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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA

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 Ultimo aggiornamento: 23.12.2013

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  vedi anche I FARMACI DELL'EMERGENZA

BRONCOPNEUMOPATIE CRONICHE OSTRUTTIVE

 

  Sotto la dizione Broncopneumopatie Croniche Ostruttive (BPCO) si intende attualmente indicare un gruppo di affezioni respiratorie invalidanti dell'adulto, clinicamente caratterizzate da persistente espettorazione e tosse e da difficoltà respiratoria, e nosologicamente espresse da entità morbose suscettibili di configurare aspetti essenzialmente broncopatia- bronchite cronica-e/o aspetti marcatamente broncopneumopatici, più o meno manifestamente iscritti nell'area dell'enfisema polmonare, non includendo, peraltro, le forme di asma bronchiale su base allergopatica, le forme di cosiddetto enfisema senile e di distrofia polmonare.

In realtà questa moderna terminologia è venuta a risolvere molti problemi che in un passato, anche recente, sono stati causa di imprecisioni e di equivoci, che non hanno poi mancato di riflettersi negativamente sul piano della pratica clinica e delle precisazioni epidemiologiche, in rapporto alla tendenza di estendere il riconoscimento della bronchite cronica e di attribuirne la definizione a condizioni morbose di già acquisita fisionomia enfisematosa (secondo gli orientamenti di alcuni Autori inglesi), o, viceversa, di considerare enfisema una condizione di tipo bronchitico (secondo gli orientamenti degli Autori americani). Non potevano, di certo, portare chiarimento ai relativi problemi clinico-nosologici le definizioni che, in qualificati consessi internazionali (OMS, Amer. Thoracic Society, Simposi Ciba), erano state date alle due condizioni morbose-bronchite cronica ed enfisema-che, ciascuna con peculiari connotazioni, meritano di far parte del capitolo delle broncopneumopatie croniche ostruttive, ponendosi quasi ai due poli estremi di esso.

Tali definizioni, tuttora ritenute valide, recitano infatti:

-bronchite cronica.Affezione respiratoria caratterizzata da persistente aumento delle secrezioni bronchiali, con tosse ed espettorazione per almeno tre mesi l'anno e da almeno due anni consecutivi, in assenza di lesioni tubercolari o bronchiectasiche;

-enfisema polmonare. Condizione patologica caratterizzata da abnorme permanente aumento degli spazi aerei posti distalmente al bronchiolo terminale, con distruzione di setti alveolari, in assenza di fibrosi.

  È stato più volte notato, al riguardo, come ad una definizione ad intonazione clinica e di agevole apprezzamento anamnestico - quale è quella della bronchite cronica sia stata affiancata una definizione ad esclusiva impronta anatomica - quale è quella attribuita all'enfisema- che, sul piano clinico, o meglio clinicofunzionale, ha in comune con la bronchite cronica (nella maggior parte delle sue forme) la compromissione delle correnti espiratorie.

Questa comune expiratory airpow obstruction, temporanea e ancora reversibile nella bronchite cronica, permanente ed irreversibile nell'enfisema, giustifica la appartenenza delle due condizioni morbose ad un medesimo aggruppamento nosologico, nel quale esse, con alcune varianti di meno importante significatività, si iscrivono quasi come due termini di una complessa vicenda morbosa che dai settori prossimali delle vie aeree superiori (bronchite cronica) può giungere ed investire quelli più distali, bronchioloalveolari (broncopneumopatia cronica), determinandone il permanente ampliamento e la parziale distruzione settale (enfisema), sul filo di una storia naturale, variamente protratta nel tempo, che riconosce, all'origine, fattori etiologici comuni e comuni rischi di malattia, concatenandosi poi con una serie di successivi fenomeni patogenici attraverso i quali si perfeziona il dinamismo evolutivo delle broncopneumopatie croniche ostruttive.

 

 

Dati di frequenza

 

Non è certo agevole ottenere esatte valutazioni quantitative sulla estensione, fra le popolazioni, delle BPCO.   È generale convincimento che il loro numero, nei Paesi ad alto sviluppo socio-economico, non solo è molto elevato, ma è anche in continuativo incremento, traducendosi con cospicue cifre di morbosità, di invalidità, di mortalità.

Negli Stati Uniti d'America la prevalenza è indicata con cifre comprese tra 5,7% e 21% (1989) con netta concentrazione dei valori più elevati di morbosità nei soggetti al di sopra dei 40 anni. Globalmente è calcolato che in questo Paese siano annualmente presenti circa 10 milioni di individui con BPCO, di cui 7,5 milioni con bronchite cronica e 2,5 milioni con enfisema. Il 15% di questa massa ha una limitazione nella attività lavorativa, con assenze dal lavoro per 7.580.000 giornate l'anno. 284.000 sono costretti a ricorrere al ricovero ospedaliero con un totale di 2.184.000 giornate di degenza (National Center Health Statistics). La mortalità incide con una cifra del 2,5% sulla complessiva quota dei soggetti venuti a morte per qualunque causa.

In Inghilterra la morbosità prevalente è del 7,1-17%, con un indice di mortalità di 81,5 su 100.000 abitanti di sesso maschile e di 28 su 100.000 abitanti di sesso femminile.

In Italia le cifre di prevalenza sono comprese tra il 7 e il 10% (Viegi,1988; La Vecchia, 1988). Negli anni '60 le prestazioni INAM per BPCO hanno fornito un indice di 755 soggetti per 100.000 assistiti; tale quota ha raggiunto un valore superiore a 1.100 per 100.000 negli anni '70. Non vi sono motivi per ritenere che tali cifre siano diminuite, anzi è molto più probabile che siano aumentate. Per quanto riguarda la mortalità l'Italia si trova in una posizione intermedia e pressoché equidistante tra Paesi a mortalità molto elevata, quali la Germania, l'Inghilterra, l'Irlanda, la Romania, e Paesi a mortalità più bassa, quali la Danimarca, l'Olanda, la Francia, la Spagna: le cifre italiane danno difatti un indice di mortalità per BPCO di 48 su 100.000 deceduti di sesso maschile e di 20,9 su 100.000 deceduti di sesso femminile.

 

 

Fattori di rischio

 

Le entità morbose che fanno parte del gruppo delle BPCO (bronchite cronica e varianti, enfisema polmonare cronico) sono etiologicamente accomunate da identici fattori di rischio, essenzialmente di provenienza esogena che in realtà configurano un rischio potenziale estrinseco, suscettibile di realizzare un effettivo stato morboso in rapporto afattoriendogeni, di ordine generale e locale, intrinsecamente legati al singolo individuo.

 

 

Fattori esogeni

 

Il fumo di sigaretta, con il suo carico di prodotti nocivi liberati dalla combustione incompleta del tabacco, rappresenta, come ormai sancito in questi ultimi decenni, l'elemento di più elevata responsabilità nella etiologia delle BPCO. Ed indubbiamente, in tale responsabilità, il fumo di sigaretta incide in misura molto più significativa rispetto al fumo di sigaro e/o di pipa.

Fondatamente si ritiene che nel 75% dei casi di BPCO l'unico fattore esogeno di sicura evidenza etiopatogenetica è rappresentato dal fumo di sigaretta, secondo un diretto rapporto tra la quantità di sigarette fumate giornalmente (e annualmente), il numero degli anni di consuetudine (e abuso) al fumo, la precocità di inizio, con l'epoca di insorgenza, la persistenza, e la più o meno rapida evolutività delle affezioni respiratorie di tipo ostruttivo.

Gli effetti nocivi derivanti dai numerosissimi prodotti presenti nella fase gassosa e nella fase corpuscolata del fumo vengono a corrispondere ad alcuni paradigmatici aggruppamenti (Rosemberg):

-monossido di carbonio, a diretta interferenza nel trasporto di ossigeno dalle correnti ematiche ai tessuti;

-nicotina e derivati, a prevalente bersaglio cardio-circolatorio e neurologico; soprattutto responsabili della tabacco-dipendenza;

-ossidi di azoto, formaldeide, acetaldeide, acroleina e derivati, chetoni, fenoli: in parte responsabili di azione flogogena e di stimoli ipersecretivi sull'apparato muco-secernente tracheobronchiale, in parte responsabili-quali radicali ossidanti-di perturbamenti nella protezione antiproteasica e antiossidante del polmone profondo;

-idrocarburi aromatici policiclici (benzopirene, dibenzountracene ecc.) a comprovata azione cancerogena;

-prodotti additivi, impiegati nella manifatturazione delle sigarette (carta, aromi, ecc.) ad azione irritante e tossica a vari livelli respiratori ed extra respiratori.

Di recente, sia nei consessi scientifici, sia anche nei provvedimenti legislativi, è stata portata l'attenzione anche sul fumatore passivo, innocente vittima del fumo altrui, involontariamente esposto, negli ambienti domiciliari e lavorativi, alle medesime nocività del fumatore attivo.

 

L'inquinamento atmosferico rappresenta anche esso un sicuro elemento di rischio nei confronti delle BPCO, sia come fattore isolato - ma, come tale, su posizioni di minor rilievo rispetto al fumo di sigaretta-sia come fattore di associazione, sinergicamente capace di inerementare il rischio potenziale del fumo e di agevolarne il passaggio a rischio reale.

Gli effetti nocivi dell'inquinamento ambientale si rendono evidenti, in particolare, nei grandi agglomerati urbani, gravati da intenso traffico veicolare, e nelle aree intensamente industrializzate. In tali sedi domina la incombente presenza - a variabile concentrazione -dei "cinque grandi inquinanti": biossido di zolfo, ossidi di azoto, monossido di carbonio, idrocarburi policiclici, contaminanti corpuscolati (cui possono aggiungersi, a seconda delle varie fonti di emissione: formaldeide e altri derivati aldeidici, tetraetile e tetrametile di piombo, prodotti ammoniacali ecc.).

