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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA

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 Ultimo aggiornamento: 23.12.2013

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L'IPOTIROIDISMO

 

M. AUSTONI - B. BUSNARDO

 

 

Per ipotiroidismo s'intende una condizione morbosa prodotta dalla insufficiente formazione, secrezione ed azione degli ormoni tiroidei, sia essa sostenuta da una lesione primitiva della ghiandola tiroide (ipotiroidismo primario) sia dalla mancata stimolazione di una tiroide intrinsecamente normale da parte del suo stimolo fisiologico, l'ormone tireotropo ipofisario o TSH (ipotiroidismo secondario).

Nell'ambito dell'ipotiroidismo primario si distingue un ipotiroidismo tireoprivo, quando l'insufficiente secrezione di ormone tiroideo sia in relazione con una riduzione quantitativa del tessuto tiroideo funzionante, comprende tutte le forme caratterizzate clinicamente dall'assenza di gozzo, e un ipotiroidismo con gozzo, nel quale l'insufficiente produzione di ormone tiroideo è legata ad una alterazione biochimica intraghiandolare, e il gozzo è la espressione clinica di un tentativo di compenso.

Nell'ambito dell'ipotiroidismo secondario o centrale si distingue una forma primitivamente pituitarica e una forma primitivamente ipotalamica (anche detta ipotiroidismo terziario) nel quale l'ipofisi è integra, ma è mancante il TRH.

Infine una forma estremamente rara di ipotiroidismo è legata ad una resistenza dei tessuti periferici all'azione dell'ormone tiroideo. La tab.01x elenca le cause di ipotiroidismo. L'ipotiroidismo primario è la forma di gran lunga più frequente (olre il 90% dei casi), si manifesta molto più spesso nelle donne (rapporto femmine-maschi 10/1), può comparire ad ogni età sebbene sia più frequente fra i 30 ed i 60 anni. L'insufficienza tiroidea è in genere permanente, ma è necessario ricordare che esistono situazioni di ipotiroidismo transitorio.

Nella presente rassegna si è inteso effettuare una revisione di alcuni aspetti di patogenesi e di fisiopatologia dell'ipotiroidismo. Non verrà invece trattato se non occasionalmente il quadro clinico, sia perché esso è noto e caratteristico, anche se con sfumature diverse a seconda delle diverse età e del diverso meccanismo con cui l'ipotiroidismo si presenta, sia perché esistono già pregevoli descrizioni in letteratura.

 

 

Fisiopatologia e quadro ormonale

 

Nell'ipotiroidismo primario i bassi livelli ematici di tiroxina (T4) e di triiodotironina (T3) non sono più capaci di controbilanciare a livello delle cellule tireotrope dell'ipofisi l'effetto stimolante del TRH ipotalamico, per cui grandi quantità di TSH vengono prodotte e secrete in circolo.

La elevata concentrazione del TSH nel siero è un reperto praticamente patognomonico della malattia e ne rappresenta senza dubbio l'indice laboratoristico più precoce e più sensibile. La somministrazione di TRH esogeno è seguita da un aumento del TSH superiore al normale con una tipica risposta esagerata e prolungata per la grande capacità secretoria delle cellule tireotrope ipertrofiche.

Studi sogli animali da esperimento e nell'uomo hanno chiaramente dimostrato che riduzioni anche modeste dei livelli degli ormoni tiroidei all'interno del range di normalità sono già accompagnati da una elevazione del TSH. In patologia questo comportamento è esemplificato dal cosiddetto ipotiroidismo compensato o subclinico in cui i livelli di T3 e T4 totali sono ancora ampiamente normali, ma il TSH è elevato e presenta una risposta superiore al normale allo stimolo con TRH. In queste condizioni è stato anche dimostrato che vi è quasi sempre una parallela riduzione dei livelli di ormoni liberi, cioè di quella frazione che circola non legata alle proteine vettrici e come è noto rappresenta la frazione metabolicamente attiva, e in particolare della tiroxina libera (FT4).

Quando il tessuto tiroideo funzionante è quantitativamente ridotto o quando esiste un difetto biochimico intraghiandolare il contenuto iodico tiroideo è parallelamente ridotto. In queste circostanze vi è un aumento della produzione di monoiodotirosina (MIT) rispetto alla diiodotirosina (DIT) e della T3 rispetto alla T4.

