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 Ultimo aggiornamento: 23.12.2013

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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA

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TOSSINFEZIONI ALIMENTARI ED ENTEROCOLITI BATTERICHE

 

Le tossinfezioni alimentari sono sindromi cliniche provocate dall'ingestione di cibi contaminati da microrganismi patogeni o dalle loro tossine. Devono essere distinte dalle intossicazioni alimentari che sono invece veri e propri avvelenamenti provocati da sostanze chimiche nocive.

In questo capitolo, nell'ambito delle tossinfezioni alimentari vengono comprese tutte le principali infezioni batteriche a trasmissione oro-fecale, anche se nella trattatistica classica si tende ad attribuire un significato più ristretto a queste sindromi, le cui principali manifestazioni sono rappresentate dal botulismo, dalla tossinfezione stafilococcica e dalla diarrea del viaggiatore.

Le tossinfezioni alimentari sono malattie assai frequenti; la loro diffusione è in continuo aumento, verosimilmente in rapporto alle mutate abitudini alimentari (largo uso di alimenti conservati, abitudine di consumare almeno un pasto giornaliero in luoghi pubblici ecc.).

  È importante tener presente che gli alimenti inquinati conservano generalmente inalterati i loro caratteri organolettici e non sono quindi identificabili sulla base del loro aspetto, colore, odore o sapore.

L'eziologia delle tossinfezioni alimentari è classicamente attribuita ad un numero limitato di microrganismi: Salmonella spp., Staphylococcus aurens, Clostridium periringens, Shigella spp., Eschertchia coli, Bacillus cereus, Cl. botulinum, Vibrio spp. ed alcune specie di Campylobacier, Yersinia ed Aeromonas. Sono stati raramente descritti anche casi di tossinfezione alimentare da Streplococcus faecalis ed Arizona. Le caratteristiche delle principali intossicazioni alimentari sono riassunte in tab.01x.

L'agente patogeno viene identificato solo in circa un terzo degli episodi di tossinfezione alimentare. Tra i casi ad eziologia determinata, le salmonelle sono gli agenti più frequentemente riscontrati (33%), seguite dallo stafilococco (25%) e da Cl. periringens (17%).

Le tossinfezioni alimentari si dividono in due grandi categorie:

a) forme dovute alla presenza negli alimenti di microrganismi patogeni in attiva moltiplicazione (es. salmonellosi);

b) forme dovute alla presenza negli alimenti di tossine batteriche preformate (es., tossinfezione da stafilococco).

Per quanto riguarda il primo gruppo, l'insorgenza di una tossinfezione è condizionata da numerosi fattori legati sia all'agente infettante, sia all'organismo ospite. Tra i fattori legati al microrganismo ricordiamo soprattutto la carica batterica e la capacità dei microrganismi di aderire all'epitelio intestinale (adesività), penetrare nelle cellule della mucosa (invasività) ed elaborare sostanze tossiche. I fattori dell'ospite che possono influire sulla insorgenza di una tossinfezione alimentare sono rappresentati principalmente dall'acidità gastrica, dalla motilità intestinale, dall'immunità locale e dall'azione competitiva della normale flora enterica. In particolare, l'azione difensiva dell'acidità gastrica è confermata dalla particolare predisposizione alle infezioni enteriche dei soggetti con un pH gastrico scarsamente acido, quali i neonati ed i lattanti, i gastroresecati ed i soggetti che assumono elevate quantità di sostanze alcalinizzanti.

In base alle diverse caratteristiche delle feci vengono distinti due tipi fondamentali di infezioni batteriche intestinali (tab.02x).

a) la diarrea non infiammatoria, dovuta a microrganismi che non danneggiano le cellule intestinali, ma restano nel lume, producendo esoenterotossine cosiddette "citotoniche" che provocano, mediante un meccanismo enzimatico, una ipersecrezione di acqua ed elettroliti con conseguente diarrea acquosa;

b) la diarrea infiammatoria, dove sono invece in causa microrganismi che esplicano la loro azione patogena penetrando nelle cellule della mucosa o producendo una tossina citotossica, dotata di azione litica sulle cellule intestinali. In questo caso le feci contengono muco, leucociti ed eventualmente anche sangue.

 

 

Tossinfezione ed enterocolite da salmonelle

 

Le salmonelle sono bacilli appartenenti alla famiglia delle Enterobacteriaceae, gram-negativi, asporigeni, mobili per la presenza di flagelli peritrichi. Si caratterizzano per la loro incapacità a fermentare il lattosio, per la capacità di crescere in presenza di citrato e per la produzione di idrogeno solforato su agar TSI (triplo zucchero-ferro).

Le salmonelle sono suddivise in differenti sottotipi in base alla reattività con antisieri diretti verso gli antigeni O (somatici, costituiti dal lipopolisaccaride della parete cellulare) ed H (flagellari). In base alla struttura del lipopolisaccaride, sono distinte in numerosi gruppi, contrassegnati dalle lettere da A a Z e successivamente Z1, Z2 ecc. (tab.03x). La maggior parte delle salmonelle patogene sono comprese nei gruppi A-E, con netta prevalenza del gruppo B. I gruppi possono venire ulteriormente suddivisi in base alle caratteristiche dell'antigene H. che può presentarsi in fase 1 o 2.

Attualmente si conoscono circa 2200 sierotipi di salmonelle. Alcuni sono adattati esclusivamente all'uomo o ad una determinata specie animale, mentre altri sono in grado di infettare le specie animali più diverse. Le salmonelle ad habitat umano sono responsabili essenzialmente di infezioni a carattere setticemico (febbre tifoide, paratifo), mentre quelle ad habitat animale sono frequentemente responsabili di gastroenteriti e di tossinfezioni alimentari.

Le salmonelle possono esercitare la loro azione patogena su differenti tratti dell'intestino, determinando sindromi cliniche diverse: l'infezione della prima parte del tenue dà luogo all'emissione di una grande quantità di feci liquide, quella dell'ileo terminale a diarrea con un minor volume di feci semiliquide, mentre l'invasione dell'epitelio del colon produce una sindrome dissenterica.

I ceppi patogeni per l'uomo sono in grado di penetrare nelle cellule epiteliali e migrare nella lamina basale; la capacità enteroinvasiva è codificata da un plasmide, ma è anche necessaria la presenza dei pili, che permettono l'adesione a recettori di superficie delle cellule intestinali.