Tanto il cosiddetto smog di Londra (di tipo riducente, carico di SO2 e di particelle corpuscolate), quanto il cosiddetto smog di Los Angeles (di tipo ossidante, ricco di ossidi di azoto, di aldeidi, di ozono, di idrocarburi) includono, negli effetti a lungo termine, incrementi di affezioni respiratorie croniche, a prevalente carattere ostruttivo (smog di Londra) o asmatico (smog di Los Angeles) da cui, oltre gli adulti, non vanno esenti i soggetti nei primi decenni di vita, specie se in ruolo di "fumatori passivi".

 

Le nocività, al pari di quelle che possono emergere nello stesso ambiente domestico, concretizzano indubbio significato di potenziale rischio, in ragione degli elementi di ordine quantitativo e qualitativo del carico inquinante.

 

Fattori secondari, anche se non trascurabili di rischio, sono quelli legati a condizioni meteorologiche e climatiche e alle loro variabilità stagionali, essendo noto che le basse temperature, la eccessiva ventosità, la persistente umidità possono favorire, più che la diretta insorgenza, gli episodi di recrudescenza e di riacutizzazione delle BPCO.

 

Su diverso piano-tra i fattori esogeni-si pongono la infezione e la infezioni ricorrenti, indotte da agenti microbici infettanti. Sono prevalentemente in gioco agenti batterici più che virali, ed è infatti ormai assodato che, mentre le bronchiti acute sono etiologicamente alle dipendenze di agenti infettanti di prevalente tipo virale, da cui può poi essere incentivato il concorso batterico, le broncopatie croniche, in generale, e le forme bronco e broncopneumopatiche a carattere ostruttivo, sono originariamente legate alle nocività esogene poc'anzi richiamate, variamente modulate da fattori endogeni individuali, mentre in esse l'intervento di agenti microbici infettanti è secondario, rivestendo il ruolo di fattore di aggravamento e di progressione dello stato morboso.

Se ne farà pertanto richiamo in un successivo paragrafo.

Ai fattori esogeni ora elencati fanno da sfondo le condizioni socio-economiche, individuali o collettive, di cui le espressioni più palesi sono date dalla densità demografica, dagli agglomeramenti urbani, dalle condizioni domiciliari di abitabilità, dai mezzi di riscaldamento nei luoghi di vita e di lavoro, dalle distanze e dalle modalità di accesso ai posti di lavoro, dalle risorse economiche.

Anche questi elementi fanno parte, con differenziato e non sempre accertabile ruolo, della costellazione dei fattori esogeni responsabili di BPCO.

 

 

Fattori endogeni

 

Più che causa diretta di malattia, i fattori endogeni rappresentano - nella etiologia del BPCO-particolari condizioni e atteggiamenti generali e loco-respiratori del singolo individuo, capaci di dare concreta realizzazione al rischio esogeno potenziale e di favorire l'avvento dello stato morboso, modulandone, nel tempo, le caratteristiche cliniche ed il dinamismo evolutivo.

Fra i fattori endogeni di ordine generale vanno richiamati: gli stati di particolare debilitazione organica, la coesistenza di altre condizioni morbose (diabete), la familiarità, le possibili predisposizioni genetiche.

Per quanto riguarda l'età, anche se i primi segni clinici abitualmente affiorano nel quarto-quinto decennio di vita, essa, con l'avanzare degli anni, può spesso accelerare il ritmo e la intensità degli episodi di riacutizzazione e lo spostamento verso posizioni sempre più avanzate ed invalidanti, specie se i trattamenti terapeutici non sono correttamente applicati. Anche le eventuali pregresse infezioni respiratorie (della infanzia, della giovinezza) possono costituire un non trascurabile fattore, capace di intaccare i meccanismi di difesa respiratoria ed il patrimonio immunitario locale, di ordine umorale (IgA secretorie) e cellulare (linfomonocitario).

 

Di più importante significatività sono i fattori endogeni di ordine locale. Possono, a questo riguardo, essere in causa:

-perturbamenti nel patrimonio enzimatico delle vie respiratorie e del polmone profondo,pertanto per carenze primitive o secondarie dei principi deputati alla difesa antimicrobica, allo smaltimento e degradazione di prodotti nocivi, alla protezione antiproteasica (lisozima, transferrina, esterasi, idrolasi, perossidasi, alfa 1 antipsina ecc.), quanto, anche, per eccesso o accumulo di elementi idonei ad esaltare la reattività bronchiale e di agevolare l'avvento del broncospasmo;

-compromissioni immunitarie locali: il polmone - come è noto - custodisce una immunità locale, umorale (produzione di IgA secretorie) e cellulare (linfociti, macrofagi alveolari) altamente qualificata, la cui integrità e la cui efficienza possono venire menomate da motivi genetici (che, peraltro, condizionano sin dai primi anni di vita rischi bronco e pneumopatici), o da eventi acquisiti (nocività respiratorie, infezioni ricorrenti), facilitando, in particolare, l'avvento di infezioni batteriche o virali, di successiva immissione;

 

-iperreattività bronchiale, intesa come individuale atteggiamento delle vie aeree (specie di quelle più distali) a rispondere con una più o meno marcata costrizione nei confronti di stimoli aerogeni e non aerogeni specifici per i soggetti a impronta atopica) o - più correntemente - aspecifici, di per sé quantitativamente incapaci, nei soggetti normoreattivi, a risvegliare effetti broncocostrittivi.

Le più probabili cause di esaltazione (primitiva o secondaria) della reattività della muscolatura liscia bronchiale sono ascrivibili ad alterazioni del sistema nervoso autonomo di innervazione, sotto la mediazione di differenziati neuropeptidi capaci di indurre:

o aumento della attività parasimpatica alfa adrenergica, con possibile incremento anche di quella eccitatrice non colinergica (del sistema NANC); o decremento della attività simpatica beta adrenergica, con possibile incremento anche di quella inibitrice non adrenergica (del sistema NANC).

A parte alcune situazioni soggettive, genetiche o costituzionali, di iperreattività bronchiale, effettive esaltazioni possono provenire da stimoli flogistici indotti da parte di sostanze irritanti (ozono e altri ossidanti), o da agenti batterici e virali, episodicamente suscettibili di provocare infiammazione delle vie aeree.

Indubbiamente la iperreattività della muscolatura liscia bronchiale costituisce un importante e determinante fattore locale per la origine e la evoluzione delle BPCO, e numerose metodiche (di cui si farà più oltre cenno) sono state introdotte per obbiettivarne e quantificarne la esistenza. Essa, peraltro, può essere già preesistente allo stato broncopatico e agevolarne, quindi, sotto l'azione dei fattori nocivi esogeni, la insorgenza; oppure può maturare secondariamente, per effetto degli accennati stimoli flogistici, contribuendo al viraggio di una broncopatia semplicemente secretiva in broncopatia francamente ostruttiva.

 

 

Fondamenti patogenetici e fisiopatologici

 

Notevolmente complessi e tuttora oggetto di animata discussione sono i meccanismi patogenetici che sono alla base della origine e del dinamismo evolutivo delle BPCO. Fra di essi, legati fondamentalmente a fattori nervosi, cellulari, umorali, occorre in particolare fare riferimento a quelli che più significativamente improntano le vicende morbose, restando tra loro strettamente concatenati: la flogosi, la ipersecrezione, la bronco-ostruzione, il perturbamento nell'equilibrio enzimatico del polmone profondo.

 

La flogosi riveste indubbiamente un ruolo patogenetico essenziale nello svolgimento dei vari fenomeni morfo-funzionali delle BPCO, ponendosi come effettivo capostipite dei successivi ingranaggi, pur assumendo, di volta in volta, caratteristiche differenziate, in rapporto agli agenti determinanti e alle capacità reattive bronchiali individuali.

Le nocività respiratorie esogene, espresse - come già richiamato - da prodotti chimici inorganici o organici, da cariche microbiche batteriche o virali, da condizioni fisiche ambientali, agiscono da stimolo flogogeno sulle componenti cellulari e tessutali delle vie respiratorie, con effetti primariamente immediati (early phase) e con effetti di successivo inserimento (late phase).

Queste fasi hanno come protagonisti gli elementi cellulari stabilmente fissi lungo le vie aeree (cellule epiteliali ed endoteliali, mastociti, macrofagi alveolari, fibroblasti) e quelli mobili, appositamente richiamati o reclutati dalle correnti ematiche (neutrofili, eosinofili, basofili, linfociti, piastrine). La loro accorsa, nei vari momenti del processo flogistico, determina, attraverso la regolazione del sistema nervoso autonomo (colinergico; adrenergico; non colinergico, non adrenergico: NANC), il rilascio di una numerosa serie di prodotti, in ruolo di mediatori (tab.01x).

Alcuni di essi sono già precostituiti, naturalmente sintetizzati e immagazzinati all'interno delle cellule produttrici e pronti al rilascio, sotto la richiesta degli stimoli flogogeni (amine vasoattive, enzimi lisosomiali, enzimi proteolitici, neuropeptidi); altri generati al momento, in conseguenza della attivazione delle cellule presenti e/o richiamate nei siti della infiammazione (prostaglandine, leuco-trieni, fattori attivanti le piastrine, radicali liberi).I sistemi del complemento, delle chinine, della fibrinolisi, della coagulazione contribuiscono in vario modo a rinsaldare e regolamentare lo svolgimento della flogosi e delle sue immediate o più tardive conseguenzialità.