Questo effetto è legato all'esistenza all'interno della tiroide di un meccanismo autoregolatorio intrinseco, inteso teleologicamente a risparmiare l'elemento indispensabile per la sintesi ormonale, quando la sua disponibilità sia ridotta: la sintesi di T3 è notevolmente vantaggiosa in quanto la T3 ha una potenza metabolica che è due-tre volte superiore a quella della T4, pur richiedendo per la sua sintesi un atomo di iodio in meno; pertanto per ogni molecola di T3 prodotta al posto di una di T4 si ha un risparmio di 12 atomi di iodio.

La concentrazione sierica di T4 e ancora più quella di FT4 è quindi precocemente e nettamente abbassata, mentre la concentrazione di T3 e anche di FT3 si mantiene normale più a lungo. Pertanto nella diagnosi dell'ipotiroidismo è molto più importante e sensibile la determinazione della T4 e dell'FT4 nel siero rispetto a quella di T3 e FT3.

 

 

Principali quadri clinici

 

CRETINISMO ENDEMICO

 

Nelle aree di severa endemia gozzigena un numero abnormemente elevato di individui, che può raggiungere il 5-8% della popolazione, presenta un insieme di anomalie irreversibili dello sviluppo fisico ed intellettuale, definito col nome di cretinismo endemico. L'etiopatogenesi del cretinismo endemico è solo parzialmente chiarita e la diagnosi è solo descrittiva e basata su criteri epidemiologici.

Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità il cretinismo endemico è definito da tre criteri:

1. Epidemiologia: è associato con gozzo endemico e con severa deficienza iodica.

2. Clinica: domina il quadro la deficienza mentale variamente associata a: I) predominante sindrome neurologica, che consiste in difetti dell'udito e della parola e disordini della stazione eretta e dell'andatura; II) predominante ipotiroidismo e difetto di crescita. In alcune regioni predomina l'uno o l'altro di questi aspetti, in altre una mescolanza dei due.

3. Prevenzione: nelle zone in cui la deficienza iodica è stata corretta, il cretinismo endemico è scomparso.

In passato veniva accettata la distinzione fra cretinismo neurologico con predominanti od esclusivi disordini neurologici e cretinismo mixedematoso con predominanza di severo ipotiroidismo.

I primi, presenti per esempio nella Nuova Guinea, sono caratterizzati da ritardo mentale estremo, con gravi difetti motori, andatura spastica od atassica, strabismo. La prevalenza di gozzo non è diversa da quella dei soggetti non cretini della stessa area; non ci sono segni evidenti di ipotiroidismo, anche se talora la T4 è un po' abbassata, e il TSH lievemente elevato (ipotiroidismo subclinico).

I cretini mixedematosi invece, presenti ad esempio nello Zaire, hanno un severo ipotiroidismo, nanismo, gozzo assente e anzi solo piccoli residui di tessuto tiroideo, T4 molto basso, TSH elevato, il ritardo mentale è molto minore. In altre zone (Svizzera, Nepal) le due forme di cretinismo sono variamente associate.

Nelle zone di severo gozzo endemico, comunque, deficit neuromotori ed intellettivi si possono frequentemente osservare in individui che non mostrano altri segni di cretinismo.   È probabile quindi che il cretinismo endemico costituisca l'estrema espressione di uno spettro di anomalie dello sviluppo fisico ed intellettuale e delle funzioni tiroidee osservate negli abitanti delle zone di severo gozzo endemico e deficienza iodica.

La deficienza iodica è fondamentale nella etiologia del cretinismo endemico.   È stata documentata una stretta relazione fra gravità della deficienza iodica e prevalenza del gozzo e del cretinismo endemico. Inoltre è stata chiaramente documentata la scomparsa del cretinismo con la iodio-profilassi. La distribuzione di sale iodato praticata ormai da molti anni in molte nazioni europee (Svizzera, Jugoslavia ecc.) ha portato alla scomparsa del cretinismo e del gozzo endemico da queste regioni.

In alcune zone endemiche dell'Africa è stata utilizzata per motivi di praticità l'iniezione di olio iodato, in particolare alle gravide, ottenendo la normalizzazione dei parametri biochimici tiroidei e la nascita di bambini normali.

Accanto alla deficienza iodica sembra importante, specie in alcune zone, l'effetto di gozzigeni naturali presenti in alcuni alimenti vegetali (Brassicacee). Queste contengono sostanze che vengono metabolizzate a tiocianato, che agendo per competizione sulla pompa dello ioduro determina un blocco della captazione tiroidea dello iodio, aggravandone quindi il deficit.