La malattia si manifesta esclusivamente in seguito all'ingestione di un numero elevato di salmonelle (almeno 100.000 in alcuni esperimenti su volontari); i microrganismi sono sensibili all'azione dell'acidità gastrica dalla quale vengono parzialmente protette dalla contemporanea ingestione di cibo. Anche la normale flora microbica intestinale sembra possedere un effetto inibente la colonizzazione da parte delle salmonelle, probabilmente mediante diversi meccanismi, quali la competizione per i fattori nutritivi, la produzione di acidi grassi a catena corta che mantengono un pH acido e la produzione di sostanze battericide.

Una volta raggiunto l'intestino, le salmonelle aderiscono alle cellule epiteliali mediante i pili e penetrano quindi negli enterociti per mezzo di invaginazioni della membrana plasmatica e la formazione di un fagosoma. I microrganismi possono in tal modo attraversare la cellula epiteliale (che non viene danneggiata) e raggiungere la lamina propria e le placche del Peyer, dove stimolano in breve tempo la risposta immune cellulo-mediata, caratterizzata principalmente dalla comparsa di polimorfonucleati.

Le salmonelle producono una tossina termolabile, simile a quella prodotta da alcuni ceppi di E. coli.   È stato inoltre dimostrato che l'attività secretoria delle cellule intestinali può essere stimolata dal rilascio di prostaglandine da parte dei neutrofili presenti nella lamina propria. Le prostaglandine agiscono mediante attivazione del sistema dell'adenilciclasi, con conseguente secrezione nel lume intestinale di ioni sodio ed inibizione del riassorbimento degli ioni cloro.

Nella localizzazione delle salmonelle a livello del colon, si osservano alterazioni della mucosa simili a quelle della colite ulcerativa. La patogenesi di queste lesioni non è nota; si pensa che i microrganismi siano in grado di invadere e distruggere direttamente le cellule epiteliali. Non è stato tuttavia possibile identificare nelle salmonelle la produzione di tossine citolitiche.

In rari casi (1-4%), provocati da S. heidelberg e da S. dublin, è stata osservata la comparsa di batteriemia in seguito all'invasione intestinale; non sono noti i fattori di virulenza che determinano la particolare capacità invasiva di questi ceppi.Nei soggetti immunodepressi, quali pazienti affetti da morbo di Hodgkin, leucemia acuta, sarcoidosi, sottoposti a terapia con corticosteroidi o a trapianto renale e soprattutto in corso di sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS), l'infezione da S. typhimurium è spesso seguita da sepsi e localizzazioni metastatiche.

La maggior parte delle salmonelle, tuttavia, non è in grado di superare la lamina propria. I principali fattori capaci di limitare l'infezione sono probabilmente rappresentati dai macrofagi e dai neutrofili, che fagocitano prontamente le salmonelle e le distruggono. I pazienti affetti da salmonellosi sviluppano una risposta umorale diretta contro gli antigeni O e H, che tuttavia non è in grado di proteggere dall'infezione.

Le salmonellosi sono ubiquitarie e presentano un picco di prevalenza nei mesi estivi. S. tyhimurium è la specie più frequentemente isolata, seguita da S. heidelberg, S. enteritidis, S. newport. La malattia ha in genere un carattere epidemico, con frequente interessamento di piccole comunità. Molto pericolose sono le epidemie intraospedaliere che possono colpire particolari soggetti (lattanti, gestanti, immunodepressi ecc.) e che spesso sono sostenute da ceppi poliantibioticoresistenti.

Gli episodi epidemici sono in genere dovuti all'ingestione di cibo contaminato, come latte, carne, pollame e uova, ma anche pesce, frutti di mare e verdure crude. La carne può contenere salmonelle in quanto proveniente da animali malati o perché contaminata durante o dopo la macellazione. Le salmonelle resistono bene al congelamento, all'insaccamento ed alla salatura, pertanto la contaminazione può verificarsi durante tutto il processo di manipolazione; l'inquinamento può anche avvenire successivamente alla cottura. Le uova possono contaminarsi nell'ovidutto o, più frequentemente, dopo la deposizione, ad opera di materiale fecale.

Un ruolo importante nella trasmissione della malattia rivestono inoltre i portatori, che possono essere costituiti da animali o dall'uomo. Per quanto riguarda i portatori umani, va ricordato che i soggetti guariti continuano spesso ad eliminare le salmonelle con le feci per 3 -6 mesi e sono descritti casi di eliminazione protratta fino a 17-24 mesi. Non va infine misconosciuta l'importanza delle mosche, che, dopo aver ingerito del cibo contaminato, rimangono abitualmente infette per circa 3 settimane.

Le salmonelle si ritrovano negli enterociti già dopo 12 ore dall'ingestione del cibo contaminato. I sintomi di esordio compaiono dopo 12-48 ore e comprendono malessere, cefalea, dolori addominali, nausea, vomito e spesso febbre, cui fa seguito, entro 1-2 ore, la diarrea, con emissione di feci liquide o semiliquide, a volte contenenti sangue e muco. Il vomito (alimentare, acquoso o biliare) è particolarmente intenso e precoce nel bambino piccolo. I dolori addominali possono essere diffusi o localizzati all'epigastrio; talora si tratta di una banale colica, ma a volte essi sono molto intensi, con accenno a difesa della parete. La sintomatologia regredisce in 2-4 giorni; la mortalità è inferiore all'1% ed i casi letali si verificano in genere nei bambini e negli anziani, a seguito di alterazioni dell'equilibrio idro-elettrolitico. Nei bambini si può verificare batteriemia nell'8-15% dei casi, in particolare in corso di infezione da S. heidelberg, che è inoltre responsabile di rari casi di meningite. Le salmonellosi possono presentare particolare gravità in soggetti affetti da anemia falciforme, che presentano deficit della fagocitosi.

La diagnosi della tossinfezione da salmonelle si basa sul dato anamnestico di consumo di cibi sospetti e sulla sintomatologia clinica. I1 reperto di leucociti nelle feci permette l'esclusione delle tossinfezioni da germi produttori di enterotossine.

L'accertamento si fonda sulla coltura delle feci, del vomito e dei residui del cibo sospetto. L'emocoltura è quasi sempre negativa e la sieroagglutinazione non ha valore diagnostico per la breve durata dell'infezione. La diagnosi differenziale con la gastroenterite da Campylobacter si basa sulla presenza di febbre più elevata e di un maggiore numero di leucociti nelle feci, ma deve essere ovviamente confermata dall'isolamento dell'agente patogeno. La colite deve essere differenziata, mediante l'impiego di tecniche colturali, da quella provocata da shigelle, Yersinia o Campylobacter.