La fase immediata (early phase) della reazione flogistica viene introdotta da cellule effettrici primarie (primary effector cells): cellule epiteliali, endoteliali, mastocitarie; macrofagi alveolari, basofili (e talora) eosinofili, con il rilascio dei rispettivi mediatori.

La fase più tardiva (late phase) si svolge attraverso l'intervento e la attivazione di un ulteriore gruppo di cellule effettrici (secondary effector cells) che, con il rilascio dei rispettivi mediatori, amplificano il processo infiammatorio in atto: neutrofili, piastrine, eosinofili, basofili, linfociti, monociti.

Anche se l'aspetto più esteriore della infiammazione trova espressione nei noti fenomeni di vasodilatazione, iperemia, aumento della permeabilità vascolare (angioflogosi), si ritiene più probabile una flogosi neurogena, sostenuta da riflessi assionici e ganglionari (Bianco), nel senso che il processo flogistico interessa soprattutto i meccanismi che regolano il controllo neuro-autonomo delle vie aeree, con esaltata reattività dei recettori sensoriali, in conseguenza del danneggiamento primitivo inferto all'epitelio respiratorio dagli agenti flogogeni.

La ipersecrezione è in realtà un diretto e precoce effetto dello stimolo indotto dagli agenti flogogeni sull'apparato mucosecernente, restando, pertanto, originariamente alle dipendenze dei meccanismi patogenetici della infiammazione, con modulazioni quantitative, qualitative e temporali che si rendono chiaramente apprezzabili sul piano clinico e che appaiono strettamente correlate con i fattori esogeni di rischio (fumo di tabacco, nocività ambientali e professionali).

La ipersecrezione, tuttavia, è capace di innescare - sia pure in via secondaria - meccanismi patogenetici autonomi che non mancano di riflettersi sulle complessive vicende morbose e sul divenire del quadro broncopatico.

  È noto che l'attività muco-secretiva da parte delle cellule caliciformi e delle cellule sierose e mucose delle formazioni ghiandolari tubulo-acinose ha una regolazione nervosa cui concorrono plessi post ganglionari del sistema parasimpatico e del sistema simpatico. Sperimentalmente è stato accertato che la stimolazione vagale è in grado di provocare aumento delle secrezioni; in campo sperimentale la stimolazione alfa adrenergica incrementa il volume del materiale secretivo, diminuendone la viscosità; mentre la stimolazione beta adrenergica riduce il volume di materiale secretivo, incrementando la viscosità (Basbaum e Finbeiner).

Gran parte dei mediatori della infiammazione sono in grado di stimolare la secrezione bronchiale, sia attraverso la attivazione di archi riflessi iniziati dai nervi sensitivi terminanti nell'epitelio, sia per diretta stimolazione delle cellule muco secernenti. Accertata capacità di incremento secretivo viene abitualmente riconosciuta alla istamina, ad alcune prostaglandine (A2, D2, F2) e ad alcuni leucotrieni (C4, D4).

 

Sul piano fisiopatogenetico la ipersecrezione persistente o gli stati ipersecretivi ricorrenti comportano aumento quantitativo del secreto bronchiale e modificazioni qualitative nei caratteri reologici del muco, soprattutto con aumento più o meno marcato della viscosità. Con ciò viene rallentato lo scorrimento del muco e menomato quindi il complessivo trasporto muco-ciliare, con conseguenti fenomeni di mucostasi.

I riflessi più evidenti della mucostasi sono rappresentati dall'agevolazione all'avvento di infezioni batteriche o virali che, nel broncopatico cronico, assumono abitualmente carattere ricorrente. Viene, in tal modo, a realizzarsi un binomio "ipersecrezione-infezione" che assume il più delle volte il significato di un circolo vizioso, in quanto la ipersecrezione agevola la instaurazione della infezione (e delle sue ricorrenti ripetizioni) e questa, a sua volta, incrementa lo stimolo ipersecretivo.

Sul piano clinico il fenomeno resta caratterizzato, da un lato, dal viraggio dello stato broncopatico verso gli aspetti propri delle broncopatie mucopurulente; dall'altro, dalla possibile progressione in direzione distale delle componenti patologiche che caratterizzano il quadro broncopatico.

Correlato alla ipersecrezione è anche l'incremento di prodotti (callicreina in specie) di per sé suscettibili di determinare broncospasmo.

Inoltre la ipersecrezione, mentre a livello delle vie aeree prossimali comporta marcata iperplasia dell'apparato ghiandolare muco-secernente e, quindi, aumento di spessore degli strati più interni (mucosa e sottomucosa) della parte bronchiale, con conseguente riduzione del lume; a livello distale determina facili zaffamenti bronchiolari e fenomeni ostruttivi temporanei o persistenti.

 

La bronco-ostruzione deve anche essa ritenersi patogeneticamente concatenata alla infiammazione, sulla base di meccanismi che traggono derivazione dai movimenti cellulo-umorali del processo flogistico, con effetti morfo-funzionali alquanto differenziati ai vari livelli; prossimali e distali, delle vie aeree.

Sotto il profilo morfo-patogenetico, nelle grandi vie aeree dei settori prossimali, e per tutta la estensione dei bronchi cartilaginei, l'essudazione plasmatica e la più o meno fitta accorsa cellulare producono ispessimento della parete e riduzione del lume, in rapporto anche alla iperplasia dell'apparato muco secernente: ne derivano effetti bronco-ostruttivi tanto più marcati quanto più restano coinvolte dalla reazione infiammatoria le ramificazioni bronchiali più distali (ultrasegmentarie).

Nelle vie aeree più periferiche, bronchiolari, i fenomeni flogistici: edema e infiltrazione cellulare peribronchiolare, rendono più marcati gli atteggiamenti costrittivi, giungendo - a tratti - anche alla temporanea occlusione del lume da parte di materiale essudatizio e secretivo e di lembi epiteliali danneggiati dalla flogosi e sfaldati nel lume.

Sotto il profilo funzionale, la accorsa e la attivazione degli elementi cellulari determinano la progressiva cascata dei mediatori atti a provocare effetti broncocostrittivi e bronco-pastici a carattere accessionale o persistente.

Dei numerosi mediatori rilasciati dagli elementi cellulari fissi, comunque attivati, e dagli elementi cellulari appositamente reclutati (tab.01x), assumono più particolare rilievo, ai fini della induzione del broncospasmo e della broncocostrizione:

-istamina: rilasciata da mastociti tessutali e da basofili di provenienza ematica; esercita azione contratturale sulla muscolatura liscia bronchiale e bronchiolare, stimolando anche la scarica colinergica attraverso gli "irritant receptors";

-fattore attivante le piastrine (PAF): ampiamente prodotto dall'attivazione di mastcellule, basofili, eosinofili, neutrofili, piastrine, macrofagi, linfociti, è capace di sostenere molteplici ruoli nel complesso dei fenomeni flogistici, tra cui broncocostrizione acuta e protratta ed esaltazione della responsività delle vie aeree verso stimoli non specifici (come sperimentalmente si è verificato per la metacolina);

-prostaglandine: metaboliti ciclossigenasici dell'acido arachidonico, provenienti da cellule epiteliali ed endoteliali, da eosinofili e macrofagi (PG E2, PG F2) e anche da mastociti e piastrine (PG D2), con effetti miorilassanti (PG E2) o marcatamente miocostrittivi (PG F2, PG D2 );

-tromboxano: anche esso della linea ciclossigenasica dell'acido arachidonico, vi partecipa con Tx A2, rilasciato da endoteli, neutrofili, eosinofili, piastrine, macrofagi, con azionebronco-costrittrice marcata ma instabile; mentre il Tx B2,

rilasciato da neutrofili, eosinofili, macrofagi, risulta meno attivo del precedente, nel senso della miocostrizione, ma più stabile;

-leucotrieni, metaboliti lipossigenasici dell'acido arachidonico: fra essi, un effetto miocostrittivo fugace e prolungato viene esplicato da LT C4, LT D4, LT E4, rilasciati da mastociti, neutrofili, eosinofili, basofili, macrofagi.

La bronco-ostruzione, nella complessità dei suoi riflessi fisiopatologici, rappresenta in realtà il momento patogenetico più impegnativo e caratterizzante delle BPCO, proiettando immancabilmente le sue conseguenzialità e i suoi effetti anche nel futuro divenire del quadro morboso.

A questo riguardo il cardine del problema è rappresentato dalla reversibilità o irreversibilità della ostruzione stessa.

Indubbiamente i fenomeni di ordine funzionale introdotti dal broncospasmo e dalla costrizione della muscolatura liscia bronchiale - pur se capaci di indurre un ostacolo espiratorio, ossia un intrappolamento di aria e quindi una temporanea iperdistensione bronchiolo-alveolare (senza effetti distruttivi settali) e aumento delle resistenze al flusso delle correnti aeree-sono per gran parte reversibili, sia mediante gli opportuni trattamenti terapeutici, sia anche con la consapevole eliminazione dei fattori esogeni di rischio (fumo di sigaretta). Del pari molte componenti morfopatologiche sono suscettibili di completa regressione: l'edema parietale, la infiltrazione cellulare, e, in grado totale o parziale, la stessa iperplasia dell'apparato ghiandolare muco secernente.

Ma, allorché nel quadro morboso si viene a protrarre la persistenza delle componenti originarie suscettibili di smaltimento, (edema, infiltrazione cellulare), si determinano inevitabilmente orientamenti di tipo produttivo più o meno vivaci che possono giungere a delineare fibrosi peri ed endoalveolare, iperplasia della muscolatura liscia, non suscettibili di regressione e di reversibilità. Ancor più una situazione di irreversibilità entra in campo quando il processo broncopatico viene a spostarsi nell'area dell'enfisema, realizzando, tra l'altro, la perdita del supporto alveolare alle piccole vie aeree e il ritorno elastico (long elastic recoil).