Numerose osservazioni hanno chiaramente dimostrato che il cretinismo congenito è dovuto alla presenza di severa insufficienza tiroidea negli ultimi mesi della vita fetale e nei primi mesi di vita extrauterina, in un periodo cioè cruciale per lo sviluppo nervoso centrale.

Alcuni aspetti del problema rimangono tuttavia ancora non chiariti. In primo luogo la mancanza di gozzo in molti soggetti con cretinismo specie di tipo mixedematoso che anzi hanno una tiroide atrofica, in contrasto con i soggetti gozzuti non cretini della stessa area. Si è pensato ad una atrofia per esaurimento funzionale durante la gravidanza. Tuttavia in modelli animali non è mai stata osservata atrofia in una tiroide sovrastimolata. La sistematica assenza di anticorpi antitiroidei nei cretini rende l'autoimmunità una spiegazione molto improbabile del danno tiroideo in questi soggetti. Infine rimane poco chiaro il meccanismo con cui la severa deficienza iodica possa dare il cretinismo neurologico, in cui il difetto tiroideo è modesto. La totale assenza della tiroide, per esempio nella agenesia tiroidea sporadica, pur portando ad un grave mixedema, non è accompagnata dai segni neurologici del cretinismo. D'altro canto, come è stato più sopra riportato, la correzione della deficienza iodica previene sia i segni biochimici sia le lesioni neurologiche del cretinismo endemico.

Vale la pena di ricordare come soprattutto nei Paesi industrializzati la frequenza del gozzo endemico e del relativo ipotiroidismo si sia ora notevolmente ridotta (e il cretinismo endemico praticamente scomparso) non solo per la profilassi con sale iodato già attuata da anni in molte regioni, ma anche per la facilità degli scambi commerciali che ha portato a disposizione della popolazione cibi più ricchi di iodio ("profilassi silenziosa").

Ma per quelle regioni ove queste previdenze non sono state ancora attuate il problema del gozzo e del cretinismo endemico esiste tuttora ed è molto grave (Africa centrale, America centro-meridionale ecc.).

 

 

IPOTIROIDISMO CONGENITO (SPORADICO)

 

 

Screening neonatale

 

Oltre che in forma endemica, l'ipotiroidismo congenito può verificarsi anche in forma sporadica e può essere o no accompagnato da gozzo. In passato la precocità della diagnosi di ipotiroidismo neonatale e della terapia dipendeva essenzialmente dall'acume del medico, ma purtroppo sfuggiva finché il difetto di suzione o di crescita chiariva il quadro. Le nostre conoscenze sulla causa e sulla prevalenza dell'ipotiroidismo congenito sporadico e le possibilità terapeutiche sono notevolmente aumentate negli ultimi 15 anni, come conseguenza della istituzione di programmi di screening neonatale effettuate ormai in molte regioni del mondo. In Italia lo screening copre oltre il 90% della popolazione in quasi tutte le regioni del Nord e del Centro, è meno completo, ma in fase di rapida estensione, nelle altre regioni. Dal 1977 al 1987 sono stati individuati in Italia circa 1000 casi di ipotiroidismo congenito con una prevalenza di 1 caso ogni 3000 nati. Questa percentuale è simile a quella trovata in altre regioni del globo.

Come è ormai noto lo screening dell'ipotiroidismo congenito che è collegato con lo screening di altre malattie metaboliche congenite si attua su macchie di sangue prelevate dal tallone e raccolte su carta da filtro, abitualmente al 4°-5° giorno di vita. Su tali macchie è possibile dosare la T4 o il TSH o entrambi. Questo ultimo sistema, che è ovviamente il più costoso ma che permette una diagnosi più precisa, è quello utilizzato per il 60% in Italia. Nel restante 40% viene dosato il solo TSH, sistema che non consente di rilevare i casi di ipotiroidismo secondario, che tuttavia sono estremamente rari (3-4% di tutti gli IC) e comunque non così gravi da compromettere lo sviluppo intellettivo e somatico se non riconosciuti e trattati molto precocemente. Lo screening con solo T4 è poco praticato sia in Italia che altrove per l'alto numero di falsi positivi. In caso di alterato risultato viene effettuato un richiamo con un secondo dosaggio su siero per conferma ed eventuale scintigrafia tiroidea, e viene iniziata la terapia. Questa procedura fa sì che la terapia venga necessariamente iniziata con un certo ritardo che può arrivare anche a 20-30 giorni dalla nascita. Poiché questo periodo è uno dei più importanti per lo sviluppo del sistema nervoso, questo ritardo nella terapia rappresenta un notevole limite della procedura di screening che si spera possa essere migliorata in futuro.