 

 

Tossinfezione da Arizona

 

Strettamente correlata con le salmonellosi è la tossinfezione alimentare da Arizona, bastoncello gram-negativo, mobile, che provoca rari casi di enterocolite, generalmente conseguenti all'ingestione di uova o carne di pollame. La sintomatologia è simile a quella delle gastroenteriti da salmonelle ; sono state anche descritte batteriemie ed infezioni localizzate. I sintomi si manifestano in genere dopo un periodo di incubazione di 24-48 ore e possono persistere per diversi giorni.

 

 

Tossinfezione da Staphylococcus aureus

 

Nel 1894, Denys per primo suggerì che Staph. aureus potesse essere responsabile di una tossinfezione alimentare. L'ipotesi trovò conferma solo nel 1930, quando fu dimostrato che, nel latte, nei cibi contenenti uova ed in altri alimenti contaminati da stafilococchi e mantenuti a 30°C, si sviluppa in 4-5 ore un'enterotossina termostabile, resistente al riscaldamento e alla bollitura.

Gli stafilococchi sono cocchi grampositivi, non capsulati, asporigeni, immobili, generalmente disposti a grappolo. Sono aerobi ed anaerobi facoltativi, catalasi-positivi e fermentano il glucosio; Staph. aurens, la specie più frequentemente responsabile di tossinfezione alimentare stafilococcica, è coagulasi positivo e fermenta il mannitolo con produzione di acidi. Sono state riconosciute numerose tossine prodotte da Staph. aureus, tra le quali differenti emolisine, leucocidine, tossine ad azione dermonecrotica e letale per gli animali, oltre a fibrinolisina, ialuronidasi, desossiribonucleasi e lipasi.

 

La sintomatologia della tossinfezione alimentare è dovuta alla produzione, da parte di microrganismi in genere appartenenti al gruppo fagico III, di enterotossine, proteine semplici, di basso peso molecolare (26-34.000), termostabili e moderatamente resistenti agli enzimi proteolitici. Sono stati dimostrati 6 tipi di enterotossine (A, B. C1, C2, D, E), antigenicamente differenziabili. L'enterotossina A è la più frequente (70% dei casi), seguita dai tipi D e B. Lo stesso ceppo può produrre due o più enterotossine.

La composizione aminoacidica delle enterotossine A, D ed E è simile, come pure quella dei tipi B e C. La produzione delle enterotossine B e C è sotto controllo plasmidico e avviene generalmente al termine della fase stazionaria, mentre la produzione delle enterotossine A, D ed E è sotto controllo cromosomico e avviene durante la fase di crescita logaritmica. Pertanto le enterotossine A e D si formano nei cibi in condizioni ambientali più variabili rispetto ai tipi B e C, sebbene queste ultime, in condizioni ottimali, vengano prodotte in maggiori quantità.

Non è ancora chiaro il meccanismo d'azione delle enterotossine stafilococciche. Sembra tuttavia ipotizzabile un effetto diretto sulle cellule dell'epitelio intestinale e, a livello del SNC, sul centro del vomito, probabilmente mediante la stimolazione di neurorecettori locali nel tratto gastrointestinale e trasmissione dello stimolo a livello centrale mediante il nervo vago ed il sistema simpatico.

Recenti studi hanno dimostrato che numerosi ceppi di Staph. aureus isolati da pazienti con setticemia sono in grado di produrre una o più enterotossine.   È ipotizzabile quindi che le enterotossine stafilococciche possano provocare importanti effetti tossici sistemici. Va inoltre ricordato che le enterotossine sono attivatori policlonali dei linfociti T ed inducono il rilascio di citochine che contribuirebbero alla patogenesi dell'infezione sistemica.

La sintomatologia è precoce e si manifesta dopo 1-6 ore dall'assunzione del cibo contaminato, in quanto legata alla presenza nell'alimento di enterotossina preformata e non allo sviluppo e alla moltiplicazione dei germi nell'organismo. L'esordio è brusco ed è caratterizzato da malessere profondo, nausea, scialorrea, sudorazione fredda, pallore, crampi addominali e vomito intenso spesso accompagnato da diarrea con feci liquide. Può essere presente sangue nel vomito o nelle feci; si possono verificare ipotensione e scadimento delle condizioni generali. La sintomatologia regredisce in genere spontaneamente in 3-24 ore, lasciando spesso nausea ed astenia profonda per 2-3 giorni. Sono descritti rari casi letali (0,03%) in soggetti anziani o defedati e nei bambini.

La tossinfezione alimentare stafilococcica è una malattia ubiquitaria assai frequente (25% dei casi di tossinfezione alimentare); si può manifestare in qualsiasi stagione, con una leggera prevalenza durante i mesi caldi. La maggior parte delle epidemie si verificano in comunità. I cibi più comunemente implicati sono il latte, i dolci contenenti creme, la carne salata ed in generale qualsiasi cibo con un alto contenuto di sale o zucchero. Perché lo stafilococco si sviluppi è necessario che l'alimento non sia troppo acido, né inquinato da batteri competitivi; il cibo deve inoltre essere stato mantenuto per alcune ore ad una temperatura che permetta la moltiplicazione del microrganismo (sono necessari almeno 100.000 batteri per grammo di cibo) e la produzione della tossina. La sorgente di infezione è quasi sempre l'uomo, nel quale lo stafilococco si ritrova sulla cute e le mucose.

La diagnosi si basa sulla comparsa della classica sintomatologia poche ore dopo l'ingestione di cibo sospetto. La diagnosi differenziale deve essere posta con l'intossicazione da B. cerens, che ha tempi di incubazione simili, ma si verifica solitamente in seguito ad ingestione di riso fritto.

La diagnosi di laboratorio si fonda sull'isolamento degli stafilococchi dal cibo contaminato o, più raramente, dal vomito o dalle feci del malato. La ricerca dell'enterotossina negli alimenti può venire effettuata con diverse metodiche. Non è nota la quantità di enterotossina in grado di provocare la malattia nell'uomo; è stato tuttavia dimostrato che già 1 micro g di tossina in 100 grammi di cibo può provocare sintomi clinici. Pertanto, vengono considerati test diagnostici validi solo quelli in grado di determinare la presenza di 1 ng di tossina per grammo di cibo.