 

I perturbamenti nell'equilibrio enzimatico del polmone profondo rappresentano, secondo le più moderne vedute, il meccanismo patogenetico più diretto per la instaurazione dell'enfisema polmonare, le cui origini restano, pertanto, del tutto disancorate dai fondamenti meccanicoostruttivi ipotizzati nei tempi passati.

 

La flogosi delle vie aeree - prossimali e distali - resta sempre il filo patogenetico conduttore: una gran parte dei prodotti promananti dal processo flogistico viene a turbare l'equilibrio enzimatico che protegge, dal possibile intaccamento, le strutture bronchiolo-alveolari del polmone profondo, nel territorio posto distalmente al bronchiolo terminale.

Nella tab.02x gli enzimi di tipo proteasico responsabili della degradazione e della distruzione delle matrici connettivo - elastiche polmonari, se non adeguatamente antagonizzati dallo schermo protettivo enzimatico, antiproteasico. Si tratta, essenzialmente di principi elastasici - antielastasici cui - secondo quanto riportato nella tab.02x e nella tab.03x - sono non di rado da aggiungere prodotti proteasici direttamente provenienti da cellule batteriche, nel corso di sopraggiunte infezioni (come in caso di infezioni da Pseudomonas).

Accanto a quelle inserite in tabella (con la rispettiva derivazione e punto di attacco), altre fonti di proteasi sono gli endoteli vasali, le mastcellule, i basofili, gli eosinofili.

Il sistema antagonizzante - antiproteasico, e quello più specificamente antielastasico - è principalmente rappresentato dalla alfa 1 antitripsina, sintetizzata dalle cellule epatiche e riversata in circolo, con destinazione polmonare ed extrapolmonare (denominata anche alfa 1 proteinase inhibitor), cui si affiancano la alfa 1 antichimotripsina, la alfa 2 macroglobulina, il "bronchial mucus inhibitor" (o anti leucoproteasi) (tab.03x).

Perturbamenti nell'equilibrio enzimatico del polmone profondo possono determinarsi a seguito di varie condizioni (fig.01x).Un eccesso di principi proteasici (di provenienza flogistica) può non trovare uno schermo antiproteasico valido, anche se fisiologicamente normale, ma quantitativamente inadeguato a fronteggiare il carico: si determina in tal modo un deficitantiproteasico relativo che lascia le matrici strutturali polmonari scoperte di fronte all'attacco elastolitico e proteolitico.

  È quanto si verifica più abitualmente nella maggior parte delle forme di enfisema iscritto nel quadro delle broncopneumopatie ostruttive.

Una carenza genetica nella produzione di alfa 1 antitripsina (che - come risulta dalla tab.03x - è l'unica efficiente salvaguardia protettiva del polmone profondo) può determinare un deficit antiproteasico primitivo (o assoluto), che in realtà è riconoscibile in un limitato numero di soggetti, rendendosi responsabile, anche in assenza di manifestazioni broncopatiche, di forme cosiddette primitive di enfisema polmonare.

Una terza condizione è rappresentata da deficit antiproteasico funzionale, determinato dal fatto che lo schermo antiproteasico, pur quantitativamente sufficiente, resta inoperante in quanto inattivato da radicali liberiossidanti affluiti nel polmone profondo.

Nelle più recenti revisioni dei problemi patogenetici delle BPCO un particolare ruolo è stato riconosciuto al sistema ossidanti-antiossidanti (tab.04x) suscettibile di intervenire ed in terre agire con i fenomeni legati al binomio "proteasi-antiproteasi". Radicali liberi ossidanti, capaci di svolgere azione citotossica locale e di inattivare lo schermo antiproteasico (soprattutto quello più importante rappresentato dalla alfa 1 antitripsina) possono provenire dai siti stessi della infiammazione e anche dall'esterno, inseriti nell'ambito delle stesse nocività respiratorie che hanno dato origine alle vicende morbose.

L'intervento di principi antiossidanti, sufficientemente dislocati nei siti dell'offesa ossidante, è in grado di neutralizzarne gli effetti nocivi.

 

 

Anatomia patologica

 

Le alterazioni anatomiche in corso di BPCO si iscrivono con variabile profilo lungo le vie aeree prossimali e distali e nel polmone profondo, in rapporto anche alle vicende che, nel tempo, vengono ad improntare il quadro morboso.

La fibrobroncoscopia, attraverso la visione endoscopica del lume bronchiale, sino alle diramazioni di ordine segmentario, è in grado di apprezzarne alcuni aspetti macroscopici, espressi, in genere, da una mucosa turgida, edematosa, più o meno marcatamente arrossata, ricoperta, a tratti, da veli di materiale secretivo, di non sempre agevole rimozione. Particolare turgore è dato talora rilevare a livello degli orifizi di diramazione bronchiale intralobari che possono risultare ristretti. Nelle forme più marcatamente secretive ed infettate il secreto, oltre che abbondante, si presenta di colorito gialloverdognolo, espressione di carattere muco-purulento.

Le alterazioni istologiche più semplici sono quelle della bronchite cronica a carattere secretivo.In essa sono interessate le grandi vie aeree (trachea, bronchi extra ed intrapolmonari) con i consueti fenomeni della flogosi: iperemia, vasodilatazione, edema della mucosa, cui peculiarmente si aggiunge ipertrofia e iperplasia dell'apparato mucosecernente.

La partecipazione cellulare può assumere varie modulazioni quantitative e qualitative in ragione dello stimolo flogistico esogeno e della sua persistenza: fitta accorsa di macrofagi e mastcellule in rapporto al fumo di sigaretta; reclutamento di abbondanti quote di neutrofili negli episodi di riacutizzazione; di eosinofili, specie in rapporto a stimoli allergizzanti; di basofili e linfociti.

La ipertrofia e iperplasia dell'apparato muco-secernente interessa tanto le cellule caliciformi di superficie, quanto gli epiteli delle ghiandole tubulo-acinose della sottomucosa. Le cellule caliciformi tendono ad aumentare di numero sino ad indurre estesi fenomeni di metaplasia mucigena, rimpiazzando anche le cellule ciliate, danneggiate dalla flogosi e sfaldate nel lume bronchiale.

La ipertrofia e iperplasia delle formazioni tubulo-acinose (fig.02x) comporta un aumento più o meno significativo nello spessore della parete bronchiale, alterando, a vantaggio della componente ghiandolare (che nel soggetto normale occupa solo un quarto dello spessore della parete) i valori dell'indice di Reid. La iperproduzione di mucine bronchiali (sialo- sulfoe fucoso mucine) modifica, come già ricordato, le proprietà reologiche del tappeto mucoso che viene a distendersi (con la fase "gel" soprastante e la sottostante fase "sol") in superficie, determinando conglutinazione delle ciglia, formazione di megaciglia, deterioramento del battito ciliare.

La infezione batterica accentua drasticamente tutti gli anzidetti fenomeni, tanto per quanto riguarda i movimenti cellulari (fig.03x), tanto per quanto concerne gli atteggiamenti secretivi, conferendo al quadro anatomo-istologico gli aspetti della bronchite mucopurulenta.

A livello distale, bronchiolare, prendono maggiore evidenza i segni morfopatologici della broncopatia ostruttiva: i movimenti cellulari (leucocitari, linfocitari, macrofagici) dimostrano (fig.04x) fitto dispiegamento, dilagando anche in un ampio alone peri-bronchiolare, mentre, all'interno, il lume viene a restringersi o a rimanere obliterato ad opera di zaffi muco-epiteliali. Nelle forme da più tempo cronicizzate si associa una evidente iperplasia della muscolatura liscia della parete bronchiolare.

 

È stato già in precedenza fatto cenno al significato che, nella storia naturale delle BPCO, assume il binomio "ipersecrezione-infezione" e le interferenze con i veri e propri meccanismi bronco-ostruttivi e con il determinismo del broncospasmo, trasferendo più distalmente i fenomeni flogistici e imprimendo alle complessive vicende dello stato morboso più rapidi perfezionamenti.

 

La broncopatia cronica ostruttiva presume l'impegno delle vie bronchiali più distali e delle diramazioni bronchiolari, presentandosi, a volte, come prima espressione di malattia, non preceduta da interessamenti bronchopatici a carattere ipersecretivo; a volte come il successivo viraggio di una forma inizialmente secretiva.

Il contrassegno clinico più significativo delle broncopatie ostruttive è dato da "tosse e dispnea", così come "tosse ed espettorato" contrassegnano le forme di tipo secretivo.

La tosse, peraltro, manifesta modalità alquanto differenti da quella delle forme secretive, assumendo quasi sempre il carattere della tosse secca, insistente, spesso anche notturna, suscitata o incrementata dalle profonde inspirazioni, scarsamente seguita da espettorazione. Il suo determinismo è difatti diverso da quello delle broncopatie secretive, nelle quali la tosse è suscitata dalle stesse secrezioni e finalizzata alla loro mobilizzazione ed emissione all'esterno: nelle forme ostruttive, invece, la tosse è indotta dalla flogosi irritativa, esprimendo, quasi, un vano tentativo di superare l'ostacolo ostruttivo, talora rappresentato da secrezioni tenacemente adese alla parete bronchiolare.

La dispnea, di netto tipo espiratorio, suole assumere all'inizio, scarsa evidenza, rilevabile solo dopo uno sforzo o una prestazione fisica, per assumere poi marcata evidenza nelle fasi più avanzate della malattia. Essa è la diretta espressione dell'ostacolo espiratorio, obbiettivato, all'ascoltazione del torace, dall'apprezzamento di sibili più o meno fini o finissimi, a seconda dei livelli medio-prossimali o distali dell'impegno ostruttivo.