Un altro problema dello screening neonatale è quello dell'ipotiroidismo neonatale transitorio (IT) cioé confermato nel controllo ma destinato a regredire spontaneamente in tempi brevi. L'ipotiroidismo transitorio può essere causato da deficienza iodica, dal passaggio placentare di gozzigeni naturali o farmacologici, da un eccesso di iodio assunto dalla madre, da anticorpi anti-tiroide materni, da anticorpi bloccanti il recettore del TSH. Inoltre l'IT può essere dovuto a fattori neonatali, essendo frequente in nati pretermine o a basso peso. L'incidenza dell'IT varia dall'1-2% dei casi di IC nelle zone ricche di iodio come l'America al 20% dell'Italia o di altre nazioni Europee relativamente iodocarenti.

Il riconoscere la transitorietà dell'ipotiroidismo riscontrato con lo screening è importante per evitare una terapia "a vita" non necessaria. A tal fine si attuano una breve sospensione della terapia e nuovi test a 2-3 anni di età.

La causa più comune di ipotiroidismo congenito sporadico permanente (80-90% dei casi) è la disgenesia tiroidea (tab.02x). Un terzo di questi pazienti presenta una completa agenesia della ghiandola tiroide, due terzi hanno un'ipoplasia o un'ectopia della tiroide. La tiroide può scendere in modo incompleto dal suo punto di origine fra il terzo medio ed il terzo posteriore della lingua e la sua sede definitiva alla base del collo. Più frequentemente la tiroide è situata nella sua sede di origine e si parla allora di ectopia linguale, ma può trovarsi in ogni punto del suo percorso di discesa. L'ipotiroidismo si instaura in quanto generalmente le tiroidi ectopiche non raggiungono le dimensioni della tiroide normale, ed il tessuto tiroideo è quindi quantitativamente insufficiente. Frequentemente possono coesistere difetti biochimici intratiroidei che possono contribuire al difetto secretivo. La causa di questi difetti di sviluppo, che interessano più spesso le femmine, rimane ancora sconosciuta. La familiarità è possibile, ma rappresenta l'eccezione più che la regola.

 

La seconda causa di ipotiroidismo congenito è la disormonogenesi tiroidea per un difetto di una delle tappe necessarie alla sintesi dell'ormone tiroideo.

Sono stati descritti numerosi difetti biochimici congeniti della ormonosintesi tiroidea in genere familiari ed ereditari a trasmissione autosomica recessiva. L'ipotiroidismo si verifica quando il difetto è particolarmente grave come avviene in genere nello stato omozigote. Negli eterozigoti invece il difetto è più modesto e porta alla formazione di un gozzo eutiroideo nel quale il difetto è svelabile solo con opportune prove diagnostiche.

Classicamente si distinguono quattro diversi difetti congeniti della ormonosintesi tiroidea:

1. difetto del meccanismo di trasporto dello iodio dal plasma alle cellule tiroidee o difetto della "pompa dello ioduro". Il sistema di trasporto dello iodio è un sistema attivo che richiede energia e che è comune anche alle ghiandole salivari e alla mucosa gastrica. La diagnosi di difetto di questo sistema è ottenuta dal riscontro della mancata captazione del radioiodio nella saliva;

2. difetto di organificazione (o difetto di perossidasi) con incapacità di legare lo iodio alla molecola della tirosina. Lo ioduro che in tal modo rimane libero si accumula all'interno della ghiandola e può essere scaricato dalla tiroide mediante la somministrazione di ioni analoghi come il perclorato di potassio od il tiocianato. Una forma lieve di questo difetto, accompagnata da sordomutismo per difetto uditivo di trasmissione, è conosciuta col nome di sindrome di Pendred. Il sordomutismo non è dovuto all'ipotiroidismo, del resto non costante, ma ad un secondo difetto genetico associato;

3. difetto della reazione accoppiante delle molecole di iodotirosine (MIT e DIT) a formare iodotironine (T3 e T4). Questa forma può essere individuata con notevole difficoltà anche dal punto di vista laboratoristico, perché manca una prova diagnostica specifica;

4. difetto del meccanismo di dealogenazione delle iodotirosine liberate dal processo di idrolisi della tireoglobulina che porta alla secrezione di T3 e T4. Normalmente le iodotirosine vengono private del loro iodio che viene riciclato per una nuova ormonosintesi. Nel difetto in questione invece le iodotirosine integre passano in circolo portando ad un deficit iodico intratiroideo, a difettosa sintesi ormonale, a gozzo ed ipotiroidismo. Il difetto può essere messo in luce mediante cromatografia delle urine, in quanto il difetto è presente anche nei tessuti periferici e la somministrazione di iodotirosine radioattive è seguita dalla loro eliminazione come tali nelle urine.