La tecnica più impiegata è la classica immunodiffusione su vetrino. Essa tuttavia comporta un notevole dispendio di reagenti, richiede lunghi tempi di esecuzione (3-6 giorni), e, per la sua scarsa sensibilità, necessita di campioni concentrati. Basti considerare che l'estratto di 100 g di un campione di cibo deve essere concentrato almeno 1500 volte per determinare 1 ng di enterotossina per grammo di cibo.

Risultati eccellenti sono stati ottenuti con i metodi radioimmunologici che si caratterizzano per l'elevata sensibilità e specificità (1 ng di tossina per ml senza concentrare l'estratto di cibo). I limiti del RIA, tuttavia, sono ben noti: tra i principali, la necessità di sottostare a rigorose norme legislative e l'impiego di personale specializzato.

Nuove ed interessanti prospettive sono derivate dall'avvento e dal perfezionamento delle reazioni immunoenzimatiche caratterizzate da una notevole sensibilità e specificità e capaci di ricercare e tipizzare agevolmente le enterotossine in cibi e/o filtrati colturali. In particolare il sistema "sandwich a doppio anticorpo" (l'enzima è già coniugato con un anticorpo specifico) ed il metodo competitivo (l'enzima è legato all'enterotossina) hanno fornito i migliori risultati. Va segnalato che la proteina A prodotta da numerosi ceppi di stafilococchi è in grado di legarsi alla porzione Fc degli anticorpi ed interferire nel sistema ELISA a "sandwich".   È stato proposto un metodo basato sul sistema biotina-avidina che non sembra influenzato dalla proteina A dello stafilococco.

Particolarmente interessante appare l'applicazione del Dot immunobinding assay (DIB), una variante del sistema ELISA su nitrocellulosa, che consente di svelare in tempi rapidi (meno di 4 ore) quantitativi di enterotossina dell'ordine di 0,1 ng/ml offrendo inoltre il vantaggio della lettura dei risultati ad occhio nudo ed evitando così il ricorso a sofisticate attrezzature.

L'impiego degli anticorpi monoclonali ha ulteriormente migliorato la specificità dei vari test evitando l'eventuale influenza di proteine contaminanti.

Recentemente, infine, sono state applicate, alla ricerca delle tossine negli alimenti, le metodiche di ibridizzazione degli acidi nucleici. Notermans e coll. (1988) sono stati in grado di preparare probes capaci di riconoscere ceppi di stafilococco produttori di enterotossina Be C.

 

 

Tossinfezione ed enterite da Clostridium perfringens

 

I clostridi sono bacilli gram-positivi, sporigeni ed anaerobi obbligati, anche se Cl. perfringens è in grado di sopravvivere fino a 72 ore in presenza di ossigeno. Su agar-sangue il microrganismo produce una caratteristica emolisi doppia, costituita da una zona interna di emolisi completa ed una esterna di emolisi incompleta; tale fenomeno è tuttavia spesso assente nei ceppi che provocano tossinfezione. Ulteriori caratteri differenziali di Cl. perfringens nei confronti degli altri clostridi sono la capacità di fermentare il saccarosio con produzione di gas, l'incapacità di liquefare la gelatina, la produzione di solfuri e nitriti, e l'immobilità. Il microrganismo è ubiquitario e vive allo stato saprofitario sulla cute e nell'intestino dell'uomo e di numerosi animali.

 

Cl. periringens produce 12 differenti tossine, oltre a numerose enterotossine. La specie è stata suddivisa in 5 tipi (A-E) sulla base della produzione delle4 tossine principali, alfa, beta, epsilon e iota. La tossina alfa, prodotta da tutti i microrganismi, è una fosfolipasi C che scinde la lecitina in fosforilcolina e digliceride.

La tossinfezione alimentare da Cl. perfringens è dovuta alla produzione, da parte dei microrganismi appartenenti al tipo A, di una enterotossina proteica termo- ed acidolabile, con peso molecolare di circa 34.000, che possiede un effetto citotossico simile a quello della tossina prodotta dalle shigelle. L'enterotossina è un costituente della capsula sporigena e si forma durante il processo di sporulazione; esplica la sua maggiore attività a livello dell'ileo, inibendo il trasporto del glucosio, provocando danni all'epitelio e perdita di proteine nel lume intestinale. La tossina è in grado di provocare diarrea nell'uomo e negli animali e viene ritrovata nelle feci dei soggetti malati.   È dotata di potere antigenico e provoca la produzione di anticorpi che, negli animali, bloccano l'azione dell'enterotossina; tale potere protettivo degli anticorpi specifici non è tuttavia stato dimostrato nell'uomo.

La tossinfezione alimentare da Cl. periringens è particolarmente frequente in Gran Bretagna, dove è responsabile del 30-40% circa di tutti gli episodi di tossinfezione alimentare. Numerosi casi vengono riferiti anche negli USA, mentre in Italia le segnalazioni sono scarse. La malattia è più frequente in autunno ed inverno ed è in genere correlata all'ingestione di salse, o di carne o pesce cucinati, lasciati raffreddare e quindi riscaldati prima del pasto. In seguito alla cottura a temperature inferiori a 50°C, infatti, si vengono a creare le condizioni per la germinazione delle spore, con la conseguente produzione di un elevato numero di microrganismi e di enterotossina.

Il periodo di incubazione della malattia varia da 8 a 16 ore. La sintomatologia è caratterizzata da grave diarrea acquosa e dolori addominali crampiformi; non sono presenti febbre o altri segni di infezione. La malattia dura in genere meno di 24 ore ed i rari casi letali si sono verificati in pazienti debilitati.

Un cenno a parte merita l'enterite necrotizzante provocata da Cl. perfringens tipo C. La malattia si verifica principalmente nei mesi estivi e sembra correlata all'ingestione di carne di maiale poco cotta. Si manifesta con una sintomatologia grave che insorge 24 ore dopo l'ingestione del cibo contaminato ed è caratterizzata da dolori addominali intensi, diarrea ematica, vomito e shock; la malattia è gravata da una elevata letalità (40%), dovuta generalmente a perforazione intestinale.

La diagnosi di tossinfezione da Cl. perfringens dovrebbe essere presa in considerazione in tutti i casi di diarrea non accompagnata da febbre, specie se verificatisi in conseguenza dell'ingestione di carne riscaldata. La diagnosi differenziale va posta con la tossinfezione stafilococcica, dalla quale si differenzia per il più lungo periodo di incubazione, per l'assenza del vomito e per la minore intensità del quadro clinico. La tossinfezione da Cl. perfringens si differenzia inoltre dalla forma da salmonelle per l'assenza di febbre, cefalea e compromissione generale.