Nelle fasi iniziali o in quelle di relativa quiescenza, le prove spirometriche sono sempre in grado - anche in mancanza di apprezzabili segni clinici - di dare evidenza al fenomeno ostruttivo attraverso un aumento più o meno pronunciato della capacità funzionale residua (CER) e/o una diminuzione del volume espiratorio (VEMS).

 

La broncopatia cronica ostruttiva, con accessionalità asmatiche (bronchite asmatica di alcune nomenclature) è una frequente variante delle forme puramente ostruttive. Clinicamente essa si esprime mediante crisi accessionali o variamente persistenti di broncospasmo, restando del tutto svincolata da fondamenti allergologici (estrinseci o intrinseci) che sono alla base delle forme genuine di asma bronchiale.

In questa ultima eventualità - come è noto - la situazione clinico-funzionale si normalizza appena terminata la crisi, mentre nelle accessionalità broncospastiche della bronchite ostruttiva, la cessazione dell'attacco lascia in atto e pienamente obbiettivabili, in senso clinico e funzionale, i fenomeni ostruttivi di base.

In rapporto al rilascio dei già menzionati mediatori nei siti della flogosi, la crisi broncospastica può esplodere inopinatamente o sotto l'azione di diverse occasionalità, espresse da eventi fisici, chimici, meteorologici, o da particolari atteggiamenti individuali (sforzi ed esercizi fisici, difficoltà digestive, stress ecc.).

La presenza o la tendenza al broncospasmo può essere semeiologicamente apprezzata mediante la semplice ascoltazione, o anche attraverso la ascoltazione dei campi polmonari anteriori mentre si provoca una forzata espirazione esercitando una pressione manuale sui versanti superiori dell'addome, in modo da indurre un rapido innalzamento espiratorio del diaframma (Blasi).

 

L'enfisema polmonare non possiede, in realtà, elementi di valutazione clinica di sicura significatività, ben scevrabili dai fenomeni che caratterizzano la broncopatia ostruttiva e che ne potrebbero indicare il viraggio. E, certamente, questa difficoltà di precisazione è uno dei principali motivi che ha indotto ad adottare la comune denominazione di BPCO nei soggetti con referenze anamnestiche di tipo broncopatico nei quali si profila il sospetto di una possibile condizione di enfisema. Questa riserva non vale per quelle forme di enfisema cronico primitivo che si origina e sviluppa anche in soggetti non fumatori - spesso prima dei 40 anni e senza alcun precedente broncopatico - quale espressione più o meno palese di un deficit genetico dei fattori enzimatici di protezione antiproteasica (alfa 1 antitripsina): in tali occorrenze- molto più rare delle forme post bronchitiche - i fenomeni clinici sono dominati dalla dispnea, sia nell'esordio che per tempi anche prolungati di malattia, prima di sfociare, come l'enfisema secondario, nella insufficienza respiratoria cronica.

Nell'enfisema cronico secondario, post bronchitico, le evocazioni anamnestiche sono più significative: fumo di sigaretta in quantità eccessiva (oltre 10-15 sigarette al giorno) e da molti anni; fenomeni broncopatici (tosse, espettorazione) datanti da più o meno lungo tempo; frequenti ricorrenze infettive, con ritmi spesso molto riavvicinati; dispnea espiratoria, propria di ogni forma ostruttiva. Si dice che l'annuncio di una sopraggiunta condizione enfisematosa è dato, nel broncopatico cronico, dalla insorgenza di dispnea sbuffante, con espirazione a labbra socchiuse; ma si tratta di un fenomeno non costante e di non sempre agevole constatazione.

Quando l'enfisema è ormai conclamato, la dispnea, insorgente al minimo sforzo o talora anche a riposo, rappresenta il dato più significativo, accompagnandosi ad una obbiettività semoiologica segnata da atteggiamento inspiratorio del torace (torace a botte); da marcata iperfonesi, con scomparsa dell'aia di ottusità cardiaca; da margini polmonari abnormemente abbassati (a livello diaframmatico) e scarsamente mobili; da murmure vescicolare attenuato, con espirazione prolungata.

Le compromissioni della funzionalità respiratoria, nelle fasi più avanzate, in cui alle alterazioni della ventilazione si associano anche quelle a carico degli scambi gassosi, sono rivelate dalla presenza di cianosi, particolarmente marcata nei soggetti portatori di enfisema post bronchitico, definiti, tradizionalmente come blue blouters, a differenza dei soggetti con enfisema primitivo, designati come pink puffers.

Nella tab.07x, sono richiamati gli elementi di queste due differenti situazioni.Oltre agli aspetti a suo tempo inseriti in essa, e tuttora pienamente validi, è stato osservato (Bonsignore) che i "blue blouters", solitamente ipercapnici e policitemici, sono esposti ad una marcata desaturazione durante il sonno, con il rischio di transitorie fasi di apnea (sleep apnea), rispetto ai "pink puffers" che hanno più stabili valori emogasometrici. Indipendentemente da questi andamenti, la insufficienza respiratoria cronica, ipossiemica, ipercapnica e la instaurazione di cuore polmonare  cronico, rappresentano, per l'enfisema polmonare e per le varie forme di BPCO, non tempestivamente trattate, la tappa più avanzata di malattia.

 

 

 

Indagini diagnostiche

 

Come emerge dal precedente paragrafo, le manifestazioni cliniche che più significativamente si ripetono nella storia naturale delle BPCO fanno riferimento a tre comuni espressioni: tosse, ipersecrezione bronchiale, dispnea, che possono presentarsi con andamenti differenti, anche se non sempre esplicitamente discriminabili, in rapporto ai diversi profili del quadro morboso. Dal loro preliminare rilievo, secondo i comportamenti sinotticamente riportati nella tab.08x, prendono avvio le indagini diagnostiche, di vario ordine, atte a formulare una valutazione clinico-funzionale, quanto più possibile corretta e completa, della situazione presentata dai singoli pazienti.

 

 

Indagini radiologiche

 

Vanno sempre e in ogni caso sistematicamente eseguite e periodicamente ripetute (specie nei fumatori, esposti al rischio del cancro broncogeno), non tanto per trarre elementi di convalida alla diagnosi clinica di broncopatia, quanto soprattutto per eliminare altre affezioni, più idoneamente configurate sul piano radiologico, aventi in comune con le BPCO alcuni segni indicativi, come tosse ed espettorato. In questo senso è molto importante poter detrarre, attraverso il riconoscimento radiologico, da una fenomenologia di apparente tipo bronchitico, una forma neoplastica o un quadro di fibrogranulomatosi polmonare, anche esso persistentemente sostenuto da tosse e dispnea.

Come è noto, le broncopatie croniche non possono avere una chiara corrispondenza radiologica, in quanto le componenti patologiche che ne sono alla base (ipersecrezione, iperplasia mucipara ghiandolare, flogosi della parete bronchiale) non sono di norma suscettibili di tradursi in immagini radiologiche, e tanto meno di suscitare un reperto (caro a molti radiologi) di rinforzo della trama broncovasale.

Solo in rapporto ad infezioni ricorrenti, con reazioni flogistiche endo e peribronchiali di una certa entità, o con evoluzione in senso organizzativo (fibrosi peribronchitica) possono derivare nell'esame radiografico del torace, specie nel campo medio-basale, più o meno spiccate accentuazioni del disegno bronchiale, con strie singole o parallele, con disomogenee reticolazioni periferiche, con aree di disventilazione, indotte dalle componenti bronco-ostruttive periferiche (fig.07x).

Diverse sono le considerazioni che devono essere prospettate per la diagnosi radiologica di enfisema e per la discriminazione di una situazione di iperdistensione bronchiolo-alveolare (possibile conseguenzialità di meccanismi ostruttivi) da una condizione reale di enfisema. Occorre tener presente che la iperdistensione implica aumento degli spazi aerei, ma non distruzione dei setti e della rete capillare decorrente in essi, evento, quest'ultimo, di esclusiva pertinenza dell'enfisema. Le corrispondenze radiologiche, in tal caso mettono in evidenza: marcata iperluminosità, rarefazione del fine disegno vascolare, ampliamento degli spazi intercostali, aumento del diametro antero-posteriore del torace e dello spazio chiaro retrosternale, abbassamento ed appiattimento delle cupole diaframmatiche (figg. 8-9).

In realtà questi aspetti sono quelli che prevalgono nell'enfisema panlobulare, più caratteristicamente legato alle forme di enfisema primitivo, ove i segni radiologici della marcata iperdistensione - più evidenti nei distretti superiori - si accompagnano con accentuata rarefazione del disegnovascolare (arterial deficiency), con immagine cardiaca di modeste proporzioni e peduncolo vascolare allungato.

Nell'enfisema centrolobulare, post bronchitico, i segni della iperdistensione - almeno nelle prime fasi - sono piuttosto modesti e prevalentemente localizzati ai campi polmonari inferiori, con disegno vascolare relativamente accentuato (increased markings) irregolarmente definito nei suoi contorni; mentre l'immagine cardiaca è aumentata di volume, associandosi ad evidente slargamento del tronco comune e dei rami principali dell'arteria polmonare, a causa dell'ipertensione instauratasi nel piccolo circolo.

La tomografia assiale computerizzata (TAC) da un lato, la risonanza magnetica, e la scintigrafia perfusiva, sono in grado di dare, al riguardo, più perfezionati e decisivi reperti.