Negli ultimi anni sono comparse in letteratura numerose descrizioni di pazienti con gozzo ed ipotiroidismo, congenito e spesso familiare, non facilmente inquadrabili nei tipi di difetto enzimatico surriferiti. Può essere quindi utile ricorrere ad una classificazione più generale, come la seguente proposta da Salvatore e Stanbury:

1. alterazioni della biosintesi delle proteine tiroidee:

a) difetto della sintesi delle catene polipeptidiche;

b) difetto della incorporazione dei carboidrati e del trasporto nel lume follicolare;

2. alterazioni della iodazione e della sintesi delle iodotironine:

a) difetto del trasporto attivo dello iodio;

b) aumento delle perdite dello iodio (difetto di disiodasi);

c) difetto di organificazione;

d) difetto della reazione accoppiante;

3. alterazioni del riassorbimento e della idrolisi della tireoglobulina:

a) difetto di endocitosi;

b) difetto di proteolisi (proteine iodate anomale in circolo).

 

 

IPOTIROIDISMO DEL GIOVANE E DELL'ADULTO

 

Alcune forme di ipotiroidismo congenito, per esempio ipoplasia, disgenesia, ectopia o difetti dell'ormonogenesi, quando il grado del difetto è modesto, possono manifestarsi solo in età giovanile sia sul piano biochimico sia sul piano clinico.

L'ipotiroidismo acquisito è più frequente dell'ipotiroidismo congenito e può essere dovuto in ordine decrescente di frequenza a tiroidite, a cause iatrogene, a gozzigeni, a difetto od eccesso di iodio, molto raramente a tumori che distruggono la tiroide.

 

 

Tiroidite cronica autoimmune

 

La tiroidite cronica autoimmune venne descritta per la prima volta nel 1912 da Hashimoto che riportò 4 pazienti con gozzo nei quali l'istologia della tiroide era caratterizzata da una diffusa infiltrazione linfocitaria, atrofia delle cellule parenchimali, fibrosi e colorazione eosinofila di alcune cellule parenchimali.

Sono state successivamente descritte numerose varianti (vedi tab.03x). Nella variante fibrosa cronica prevale la fibrosi e l'infiltrazione linfocitaria è meno marcata. Nella tiroidite linfocitaria giovanile la fibrosi, l'eosinofilia delle cellule e i centri germinativi sono meno evidenti che nell'adulto, e anche i titoli anticorpali sono meno elevati e qualche volta sono negativi.

La tiroidite post-partum è una forma di tiroidite autoimmune spesso transitoria, che si verifica nel corso di una malattia occulta: in alcuni casi può evolvere verso la forma manifesta e l'ipotiroidismo permanente. Durante la gravidanza i fenomeni autoimmuni si attenuano e dopo il parto si può verificare la comparsa della malattia come espressione di una riaccensione dell'autoimmunità (fenomeno di rimbalzo).

Il mixedema spontaneo dell'adulto rappresenta la forma più frequente d'ipotiroidismo a comparsa nell'età adulta, come conseguenza di una tiroidite a tendenza atrofica invece che ipertrofica come nella tipica malattia di Hashimoto. L'esame istologico mostra estremi processi fibrotici, focolai di infiltrazione linfocitaria e atrofia marcata delle cellule follicolari. Obiettivamente in questi pazienti la tiroide non è palpabile o è ridotta ad una sottile banda di tessuto fibroso alla base del collo.

Sembra che esistano differenze genetiche e patogenetiche fra queste varianti: è stato dimostrato che i pazienti con tiroidite atrofica hanno un'elevata incidenza di HLA-B8 e HLA-DR3, mentre quelli con tiroidite di Hashimoto e gozzo hanno un'alta incidenza di HLA-DR5. Tuttavia tutte riconoscono la comune origine autoimmune.

In passato la tiroidite di Hashimoto era considerata rara e la diagnosi era spesso effettuata sul piano istologico dopo la tiroidectomia. L'aumento delle conoscenze e il miglioramento delle tecniche diagnostiche (dosaggi degli autoanticorpi circolanti antitireoglobulina e antimicrosomi tiroidei, esame citologico su ago aspirato), hanno condotto ad un progressivo aumento del riconoscimento di questa malattia.   È anche accettato il dato di un aumento effettivo della sua frequenza, verosimilmente in conseguenza del progressivo aumento dell'introito iodico che si è verificato nel mondo industrializzato.