La diagnosi di laboratorio si basa sull'isolamento del germe dal cibo o dalle feci degli individui malati.   È necessaria la dimostrazione della presenza dello stesso sierotipo in tutti gli individui affetti, in quanto il microrganismo può essere presente nelle feci del 2-6% degli individui sani. Recentemente è stato possibile evidenziare direttamente l'enterotossina nelle feci.

 

 

Enterocolite da shigelle

 

Le shigelle, appartenenti alla famiglia delle Enterobacteriaceae, sono bacilli gram-negativi, immobili, asporigeni, anaerobi facoltativi, ossidasi-negativi. Si differenziano dai ceppi enteroinvasivi di E. coli per la loro incapacità a decarbossilare la lisina. Se ne conoscono 4 specie, differenziabili in base a caratteristiche biochimiche e sierologiche: Sb. dysenteriae, Sh. flexneri, Sh. boydii e Sh. sonnei. La tipizzazione sierologica viene effettuata sulla base dei differenti antigeni O. di cui esistono 4 tipi (A-D).

Le shigelle provocano una tipica sindrome dissenterica, caratterizzata da emissione di feci contenenti sangue e pus, dolori addominali e tenesmo, conseguente all'invasione della mucosa del colon. Le shigelle patogene sono infatti in grado di invadere gli enterociti, all'interno dei quali si moltiplicano provocando la morte delle cellule infettate ed una marcata risposta infiammatoria. La capacità invasiva è codificata da un plasmide.

Le shigelle producono inoltre una potente tossina di natura proteica con un peso molecolare di circa 58.000-70.000; iniettata per via parenterale in animali suscettibili provoca la paralisi degli arti e quindi la morte; è dotata di citotossicità per alcuni tipi cellulari in coltura e provoca la secrezione di fluidi da parte dell'intestino di conigli. La citotossicità della tossina prodotta dalle shigelle (o tossina di Shiga) è dovuta alla sua capacità inibente la sintesi proteica ribosomiale per inattivazione irreversibile della subunità 60S dei ribosomi. Il meccanismo patogenetico alla base dell'aumentata secrezione di liquidi nel lume intestinale non è noto, anche se è stato ipotizzato da alcuni

Autori un meccanismo di attivazione dell'adenilciclasi.

La malattia produce un'immunità tipo-specifica, che dura tuttavia meno di un anno. L'immunità sembra essere prevalentemente rivolta verso gli antigeni di tipo O (lipopolisaccaride) e verso la tossina. Gli anticorpi di tipo IgM compaiono pochi giorni dopo l'infezione, raggiungono un picco intorno alle 2-4 settimane e scompaiono entro un anno.

La shigellosi è una malattia infettiva altamente contagiosa, in quanto può essere provocata da un inoculo batterico molto piccolo, pari a solo 10-100 cellule di Sh. dysenteriae o a poche migliaia di cellule di Sh. flexneri. La malattia è ubiquitaria; prevalgono ovunque le infezioni da Sh. sonnei e da Sh. flexneri, ma Sh. dysenteriae tipo 1, agente eziologico della classica dissenteria bacillare, è ancora endemica in alcuni Paesi dell'Europa orientale e centrale, in Turchia e nelle regioni tropicali.

L'uomo è il principale serbatoio dell'infezione e la trasmissione è prevalentemente interumana, mentre molto più rara è la trasmissione per mezzo di cibo o acqua contaminati. Per questo motivo la shigellosi abitualmente non rientra fra le tossinfezioni alimentari, ma nei paesi in via di sviluppo la contaminazione dei cibi non è eccezionale. I soggetti convalescenti possono eliminare i microrganismi per alcuni mesi. I1 rischio di contrarre l'infezione è particolarmente elevato per il personale dei laboratori che maneggia campioni di feci e per gli omosessuali, nei quali è stata documentata la trasmissione diretta fecale-orale e nei quali la malattia è una delle cause della "gay bowel syndrome".

La shigellosi endemica è prevalentemente una malattia infantile; può assumere carattere epidemico in seguito all'introduzione nella popolazione di nuovi sierotipi ed in questo caso non mostra alcuna predilezione per una particolare età.

 

La febbre può essere l'unico sintomo presente in corso di infezione da shigelle; ad essa si associano tuttavia frequentemente i sintomi gastroenterici. La diarrea può essere di grado moderato (particolarmente nel corso di infezione da Sh. sonnei), con emissione di feci liquide, nelle quali sono tuttavia sempre presenti i leucociti.

In molti casi, tuttavia, la diarrea da acquosa diventa ematica, accompagnata da dolori addominali, febbre, tenesmo e segni di iperperistaltismo. Nelle forme più gravi sono presenti stato tossico, disidratazione, acidosi metabolica e shock. L'esame endoscopico evidenzia un interessamento della mucosa del retto e del sigma che può estendersi talvolta ai segmenti prossimali del colon.La mucosa si presenta edematosa ed iperemica, con perdita del disegno vascolare e comparsa di emorragie focali e mucopus di colorito bianco - grigiastro aderente alla mucosa sottostante.Prelievi bioptici mostrano segni di congestione vascolare ed emorragie, edema, iperplasia delle cripte, infiltrazione di cellule mononucleate e di polimorfonucleati, microulcere nello strato epiteliale e presenza di essudato ematico.

I1 periodo di incubazione varia a seconda del ceppo infettante. Sh. dysenteriae provoca la malattia più grave con un tempo di incubazione di 5-7 giorni, mentre Sh. sonnei (la specie meno virulenta) e Sh. flexneri hanno un periodo di incubazione di 1-3 giorni. La progressione della sintomatologia clinica fino all'insorgenza della dissenteria si verifica in poche ore nell'infezione da Sh. dysenteriae ed in alcuni giorni per Sh. flexneri. L'infezione è generalmente autolimitantesi, con una durata che varia tra i 3-5 giorni (Sh. sonnei) ed alcune settimane nei casi più gravi. In conseguenza della malattia acuta, è stata descritta anche un'enterocolite cronica con periodiche esacerbazioni e lunghi periodi di benessere.

Le shigelle possono provocare un'enteropatia proteino-disperdente e sono un'importante causa di malnutrizione nei Paesi in via di sviluppo.

