida. Il circuito di rientro utilizza le branche stesse, cosicché il complesso che ne deriva ha un aspetto a blocco di branca sinistro o destro più o meno tipico (fig.15x). Il riconoscimento di tale aritmia è importante perché può es­sere trattata con ablazione selettiva della branca destra.

3. Le TV in cuori sani si caratterizzano per l'assenza di chiara patologia cardiaca, l'aspetto usuale monomorfo, una base elettrogenetica non chiara e una prognosi generalmente buona. Si classificano in base alla morfologia dell'ECG in TV con aspetto a blocco di branca destro con de­viazione assiale sinistra e TV con aspetto a blocco di branca sinistro. La prima, defi­nita anche fascicolare poiché origina da un fascicolo della branca sinistra, ha come caratteristiche peculiari quelle di presen­tarsi in soggetti giovani e di essere sensibile al Verapamil endovenoso o orale. Le TV con aspetto a BBS hanno generalmente asse elettrico normale o deviato a destra, suggerendo la loro origine dal tratto di ef­flusso ventricolare destro (fig.16x). Queste aritmie sono generalmente sensibili ai beta bloccanti o al Verapamil, e si caratterizzano per essere innescate da frequenze si­nusali critiche; benché siano generalmente associate a prognosi ottima, sono stati se­gnalati casi di morte improvvisa.

4. Nella displasia del ventricolo destro le aritmie ventricolari si presentano con aspetto a blocco di branca sinistro e asse a sinistra, e possono essere trattate con beta bloccanti.

 

 

Tachicardia ventricolare polimorfa

 

La differenziazione dalle forme mono­morfe è importante poiché questo tipo di TV presenta, rispetto alle forme mono­morfe, un substrato e un approccio tera­pcutico diverso. Si possono identificare tre situazioni differenti in cui si possono verificare TV polimorfe:

l. TV a torsione di punta.

2. TV polimorfe associate a cardiopatia ischemica cronica.

3. TV associate a ischemia miocardica acuta.

l. Torsioni di punta: si definisce tor­sione di punta una tachicardia a complessi larghi in cui i complessi ventricolari cam­biano morfologia da battito a battito, con un passaggio della polarità progressiva (fig.17x). Criterio fondamentale per la dia­gnosi è la contemporanea presenza di QT lungo, con valori di QT corretto >=.44", talvolta di difficile diagnosi, di origine congenita o acquisita. Tra le forme acqui­site bisogna ricordare le interferenze far­macologiche, in particolare con farmaci antiaritmici del gruppo Ia‑c, amiodarone, sotalolo, antidepressivi triciclici, antistaminici e svariati altri farmaci (eritromi­cina, ketoconazolo). I diuretici che cau­sano ipopotassemia sono importanti fat­tori scatenanti tale aritmia. Il meccanismo elettrofisiologico della TdP non è del tutto noto, ma è probabilmente legato ai post­potenziali precoci che accompagnano l'ec­cessivo prolungamento del potenziale di azione provocato dalla bradicardia, dalla ipopotassemia e da farmaci. La terapia sarà quindi rivolta a eliminare i fattori sca­tenanti, correggere l'ipopotassemia, trat­tare la bradícardia con stimolazione atriale o ventricolare; la somministrazione di ma­gnesio in vena è utile in tutti i casi. La sin­drome del QT lungo congenito può essere associata (S. jervell‑Lange‑Nielsen) o me­no (S. di Romano‑Ward) a sordità conge­nita, ed è caratterizzata da sincopi ricor­renti e morte improvvisa. Alla base di queste sindromi sono state identificate va­rie anomalie dei canali del K+ e del Na+ per mutazioni dei geni responsabili. In questi casi la TdP può essere scatenata dalle emozioni, attività fisica e in genere dall'aumento dell'attività simpatica. La te­rapia in questi casi si avvale della sommi­strazione di beta bloccanti come prittia scelta.