 

 

Indagini broncologiche

 

Sia l'esame broncoscopico mediante fibrobroncoscopia, sia quello broncografico non trovano abituale impiego in corso di BPCO; tranne che detti esami (specie quello endoscopico) non siano sollecitati nel sospetto di affezioni di altra natura. Lemoine, attraverso una lunga approfondita esperienza, aveva messo in luce (1985), nelle bronchiti croniche secretive e in quelle ostruttive, alcune suggestive immagini endoscopiche espresse da segni di flogosi parieto-bronchiale, da presenza di materiale secretivo adeso alla parete, da ipervascolarizzazione, da parziali restringimenti del lume bronchiale.

 

 

Indagini allergologiche

 

Anche esse hanno carattere di esclusione, specie nelle forme di broncopatia ostruttiva con accessionalità asmatiche, per le quali occorre ricorrere alle metodiche allergologiche (test cutanei, dosaggio delle IgE) per escludere la eventuale dipendenza da fattori allergici e la appartenenza a forme più o meno genuine di asma bronchiale da fattori estrinseci, che non fanno parte delle BPCO.

Peraltro l'accertamento di uno stato di atopia potrebbe giustificare la facile tendenza a stati permanenti o a crisi accessionali di tipo broncospastico.

 

 

Indagini microbiologiche

 

La frequente sovrapposizione di infezione, da parte di agenti batterici, e la frequente ripetizione di ricorrenti infezioni lungo il pluriennale decorso delle BPCO, sino a concretarne i ricordati aspetti di broncopatia muco-purulenta, comportano il doveroso ricorso ad indagini microbiologiche, non solo per esigenze diagnostiche ma anche e soprattutto, per necessità terapeutiche.

Il problema è volto, in particolare, all'impiego di metodiche batteriologiche, in quanto quelle virologiche, a parte la non agevole attuazione (tranne che in ambienti altamente qualificati) appaiono, in certo modo, non necessarie dato che la infezione da parte di agenti virali (molto comune nelle broncopatie acute) è effettivamente molto rara nelle broncopatie croniche.

D'altronde la identificazione di un eventuale stipite virale, mentre riveste indubbia importanza da un punto di vista epidemiologico, trova limitati riflessi pratici per la mancanza di farmaci attivi in senso antivirale.

Pertanto in rapporto alle BPCO, i problemi interessano essenzialmente la diagnosi microbiologica delle infezioni di natura non virale dell'apparato respiratorio (Turano; Grassi e Coll).

Le indagini, a tal riguardo, vanno espletate sulle secrezioni bronchiali, idoneamente raccolte: o attraverso la spontanea emissione dell'espettorato (dopo ripetuto lavaggio del cavo orale mediante soluzione fisiologica sterile); o attraverso il prelievo endobronchiale per via bronscopica; o per puntura ed aspirazione transtracheale.

Con l'ausilio delle indagini microbiologiche, nelle infezioni delle vie respiratorie in corso di BPCO è possibile:

 

-identificare la flora batterica responsabile;

-procedere alla valutazione quantitativa della carica batterica, verificandone anche nel tempo le variazioni; acquisizione, questa, di non trascurabile importanza, sulla quale molto opportunamente insistono-con originali proposte metodologiche-alcune Scuole microbiologiche italiane (Turano);

-stabilire la sensibilità delle specie batteriche, isolate ed identificate, verso i farmaci (antibiogramma), onde mettere in pratica una mirata terapia medicamentosa.

Nelle infezioni ricorrenti in corso di BPCO dell'adulto dominano ai tempi attuali:

-nelle vie aeree prossimali: Staphilococcus aureus; Streptococcus pneumoniae (fra i gram pos.); Haemophilus influenzae, Kleissiella pneamoniae (fra i gram neg.);

-nel polmone profondo, oltre le anzidette specie, possono anche essere responsabili di infezione: Pseudomonas spp., Escherichia coli, Serratia e altri gram neg. (Turano).

 

 

Indagini funzionali

 

Su di esse è accentrato il più importante ruolo nel complessivo iter diagnostico delle BPCO e nel periodico monitoraggio evolutivo, attraverso il controllo dei diversi settori della funzione respiratoria, dei meccanismi fisiopatogenetici che alimentano il quadro morboso, dei trattamenti terapeutici.

Lo studio della reattività bronchiale trova richiesta nelle forme precocemente e direttamente ostruttive, e/o facilmente tendenti al broncospasmo e alle accessionalità di tipo asmatico.In tali occorrenze è opportuno dare evidenza ad un eventuale aumento della reattività bronchiale nei confronti di stimoli aspecifici o specifici; condizione, questa, che può far parte di una primitiva suscettibilità individuale o essere secondariamente conseguenziale a eventi morbosi intercorrenti (bronco e pneumopatie acute batteriche o virali, episodi di riacutizzazione).

I test di provocazione bronchiale sono essenzialmente fondati sull'impiego di alcuni agenti bronco-costrittori, e sulla misurazione -precedentemente e successivamente alla bronco stimolazione - dei più comuni e indicativi valori funzionali respiratori (FVC; FEV1 e varianti), che, in caso di risposta positiva, denoteranno più o meno significative alterazioni, rispetto ai valori precedentemente accertati o conclamati effetti bronco-ostruttivi e/o broncospastici.

Attualmente sono in uso test di provocazione di varia natura, farmacologica e non farmacologica:

-inalazione di soluzioni nebulizzate di metacolina, carbacolo, acetilcolina, istamina, bradichinina (test farmacologici).

-iperventilazione con aria fredda, nebbia ultrasonica; prove di esercizio fisico (test non farmacologici).

In effetti queste metodiche costituiscono un affidabile mezzo non solo per valutare le condizioni individuali della reattività bronchiale e la eventuale responsabilità patogenetica di tale fattore, ma anche per accertare le possibili variazioni nel tempo e gli effetti conseguiti dalla terapia (broncodilatatori, corticosteroidi per via locale), capaci di indurre, per brevi o lunghi termini, sensibili decrementi della reattività bronchiale.

L'esame della funzione ventilatoria mediante spirometria rappresenta l'indagine di routine nelle BPCO, e va costantemente praticato non solo per dare evidenza ai parametri qualificativi dello stato morboso, ma anche per monitorarne nel tempo la evoluzione sul piano funzionale e per verificare i risultati conseguiti dai trattamenti terapeutici.

Paradigmaticamente la sindrome ostruttiva è espressa da un quadro disventilatorio che, accanto alla riduzione della capacità vitale (CV) e della capacità vitale forzata (CVF), comprende anche aumento del volume residuo (VR) e della capacità funzionale residua (CFR) ed una evidente compromissione della capacità espiratoria. Pertanto il valore VEMS (o FEV1: volume espiratorio massimo al primo secondo della espirazione) risulta ridotto; come anche ridotto risulta il suo rapporto con la capacità vitale (VEMS/ CV: indice di Tiffeneau, normalmente attestato su valori del 70-80%). Aumentato, invece, è il rapporto tra volume residuo (VR) e capacità polmonare totale (CPT) normalmente espresso da valori del 25-30%, a denotare l'abnorme ristagno di aria nei polmoni.

Le modificazioni nel profilo delle curve flusso/volume mettono in evidenza l'aumento delle resistenze al flusso aereo. La esecuzione di prove farmaco-dinamiche mediante la determinazione del FEV1 (e delle varianti al 25% e al 75% della CV) e del massimo flusso espiratorio istantaneo (MEF) al 50% della CV, prima e dopo somministrazione, per via inalatoria, di un farmaco bronco dilatatore, è idonea ad evidenziare la reversibilità della componente ostruttiva, rivelata dal completo o parziale ritorno dei valori del FEV1 (e delle varianti eventualmente utilizzate) verso i livelli normalmente prevedibili.

  È noto che le componenti broncoostruttive vengono ad interessare in maniera non omogenea i vari distretti polmonari, pertanto il complessivo profilo disfunzionale resta caratterizzato da ineguale distribuzione intrapolmonare dell'aria inspirata. Tale perturbamento comporta una alterazione nel rapporto ventilazione/perfusione: nelle situazioni disfunzionali a prevalente impronta broncopatica e ostruttiva si realizza un effetto tipo "shunt", nel senso che una parte più o meno estesa di settori parenchimali normalmente perfusi restano ipoventilati ed incapaci a fornire il dovuto apporto di O2 alle correnti ematiche. Al contrario, nelle situazioni ad impronta enfisematosa, l'alterazione nel rapporto ventilazione/perfusione è condizionata dal più marcato deterioramento della componente perfusiva, con la realizzazione di un effetto tipo "spazio morto" dovuto al fatto che molti territori parenchimali, pur abnormemente dilatati, restano aperti alla ventilazione, ma non sono adeguatamente perfusi.

Anche lo studio della capacità di diffusione al monossido di carbonio (DLCO), a riposo e sotto sforzo, e della determinazione in respiro singolo (DLCO sb) può validamente integrare i dati delle indagini spirometriche: una bassa capacità di diffusione, associata a valori elevati di capacità funzionale residua (CFR) rende molto più probabile la diagnosi di enfisema, mentre, al contrario, la positività dei segni spirometrici di ostruzione (decremento dei valori FEV1) con indici normali di diffusione del monossido di carbonio (DLCO) escludono il sospetto di enfisema.

Ulteriori elementi discriminativi fra broncopatia ostruttiva ed enfisema possono provenire dalla pletismografia corporea e dallo studio della elasticità polmonare, avendo i soggetti in area broncopatica ancora conservate le proprietà elastiche polmonari che, nell'enfisematoso, risultano sempre più o meno deteriorate.

L'emogasanalisi arteriosa oltre che valutare, nelle forme già conclamate, il comportamento degli scambi gassosi intrapolmonari, è soprattutto utile per mettere in evidenza forme latenti di insufficienza respiratoria cronica. Al riguardo i principali parametri emogasanalitici sono espressi dalla pressione parziale di ossigeno sciolto nel sangue (PaO2), dalla pressione parziale di anidride carbonica (PaCO2), dai valori della saturazione, dal pH, dai bicarbonati plasmatici.