In corso di shigellosi, nella prima infanzia, sono stati spesso osservati episodi convulsivi, che si verificano, tuttavia, anche in bambini più grandi. Recentemente, è stato ipotizzato che le convulsioni in corso di shigellosi possano essere dovute alla produzione di una neurotossina da parte del microrganismo.

  È stata descritta, durante la fase iniziale della convalescenza, una reazione leucemoide, con un numero di leucociti superiore a 50.000/mm alla terza, neutrofilia e presenza in circolo di cellule immature, che si verifica in prevalenza in soggetti giovani con infezione da Sh. dysenteriae ed è associata ad esito letale nel 20% circa dei casi.

Alcuni dei pazienti con reazione leucemoide vanno incontro ad episodi emolitici acuti o ad insufficienza renale. Il test di Coombs è negativo e sono presenti ipofibrinogenemia ed allungamento dei tempi di protrombina, tromboplastina e trombina; non è tuttavia stata notata tendenza alle emorragie. La malattia è spesso fatale.

La shigellosi può essere associata ad un'artrite reattiva o alla sindrome di Reiter, caratterizzata da artrite acuta non purulenta associata ad uretrite e congiuntivite. Si può verificare nell'1-2% dei casi di shigellosi, particolarmente in quelli da Sh. flexneri, ma nei soggetti HLAB-27 positivi può raggiungere una frequenza del 20%. L'interessamento articolare si manifesta generalmente a distanza di alcune settimane dalla sintomatologia gastroenterica e colpisce prevalentemente le articolazioni del ginocchio e tibiotarsica. Nei pazienti HLA-B27 positivi la sintomatologia articolare può evolvere verso una forma cronica.

In corso di shigellosi sono stati infine osservati rari casi di rash cutanei a tipo "roseole" e localizzazioni d'organo (polmoniti, meningiti, osteomieliti ecc.). Le sepsi da shigelle sono del tutto eccezionali, quasi sempre secondarie all'interessamento intestinale; si manifestano prevalentemente nei neonati e nei soggetti immuno compromessi.

Durante la fase iniziale della malattia, la shigellosi deve essere differenziata dalle altre cause di diarrea. L'emissione di feci ematiche è suggestiva di malattia da shigelle, ma nei paesi industrializzati la sindrome dissenterica è spesso dovuta al Campylobacter. La diagnosi di certezza si ottiene solo mediante l'isolamento del microrganismo dalle feci. A tal fine il campione in esame deve essere al più presto seminato su un terreno adatto quale l'agar MacConkey, in quanto le shigelle sono poco resistenti.

 

 

Tossinfezioni ed enterocoliti da Escherichia coli

 

E. coli è un bacillo gram-negativo, aerobio, asporigeno, appartenente alla famiglia delle Enterobacteriaccae, estremamente diffuso in natura, normale saprofita dell'intestino umano, nel quale non esplica in genere potere patogeno.

Esistono tuttavia alcuni ceppi che sono in grado di provocare nell'uomo sindromi diarroiche; sulla base delle loro caratteristiche di virulenza, sono stati suddivisi in 5 gruppi (tab.05x). I microrganismi produttori di enterotossina (ETEC) sono probabilmente i più comunemente in causa; aderiscono alla mucosa del tratto prossimale dell'intestino tenue e provocano una diarrea acquosa. I ceppi di E. coli enteroinvasivi (EIEC) provocano una sindrome dissenterica simile a quella causata dalle shigelle, con invasione della mucosa e formazione di ulcere. Al gruppo dei microrganismi enteropatogeni (EPEC) appartengono ceppi di E. coli che sono stati evidenziati mediante indagini epidemiologiche nel corso di alcune epidemie di gastroenterite infantile; sono ceppi non invasivi e non produttori di enterotossina. Da questo gruppo sono stati recentemente separati i microrganismi enteroaderenti (EAEC), che presentano un caratteristico pattern di aderenza alle cellule Hep-2 in coltura. Infine, al gruppo dei microrganismi enteroemorragici (EHEC) appartiene prevalentemente il sierotipo 0157:H7, agente eziologico della colite emorragica e responsabile probabilmente anche di casi di sindrome emolitico-uremica.

 

 

E. COLI ENTEROTOSSICO

 

I ceppi che appartengono al gruppo ETEC agiscono mediante colonizzazione della mucosa e successiva produzione di due enterotossine, una termolabile ed una termostabile, denominate rispettivamente LT ed ST. Sia la produzione di fattori di colonizzazione che quella delle enterotossine è codificata da plasmidi. Alcuni ceppi elaborano una sola tossina, altri le producono entrambe.

L'aderenza dei microrganismi alle cellule intestinali è un momento indispensabile ai fini della colonizzazione della mucosa, in quanto permette ai microrganismi di resistere ai meccanismi peristaltici di difesa. L'aderenza si verifica per mezzo di fimbrie o pili, organelli filamentosi, molto più sottili dei flagelli, presenti sulla superficie di E. coli. Sono stati identificati numerosi tipi di pili, differenziabili in base alle loro proprietà antigeniche. I microrganismi produttori di pili sono in grado di agglutinare emazie animali con un meccanismo resistente al mannosio e possono quindi venire facilmente identificati.

 

L'enterotossina termolabile è un complesso proteico con un peso molecolare di circa 84.000 e caratteristiche di attività, struttura ed antigenicità simili a quelle della tossina colerica. Come quest'ultima, agisce stimolando la produzione e l'attività dell'adenilciclasi con conseguente forte aumento dell'AMP ciclico cellulare. In corso di infezione sono stati osservati anticorpi anti-LT, in grado di inattivare la tossina in vitro.

Esistono due tipi di enterotossina termostabile: il tipo STa è insolubile in metanolo e provoca l'accumulo di liquidi nell'intestino del topolino neonato; il tipo STb è solubile in metanolo e provoca accumulo di liquidi solo in anse ileali porcine Il tipo prevalente nell'infezione umana è l'STa, che ha un peso molecolare di 1000-6000 daltons e non stimola una risposta immune umorale. Il meccanismo di azione non è stato ancora ben chiarito; la tossina è in grado di attivare la guanilato-ciclasi, provocando un aumento della concentrazione intracellulare del GMP ciclico.