2. Tachicardie ventricolari polimorfe non associate ad aumento del QT possono manifestarsi con aspetto ECG del tutto analogo alle torsioni di punta, ma la man­canza del criterio del QT le fa classificare in un gruppo diverso per quanto riguarda l'approccio terapeutico. Le TV polimorfe in corso di cardiopatia ischemica cronica sono di frequente riscontro nei laboratori di elettrofisiologia durante studi di indu­zione di TV; tali aritmie sono spesso giu­dicate una risposta aspecifica, ma possono essere aritmie potenzialmente letali e ri­chiedono pertanto idonei trattamenti. Le TV polimorfe durante cardiopatia ischemica acuta rispondono bene al tratta­mento antiischemico (farmacologico o di rivascolarizzazione), e ai beta bloccanti.

 

 

Flutter e fibrillazione ventricolare

 

Sono aritmie caratterizzate dalla perdita di efficacia della pompa cardiaca accom­pagnata da sintomi gravi e dalla morte se non prontamente risolte entro 3‑5 minuti. La differenza tra fibrillazione e flutter è accademica, in quanto il secondo si pre­senta con onde sinusoidali di frequenza compresa tra 150 e 300 battiti al minuto, mentre la fibrillazione ventricolare si pre­senta come ondulazioni di ampiezza e morfologia variabile, senza evidente seg­mento ST od onda T (fig.18x). La FV si presenta in un'ampia varietà di situazioni cliniche, ma generalmente in corso di car­diopatia ischemica o come evento termi­nale di cardiopatia. Nei pazienti deceduti durante un monitoraggio Holter, circa il 75% presentava come evento terminale una FV, mentre il rimanente 25% mo­strava bradicardie o blocchi. La terapia della FV prevede manovre di rianimazione cardiopolmonare e la defibrillazione con energie comprese tra 200 e 3 60 j (tab.05x). La profilassi delle recidive è un argo­mento ancora in fase di chiarimento, tut­tavia alcuni studi (AVID, CASH) hanno dimostrato che l'impianto di defibrifiatore in pazienti sopravvissuti ad arresto cardia­co con ridotta funzione ventricolare sini­stra migliora la sopravvivenza rispetto al trattamento farmacologico.

 

 

Letture consigliate

 

Delise P.: Le tachiaritmie sopraventricolari: dall’elettrocardiogramma all’ablazione transcatetere. Casa Editrice Scientifica Internazionale, Roma, 1995.

Oreto G.: I disordini del ritmo cardiaco. Centro Scientifico Editore, Torino, 1996.

Josephson M.E., Wellens H.J.: Tachycardias: Mechanism and Management. Futura Publishing Co. Inc., Mount Kisco, NY, 1993.

Braunwald E. (ed.): Heart Disease: a textbook of cardiovascular Medicine. WB Saunders Company, Philadelphia, 1997.

Bar F.W:, Brugada P.: Differential diagnosis of tachycardias with narrow QRS complex. Am. J. Cardiol., 1984, 54:555.

Kalbfleisch S.J., El-Atassi R. et al.: Differentiation of Paroxysmal Narrow QRS Complex Tachycardias Using the 12-Lead Electrocardiogram. J. Am. Coll. Cardiol. 1993, 21:85.

Ganz L.I., Firedman P.L.: Supraventricular Tachycardia. N. Engl. J. Med., 1995, 332:162.

 

Prystowsky E.N., Benson D.W. et al.: Management of patients with atrial fibrillation: a statement for healthcare professionals from the subcommittee on electrocardiography and electrophysiology. American Heart Association, Circulation, 1996, 93:1262.

Akthar M.: Clinical Spectrum of Ventricular Tachycardia. Circulation, 1990, 82:1562.

Caceres J., Jazayeri M., McKinnie J., Avitall B., Denker S., Tchou P., Aktar M.: Sustained bundle branch reentry as mechanism of clinical tachycardia. Circulation, 1989, 79:256.

Myeburg R.J.: Castellanos A Clinical Trials of implantable Defibrillators (editorial). N. Engl. J. Med., 1997, 337:1621.

 

 

E. USLENGHI

Primario, Divisione di Cardiologia

Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle, Cuneo

 

C. BRUNA

Dirigente I Livello

Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle, Cuneo

 

G. ROSSETTI

Dirigente I Livello

Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle, Cuneo

 

A. VADO

Dirigente I Livello

Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle, Cuneo

 

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