 

I dati che emergono dallo studio danno luogo a pattern rivelatori di insufficienza respiratoria latente; di insufficienza respiratoria cronica parziale (semplicemente ipossiemica); di insufficienza respiratoria cronica globale (ipossiemica -ipercapnica); di insufficienza respiratoria cronica globale, con acidosi respiratoria compensata o non compensata.

Non privi di importanza sono, infine, i dati emocromocitometrici, non tanto per valutare il significato della flogosi e l'avvento di infezione batterica (leucocitosi neutrofila), quanto per dare più precisa configurazione alla compromissione degli scambi gassosi: una cospicua policitemia-indotta dalla ipossiemia cronica -ed un elevato valore ematocrito (come classicamente si ha nei "blue blouters") non solo è utile alla completezza diagnostica, ma può dare anche necessari orientamenti per la terapia.

In tempi recenti, e in ambienti pneumologici altamente qualificati, sono state introdotte e perfezionate appropriate indagini per studiare i perturbamenti respiratori durante il sonno. Come è stato in precedenza accennato, nel broncopneumopatico cronico si possono verificare, specie nella fase REM del sonno, episodi di ipossiemia e di desaturazione emoglobinica che, attualmente, si possono registrare in apposite camere del sonno, con rilevazioni polisonnografiche dotate di apparecchiature per la trascrizione dei movimenti toraco-addominali e per le determinazioni emogasanalitiche.

 

 

Terapia, riabilitazione, prevenzione nel broncopneumapatico cronico

 

Le BPCO traducono, nel loro complesso, uno stato di persistente cronicità, tra i più prolungati che la pratica medica possa registrare, estrinsecandosi, per molti anni e decenni, con manifestazioni cliniche e clinico-funzionali variamente eclatanti, e con alterne fasi di quiescenza, di esacerbazione, di ingravescenza, sullo sfondo di una condizione di invalidità, relativa o assoluta, che può incidere anche profondamente sulla psicologia del malato e sulle sue qualità di vita.

Molto opportunamente, nei tempi attuali, è stata rivolta una consapevole attenzione alle qualità di vita dei soggetti colpiti da stati morbosi altamente invalidanti (broncopatici, cardiopatici, portatori di tare neurologiche o di forme neoplastiche), aprendo al riguardo un suggestivo capitolo dal quale sono stati eliminati i significati empirici del passato, per dare ad esso più moderni contenuti. Gli attuali intendimenti, pertanto, sono volti a dare configurazione, in termini analizzabili e confrontabili scientificamente, all'assetto fisico, psicologico, sociale del singolo individuo (o di determinate categorie di individui) in rapporto ad un prefissato stato morboso ed ai trattamenti terapeutici e prevenzionali adottati per esso.

Ed è proprio per il carattere estremamente cronico ed invalidante, insito nelle BPCO, e per le sollecitazioni che in senso medico e umano provengono dai soggetti che ne sono affetti, che i compiti-invero complessi-della terapia, della riabilitazione, della prevenzione, tra loro strettamente concatenati, si proiettano nell'immediato e nel più lontano futuro, con la implicita istanza di migliorare le qualità di vita dell'individuo portatore di BPCO.

 

La terapia medicamentosa è fondata sulle varie categorie di farmaci destinati a dominare, più o meno elettivamente, i vari fenomeni clinici. Esse pertanto vengono a comprendere: mucolitici e mucoregolatori; chemioterapici; broncodilatatori, antireattivi e antiinfiammatori, con impiego che può essere effettuato tanto per via generale, quanto per via locale (inalatoria).

Comunque effettuati, questi interventi terapeutici presumono - quasi pregiudizialmente - la completa abolizione del più importante fattore di rischio e di nocività quale è il fumo di sigaretta.

I farmaci ad azione macolitica e mucoregolatrice trovano precisa indicazione nelle forme a netta impronta secretiva e nelle fasi ricorrenti, spesso stagionali, di ripresa ipersecretiva.

Sono ritenuti farmaci ad azione mucolitica diretta quelli capaci di svolgere una diretta azione di frammentazione, di lisi, di fluidificazione delle mucoproteine bronchiali già formate ed emesse nel lume bronchiale, con riduzione della loro viscosità. Il più noto ed impiegato, nell'ambito di questa categoria, è la acetil cisteina, somministrabile per via orale, parenterale, aerosolica, svolgendo, a livello respiratorio, anche altre importanti azioni sussidiarie, cui si farà successivamente cenno.

Più estesa è la serie dei farmaci ad azione mucolitica indiretta, comprendente medicamenti che esplicano la loro azione a livello dell'apparato muco-secernente, modificandone la produzione sia in senso quantitativo che qualitativo. Tali sono: composti jodati organici (jodo-propiliden-glicerolo, domiodolo); carbossimetilcisteina; sobrerolo; bromexina; ambroxol; letosteina; stepronina; tiopronina, e altri.

I chemio-antibiotici sono indispensabili per dominare le riacutizzazioni infettive, febbrili o afebbrili, talora rilevate solo dal viraggio dell'espettorato verso aspetti muco-purulenti. In genere, all'inizio dell'episodio di riacutizzazione, tutte le categorie di chemioterapici attualmente disponibili (penicilline; cefalosporine; aminoglucosidi: macrolidi; chinolonici ecc.) possono essere adoperati senza alcun pregiudizio e per il tempo strettamente necessario alla copertura terapeutica. In caso di infezioni frequentemente ricorrenti è necessario effettuare le dovute indagini microbiologiche sulle secrezioni bronchiali, correttamente prelevate, per la individuazione della flora batterica responsabile e per l'accertamento della sensibilità ai medicamenti, onde dare carattere più mirato alla chemioterapia. Molti chemioterapici dell'epoca attuale sono anche validamente utilizzabili per via aerosolica, in combinazione con mucolitici, broncodilatatori, cortisonici.

I broncodilatatori rappresentano la più importante risorsa terapeutica delle sindromi ostruttive: i teofillinici (per via venosa o orale) trovano prevalente impiego nelle accessionalità ostruttive di una certa gravità e persistenza e quando esiste dispnea più o meno marcata; gli anticolinergici sono usabili in pratica solo per spray predosato (ipratropium bromuro), oppure per aerosolizzazione, con apparecchi tradizionali, o con nebulizzazioni a pressione positiva, in eventuale combinazione con beta 2 stimolanti, mucolitici, corticosteroidi.

I beta 2 stimolanti annoverano una lunga serie di farmaci, continuamente rinnovata dalla introduzione di nuove entità, che, in fondo, rappresentano aggiustamenti chimici di principi già in uso, con l'intento di migliorarne il rendimento e di ridurre i fenomeni indesiderabili. Nella tab.09x ne è riportato un elenco.

I corticosteroidi accanto ad una notevole attività antiinfiammatoria possiedono anche una rilevante azione broncospasmolitica, e, pertanto, nelle accessionalità di tipo asmatico delle broncopatie ostruttive, trovano piena utilizzazione,con somministrazioni - a seconda della immediatezza della richiesta - per via venosa, intramuscolare, orale, per trattamenti non molto prolungati nel tempo (2-3 settimane). La via aerosolica locale realizza effetti immediati e consente anche impieghi più prolungati, specie per alcune categorie di corticosteroidi particolarmente idonei a svolgere azione di superficie (beclometasone dipropionato, flunisolide, budesonide).

 

In tempi recenti si sta anche affermando l'impiego di medicamenti antiinfiammatori non steroidei (nimesulide, acido tiaprofenico, flurbiprofen, morniflumato) che possono, in effetti, indurre un certo contenimento della flogosi e affiancare l'azione dei chemioterapici nelle ricorrenze infettive.

 

L'ossigenoterapia domiciliare a lungo termine fa ormai parte integrante del trattamento delle forme avanzate di broncopatia ostruttiva e di enfisema. Dopo le esperienze effettuate in centri specializzati, si è realizzata anche in Italia una rete distributiva pienamente efficiente per la fornitura delle apparecchiature occorrenti e per il periodico rinnovo. Di più agevole impiego sono i contenitori ad ossigeno liquido, dotati di piccoli serbatoi sussidiari portatili.

Le osservazioni da tempo promosse da Petty, ed i numerosi Centri sorti in Italia hanno convalidato il dato che una erogazione giornaliera superiore alle 15 ore, e a basso flusso (1,5-2 l/min) consente di dominare forme gravi di dispnea e di cianosi, conferendo all'utente una certa autonomia di movimento e migliorando la qualità di vita. Risultano anche notevolmente favorite le prospettive di sopravvivenza, con indici, accertati, superiori di 5-10 anni rispetto ai soggetti non trattati.

 

Prospettive del tutto nuove, anche se non ancora convalidate da un adeguato tempo di impiego pratico, si stanno delineando per il trattamento medicamentoso dell'enfisema attraverso iarmaciadazione antidiselastasica. Negli Stati Uniti da circa 3 anni (1987) è stato introdotto un'"alfa 1 proteinase inhibitor" (prolastin) di estrazione dal plasma umano, usato per infusione venosa una volta per settimana in soggetti con deficit genetici di alfa 1 antitripsina: già dopo un mese di trattamento sono stati ottenuti livelli ematici (sino a 160 mg/dl) validi ad incrementare le capacità di protezione verso la elastasi neutrofila.