I ceppi ETEC sono ubiquitari, ma la malattia si osserva prevalentemente nei Paesi in via di sviluppo, dove presenta carattere endemico. La trasmissione si verifica mediante l'ingestione di cibo o acqua contaminata e pertanto si può appropriatamente parlare di tossinfezione alimentare. In particolare, E. coli enterotossico è un'importante causa di "diarrea dei viaggiatori", sindrome particolarmente frequente in individui che si recano in Paesi tropicali e subtropicali, specie se provenienti da Paesi ad elevato tenore socio-economico. Si calcola che la diarrea dei viaggiatori sia provocata nel 60-70% dei casi da microrganismi del gruppo ETEC, ma sono stati osservati anche casi da altri batteri (E. coliappartenenti ad altri gruppi, salmonelle, shigelle, C. jejuni), da virus (rotavirus) e da protozoi (Giardia lamblia, Cryptosporidium). In una discreta percentuale di casi (20% circa) l'eziologia rimane indeterminata. Le zone a maggior rischio sono il Sud-Est asiatico, l'India, il Bangladesh, alcuni Paesi dell'Africa e dell'America Centrale, in particolare il Messico, ma la sindrome è relativamente frequente anche in Nord Africa e in Medio Oriente. La sintomatologia si manifesta in genere nei primi 2-10 giorni del soggiorno e consiste in diarrea acquosa di grado moderato ad esordio brusco, accompagnata da dolori addominali e talvolta da febbre. La malattia presenta un periodo di incubazione di 13 giorni e in genere si risolve spontaneamente entro 3-5 giorni.

La diagnosi eziologica richiede la dimostrazione della produzione dell'enterotossina, in quanto non esistono caratteristiche biochimiche che permettano la differenziazione degli ETEC dai ceppi non patogeni di E. coli. La metodica classicamente impiegata ai fini della determinazione delle enterotossine di E. coli è la produzione di accumulo di liquidi in anse intestinali di coniglio da parte di sopranatanti di colture. Recentemente, è stato messo a punto un test ELISA per la determinazione della LT, mentre la ricerca della ST, che non possiede carattere antigenico, viene effettuata mediante prova biologica nel topino lattante (accumulo di liquidi nell'intestino in seguito a somministrazione orale del campione in esame). Nuove prospettive sono state aperte dall'introduzione delle tecniche di ibridizzazione degli acidi nucleici, con l'impiego di "probe" di DNA omologhi ai geni codificanti le tossine ai fini della determinazione della capacità tossinogenica dei ceppi di E. coli in esame.

 

 

E. COLI ENTEROINVASIVO

 

I ceppi appartenenti al gruppo EIEC possiedono numerose caratteristiche biochimiche, antigeniche e genetiche in comune con le shigelle, con le quali vengono spesso confusi al momento della identificazione batteriologica.

I microrganismi EIEC provocano una malattia dissenterica indistinguibile da quella causata dalle shigelle, dovuta ad invasione delle cellule epiteliali del colon e successiva moltiplicazione intracellulare dei microrganismi, con produzione di fenomeni infiammatori ed ulcere mucose. I fattori di invasività sono mediati da plasmidi.

La malattia è rara e si manifesta sporadicamente in tutto il mondo, con una più elevata frequenza in Brasile ed in Europa orientale.

La diagnosi presenta notevoli difficoltà per la somiglianza dei microrganismi con le shigelle e dovrebbe essere affidata a laboratori particolarmente attrezzati. L'identificazione si basa sulla sierotipizzazione e sulla determinazione, mediante ELISA, della presenza di alcune proteine di membrana associate con l'invasività. Sono stati inoltre recentemente preparati probes di DNA che permettono il riconoscimento dei geni codificanti fattori di invasività.

 

 

E. COLI ENTEROPATOGENO

 

Il meccanismo patogenetico alla base della diarrea da EPEC non è ancora ben conosciuto. I microrganismi si ritrovano nel duodeno e nell'ileo prossimale, sedi che non vengono in genere colonizzate da altri ceppi di E. coli. Studi istologici eseguiti su prelievi bioptici ottenuti dal digiuno di bambini affetti da diarrea cronica da EPEC hanno dimostrato la presenza di microcolonie batteriche aderenti alla mucosa intestinale, con distruzione focale dei microvilli dell'orletto a spazzola e presenza di infiltrati plasmacellulari. L'osservazione al microscopio elettronico mette in evidenza la dissoluzione del glicocalice ed alterazioni dei microvilli con interruzioni della membrana plasmatica. I microrganismi sono strettamente aderenti all'enterocita ed a volte addirittura parzialmente ricoperti dalla membrana plasmatica, ma non invadono mai la mucosa.

I fenomeni di adesione sembrano essere alla base di queste lesioni. In base all'adesività a cellule Hep-2 in coltura i microrganismi appartenenti al gruppo EPEC sono stati suddivisi in due classi: alla classe I appartengono i microrganismi che presentano un'adesività localizzata mediata da un plasmide denominato EAF (fattore di adesività EPEC), mentre alla classe II appartengono i batteri che mancano del plasmide EAF ed aderiscono diffusamente o non aderiscono affatto alle cellule Hep-2.

La malattia si manifesta solitamente in bambini al di sotto dei 2 anni di età, particolarmente all'interno di comunità. La sintomatologia è generalmente caratterizzata da una diarrea cronica, con emissione di feci acquose, accompagnata talvolta da febbre e vomito. Ai fini diagnostici è necessario l'isolamento del microrganismo dalle feci e la successiva sierotipizzazione.

 

 

E. COLI ENTEROADESIVO

 

Nel 1985, Mathewson identificò alcuni ceppi di E. coli che erano in grado di provocare "diarrea dei viaggiatori", ma non rientravano in nessuno dei gruppi patogeni fino ad allora conosciuti. Questi ceppi vengono oggi definiti come enteroaderenti e sono riconoscibili per il caratteristico pattern di adesione alle cellule Hep-2, diverso da quelli osservabili con i microrganismi del gruppo EPEC. I microrganismi EAEC non possiedono il plasmide EAF, non producono LT, ST o tossina di Shiga e non sono in grado di invadere la mucosa intestinale. Il meccanismo di azione ed il ruolo patogeno di questo gruppo sono tuttora discussi.

 

Terapia e profilassi delle tossinfezioni alimentari

 

Se si esclude il botulismo, le tossinfezioni alimentari sono in genere malattie autolimitate, che evolvono favorevolmente nel giro di pochi giorni. La maggior parte richiede solo un trattamento sintomatico, basato sul digiuno durante le fasi iniziali della malattia e sulla reidratazione per via orale o, nei casi più gravi, con vomito persistente o diarrea profusa, per via parenterale. Per quanto riguarda la terapia reidratante orale, l'OMS suggerisce la somministrazione di soluzioni contenenti, per ogni litro di acqua, 3,5 g di cloruro di sodio, 2,5 g di bicarbonato di sodio, 1,5 g di cloruro di potassio e 20 g di glucosio (o 40 g di saccarosio). La soluzione va somministrata ogni 4-6 ore a dosi iniziali di 50 ml/kg; in fase di mantenimento si possono raggiungere dosi superiori (100-200 ml/kg). Particolarmente importante è la presenza del glucosio, che agisce favorendo i meccanismi di riassorbimento del sodio.   È stato recentemente dimostrato che tale meccanismo può essere potenziato dalla contemporanea somministrazione di glucosio ed aminoacidi (glicina), come si verifica con l'impiego di polvere di riso.

Come terapia sintomatica possono essere impiegati farmaci ad azione assorbente ed antisecretoria. I primi (caolino, pectine, idrossido di alluminio) aumentano la consistenza delle feci, ma non sembrano avere effetto sul decorso della malattia. I farmaci antisecretori, quali aspirina, indometacina e subsalicilato di bismuto, diminuiscono la quantità di liquidi secreti nel lume intestinale, probabilmente mediante inibizione delle prostaglandine; si sono dimostrati efficaci in alcune malattie causate da enterotossine "citotoniche" (colera, diarrea da ETEC).

Secondo i casi, può risultare inoltre utile la somministrazione di antispastici, antiemetici, analettici, cardiotonici o estratti surrenalici. Non è in genere consigliabile l'impiego di inibitori della motilità intestinale, quali oppiacei e loperamide, che, ostacolando la peristalsi, possono prolungare la persistenza dei microrganismi nel lume intestinale. La terapia antibiotica non è in genere necessaria e secondo alcuni potrebbe addirittura risultare dannosa in quanto favorirebbe l'insorgenza di una condizione di dismicrobismo intestinale.

Un trattamento con chemio-antibiotici si rende tuttavia necessario nei casi gravi di shigellosi e nelle salmonellosi dei bambini piccoli o dei soggetti immunocompromessi, nei quali questi microrganismi possono dar luogo a disseminazione sistemica. In questi casi, la scelta del farmaco antibatterico deve essere guidata dall'antibiogramma eseguito sul ceppo isolato dalle feci del paziente; gli antibiotici più comunemente impiegati sono il cloramfenicolo, l'ampicillina, il cotrimossazolo, il ceftazidime, il furazolidone ed i chinolonici.

In corso di enteriti da Campylobacter possono essere impiegate l'eritromicina, attiva solo se somministrata nei primi 4 giorni di malattia, o le tetracicline, mentre il decorso della yersiniosi non sembra influenzato dalla terapia antibiotica.

Nelle forme dovute ad ingestione di tossine preformate il trattamento antibatterico è ovviamente inefficace. I casi di botulismo, a causa della gravità della sintomatologia, richiedono la instaurazione di una terapia precoce, basata principalmente sulla somministrazione per via intramuscolare di antitossina alla dose di 50.000 U.I. La dose deve essere ripetuta più volte, in quanto l'antitossina neutralizza solo la tossina circolante.

Le manifestazioni neurologiche del botulismo non risentono dell'impiego dei farmaci anticolinesterasici; è stato proposto l'uso della guanidina alla dose di 25-30 mg/kg/die, che sembra agire mediante liberazione di acetilcolina ed inattivazione della tossina. Sono inoltre necessarie misure di supporto atte a mantenere costanti gli equilibri idroelettrolitico, metabolico e gassoso.

Nuove prospettive sulla terapia delle tossinfezioni alimentari sono state recentemente aperte da alcuni studi effettuati sugli animali: è stato dimostrato che la somministrazione di batteriofagi specifici per ceppi patogeni di E. coli può proteggere gli animali dall'infezione con una quantità potenzialmente letale di microrganismi. Una terapia basata sull'impiego di batteriofagi presenterebbe, oltre ad una elevata specificità, numerosi altri vantaggi, quali la diffusione nell'ambiente di batteriofagi in grado di lisare ceppi batterici patogeni e la possibilità di una sola somministrazione, in quanto il numero di batteriofagi presenti aumenterebbe ad ogni replicazione virale all'interno delle cellule batteriche colpite.

La profilassi delle tossinfezioni alimentari si basa prevalentemente sull'accurata selezione, preparazione e conservazione dei cibi. A tal fine è ovviamente fondamentale l'igiene personale degli addetti alla preparazione dei cibi, nonché l'identificazione e l'allontanamento dalla manipolazione degli alimenti dei portatori di salmonelle e degli individui con stafilococcie cutanee.

Particolarmente importante è la temperatura di conservazione dei cibi, in quanto la maggior parte dei batteri cresce a temperature comprese fra 4 e 60°C; una adeguata refrigerazione, così come la cottura a temperatura superiori a 60°C, può quindi prevenire la contaminazione degli alimenti. Bisogna tuttavia tenere presente che la cottura non elimina il pericolo della tossinfezione stafilococcica, causata da tossine termostabili. Infine, una importante misura preventiva consiste nella tempestiva denuncia agli organi competenti di tutti gli episodi di tossinfezione alimentare, al fine di evitare il verificarsi di ulteriori casi.

 

 

Letture consigliate

 

Cantey J.R.: Infectious diarrhea. Pathogenesis and risk factors. Am. J. Med., 78 (suppl. 6B), 65, 1985.

Du Pont H.L.: Nonfluid therapy and selscted chemoprophylaxis of acute diarrhea. Am. J. Med., 78 (suppl. 6B), 81, 1985.

Edelman R.: Prevention and treatment of infectious diarrhea. Speculations on the next 10 years. Am. J. Med., 78 (suppl. 6B), 99, 1985.

Gorbach S.L.: Infectious diarrhea. Blackwell Scientific Publications, Boston, 1986.

Guerrant R.L., Shields D.S., Thorson S.M., Schorling J.B., Gröschel D.H.M.: Evaluation and diagnosis of acute infectious diarrhea. Am. J. Med., 78 (suppl. 6B), 91, 1985.

Levine M.M.: Escherichia coli that cause diarrhea: enterotoxigenic, enteropathogenic, enteroinvasive, enterohemorragic, and enteroadherent. J. Inf. Dis., 155, 3, 1987.

 

 

F. SORICE

Direttore Istituto di Malattie Infettive,

Università “La Sapienza”, Roma

 

V. VULLO

Ricercatore Istituto di Malattie Infettive,

Università “La Sapienza”, Roma

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