Altre possibilità sono offerte da medicamenti idonei a stimolare la sintesi di alfa 1 antitripsina a livello epatico (danazolo). Una azione antiossidante diretta, con contemporanea agevolazione nella sintesi del glutatione è offerta dal prolungato uso (alle comuni dosi terapeutiche) di acetil cisteina, come pure dalla somministrazione - sempre in funzione anti ossidante - di vitamina A e di vitamina E.

 

Vi è infine da accennare al trapianto del polmone, come proposta di trattamento di quadri avanzati di broncopatie ostruttive e di enfisema. Nell'ultimo quinquennio il problema ha palesato suggestivi sviluppi, soprattutto in alcuni centri canadesi e statunitensi (Cooper e Coll.) da cui sono provenute interessanti casistiche relative a soggetti in "end stage" di enfisema polmonare (ossigenodipendenti e con speranze di vita di 12-18 mesi) nei quali è stato effettuato:

-o trapianto in blocco dei due polmoni con innesto sopra carenale (orientamento ormai abbandonato);

-o trapiantobilaterale (sui rispettivi peduncoli bronchiali) dei due polmoni;

-o trapianto di un solo polmone. Questo ultimo metodo è quello che sembra attualmente preferito.

Negli ultimi dati di trapianto polmonare resi noti da Cooper e Low per il periodo 1°luglio 1989-30 giugno 1990 (36 trapianti complessivamente effettuati) compaiono 20 casi di enfisema (11 su base bronco-ostruttiva e 9 con deficit primitivo di alfa 1 antitripsina) nei quali è stato attuato 8 volte trapianto bilaterale e 12 volte trapianto di un solo polmone. Gli Autori ritengono che le compromissioni funzionali del polmone rimasto in situ, nel ricevente, vengano in certo modo ad essere smorzate o compensate dal polmone sano trapiantato. Un marcato miglioramento dei valori FEV1 è stato costantemente comprovato nei soggetti trapiantati.

Non vi è dubbio che su questi nuovissimi orientamenti si aprano promettenti speranze, soprattutto nella prospettiva di poter associare al trapianto in soggetti enfisematosi, con deficit relativo o primitivo di alfa 1 antitripsina, un trattamento medicamentoso antidiselastasico.

 

La terapia medicamentosa trova, nei soggetti con BPCO, valida integrazione nei trattamenti fisiokinesiterapici, con i quali è possibile agevolare il drenaggio all'esterno delle secrezioni bronchiali (allorché è in atto una sindrome ipersecretiva) e attivare idoneamente la cinetica respiratoria costo-diaframmatica, correggendo gli atteggiamenti inspiratori che il torace viene ad assumere in rapporto alla persistente iperdistensione bronchiolo-alveolare e allo stato enfisematoso. Considerata nel suo complesso e nei suoi possibili rendimenti, la fisiokinesiterapia respiratoria può integrare l'impiego dei medicamenti e ridurne il carico; può prevenire o ridurre il grado di incombente invalidità connessa allo stato morboso; può, infine, realizzare una vera e propria riabilitazione, contribuendo a migliorare le qualità di vita del broncopneumopatico cronico.

 

Analoghi compiti integrativi e riabilitativi, con il beneficio di poter sfruttare, per via inalatoria, alcune azioni terpeutiche, vanno riconosciuti alla sulfoterapia inalatoria termale, effettuata periodicamente, con cicli annuali o biennali, presso qualificati istituti termali (Sirmione, Tabiano, Telese, Acquasanta ecc.).

Per una più completa trattazione della riabilitazione nelle BPCO si rimanda al Capitolo incluso in quest'Opera, dal titolo "La riabilitazione funzionale del bronco-pneumopatico cronico", vol.7-cap.1.

 

Il capitolo delle BPCO non può essere chiuso senza fare cenno alla prevenzione.

Le dimensioni epidemiologiche e la complessità delle vicende che improntano la storia naturale delle BPCO, conferiscono alla prevenzione decisivi compiti.A monte della malattia e prima della sua possibile insorgenza si pone la prevenzione primaria che è rivolta ad eliminare i vari fattori di rischio prima che da essi possano provenire azioni nocive. Ad essa è legato - sul piano epidemiologico - il contenimento e la riduzione degli indici di incidenza delle BPCO. E, in questo senso, gli incitamenti sul singolo individuo e sulla collettività a sradicare l'abitudine al fumo di tabacco rappresenta il mezzo più valido di prevenzione primaria delle BPCO, cui vanno affiancati i provvedimenti, anche legislativi, rivolti alla protezione dai diversi rischi di inquinamento: ambientale, professionale, domestico e alla salvaguardia del fumatore passivo.

La prevenzione secondaria, che si suole distinguere in precoce e tardiva, si propone di arrestare il dinamismo evolutivo dello stato morboso prima che esso giunga a ineluttabili conseguenze. Questa finalità svolge un ruolo essenziale nel contenimento degli indici di prevalenza e delle cifre di invalidità e di mortalità, coinvolgendo direttamente l'opera del medico e la attiva collaborazione del malato. Per conseguire, in tal senso, un sicuro successo, la prevenzione secondaria trova valido fondamento nella diagnosi precoce, con interventi (ovviamente di tipo terapeutico) ai primissimi segni di malattia: stati ipersecretivi anche modesti, tosse insistente, insorgenza di dispnea anche dopo moderate prestazioni fisiche. O, ancor meglio, allorché, da qualche periodico controllo clinico-funzionale, cui specialmente il fumatore dovrebbe assoggettarsi, emergono segni ancora latenti di uno stato morboso non ancora affiorato alla evidenza clinica. Forme non ancora palesi di ostruzione bronchiale sono agevolmente riconoscibili attraverso un incipiente deterioramento del flusso espiratorio (FEV1), rilevato spirometricamente.

 

La precoce correzione medicamentosa della ipersecrezione, della broncoostruzione, delle infezioni ricorrenti rappresenta non solo una necessaria misura terapeutica, ma anche un implicito obbiettivo di prevenzione secondaria, valida a interrompere il dinamismo potenziale dello stato morboso e la sua naturale tendenza a spostarsi verso posizioni di irreversibilità.

Va, in proposito, sottolineato che la soglia critica fra reversibilità e irreversibilità nelle BPCO è rappresentata dalla bronco-ostruzione, alimentata e incentivata, nelle sue conseguenzialità, dalla ipersecrezione e dalle infezioni ricorrenti, fenomeni tutti di piena reversibilità. Superata la soglia critica della reversibilità si entra nell'area irreversibile dell'enfisema. Misure efficaci di prevenzione secondaria, come premessa alla stessa prevenzione della bronco-ostruzione, sono quelle volte a dominare e cancellare il binomio "ipersecrezione-infezione".

Sulla scorta delle numerose indagini condotte in Italia e all'estero, meritano credito e applicazione:

-i trattamenti periodici con cicli settimanali o decadali di chemioantibiotici (ampicillina, amoxicillina, tiamfenicolo in combinazione chimica con acetil , cisteina);

-i trattamenti prolungati, stagionali, con farmaci ad azione mucolitica ed antisecretiva (acetilcisteina, carbossimetilcisteina/sobrerolo, ambroxol);

-i trattamenti con immunomodulanti di estrazione batterica (parete di Klebsiella) o polibatterica, derivati timici.

Anche i cicli di sulfoterapia inalatoria termale risultano pienamente efficaci per la prevenzione delle riacutizzazioni, oltre che per il trattamento sussudiario di alcune fasi di malattia.

Ma - è doveroso conclusivamente rilevare, anche a titolo di consapevole raccomandazione -qualunque azione terapeutica e prevenzionale rimane inefficace e vanificata, se non vengono eliminati i fattori di rischio; soprattutto quello che riassume la più sicura e diretta espressione di nocività respiratoria, quale è il fumo di tabacco.         

 

 

Letture consigliate

 

 

Bast A., Goris R.J.A.: Oxidative stress. Biochemistry and human disease. Pharmac. Weekbl. Sci., 199, 1989.

Blasi A.,D’Alfonso G.: Apparato Respiratorio e nocività ambientali. Archivio Monaldi, 42, 7, 1987.

Blasi A., Marsico S.A., Mori G.: Bronchite cronica – Enfisema polmonare – Cuore polmonare cronico. C.N.M. Ediz. Scient., Milano, 1989.

Blasi A., Olivieri D.: L’ipersecrezione bronchiale. Il Pensiero Scientifico Ed., Roma, 1980.

Blasi A., Olivieri D.: I farmaci mucolitici, in: C. Grassi e G. Muisean, “Terapia Pneumologica” (pag. 259), USES, Firenze, 1987.

Bonsignore G.: La funzione cardio-respiratoria durante il sonno. Lettura al 91° Congresso Soc. Ital. Medicina Interna Taormina, 1990, Edizioni Luigi Pozzi.

Grassi C., Pozzi E., Nonis A.: Enfisema polmonare. Attualità patogenetiche e prospettive terapeutiche. Medicina Toracica, 6, 525, 1984.

Grassi C., Rampulla C., Casali L.: Le bronchiti. Aggiornamento Medico, 14, 496, 1990.

Low D.E., Cooper J.D.: Lung Transplantation in Shwartz, “Textbook of Surger”, in pubbl., 1991.

Mistretta A., Crimi N.; Broncopneumopatìe Croniche Ostruttive, in C. Grassi e G. Muiesan, “ Terapia pneumologica” (pag. 385), USES, Firenze, 1987.

Olivieri D.: Le bronchite cronica. Sintesi Pneumologica (5), Boehringer Ingelheim, Firenze, 1986.

Petty Th.: Diagnostic and Treatment of Chronic Obstructive Pulmonary Disease. Chest, 97, Suppl. 2, 1990.

 

 

A. Blasi

Professore Emerito di Tisiologia

e Malattie dell’Apparato Respiratorio

II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Napoli

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