Sembra infatti che lo iodio da un lato sia in grado di provocare ex novo un fenomeno autoimmune a carico della tiroide con meccanismi ancora non chiariti, dall'altro possa smascherare o rendere manifesta una tiroidite ancora in forma occulta.

Recenti rassegne indicano che la prevalenza della tiroidite negli adolescenti è pari all'l-2%. L'incidenza aumenta progressivamente con l'età con un picco verso i 50-60 anni. La prevalenza nella popolazione generale è del 3-4%. Ma nelle donne anziane circa il 16-18% presenta autoanticorpi antitiroide circolanti, e qualche grado di infiltrazione linfocitaria della tiroide, anche se in questi soggetti la malattia è spesso clinicamente occulta.

 

I pazienti con tiroidite autoimmune presentano costantemente alti livelli ematici di autoanticorpi antitiroide. Gli anticorpi antitireoglobulina sono presenti nel 70% dei soggetti con tiroidite di Hashimoto e nel 60% di quelli con mixedema dell'adulto. Gli anticorpi antimicrosomi, che sembrano in realtà essere anticorpi antiperossidasi tiroidea, sono praticamente presenti in tutti i pazienti con tiroidite di Hashimoto e nella grande maggioranza di quelli con mixedema dell'adulto. Questi ultimi anticorpi avrebbero anche attività citotossica e il loro titolo è in stretta correlazione con il danno istologico. Altri anticorpi possono essere rinvenuti nel siero di soggetti con tiroidite cronica autoimmune. Questi sono:

- anticorpi contro un secondo componente della colloide, diverso dalla tireoglobulina, il cui significato è però assai incerto;

- anticorpi contro gli ormoni tiroidei, la tiroxina e la triiodotironina. Questi anticorpi possono interferire nei dosaggi radioimmunologici, ma non influenzano la funzione tiroidea;

- anticorpi stimolanti la crescita delle cellule tiroidee senza stimolarne la funzione, che potrebbero giocare un ruolo nel determinismo delle forme con gozzo;

- anticorpi bloccanti il recettore del TSH che potrebbero in qualche modo essere responsabili dell'ipotiroidismo;

- anticorpi inibenti l'effetto trofico del TSH che sarebbero stati trovati in qualche caso di tiroidite atrofica.

Nella tiroidite autoimmune la funzione tiroidea può essere variamente alterata. La captazione tiroidea del radioiodio può essere inferiore al normale, ma il più spesso è normale o anche elevata con veloce turnover iodico intraghiandolare per la presenza di un difetto acquisito della organificazione dello iodio.

Il difetto della organificazione, che come nei corrispondenti gozzi disormonogenetici può essere svelato con la positività del test del perclorato, può essere presente nella grande maggioranza dei pazienti con tiroidite autoimmune ed essere in qualche caso la causa principale dell'ipotiroidismo.

Tale difetto spiega anche la estrema sensibilità allo iodio dei pazienti con tiroidite autoimmune; infatti un eccesso di iodio anche nei soggetti normali induce un blocco della organificazione attraverso l'effetto Wolff-Chaikoff che è un fenomeno transitorio seguito da scappamento o escape. Nei pazienti con preesistente difetto del processo di organificazione, come quelli con tiroidite di Hashimoto, il blocco da iodio si verifica per dosi inferiori e può essere permanente, cioè senza escape, determinando gozzo e ipotiroidismo. La sensibilità allo iodio della tiroidite autoimmune spiega anche l'aumento assoluto di incidenza verificatosi negli ultimi decenni, con l'aumento dell'introito iodico.

Come conseguenza della distruzione delle ghiandole e del blocco della organificazione, il pool iodico si riduce determinando un aumento del rapporto MIT/DIT e T3/T4 come già spiegato nella sezione di fisiopatologia. La riduzione di T4 porta ad un aumento del TSH. Anche in questa forma di ipotiroidismo l'aumento del TSH è il più precoce e sensibile segno di alterazione funzionale anche se i livelli di T3 e T4 sia totali che liberi rimangono ancora nella norma (ipotiroidismo subclinico: vedi sezione relativa).

  È probabile che l'effetto Wolff-Chaikoff senza escape spieghi quasi tutte le forme di ipotiroidismo indotto da iodio. Quantità rilevanti di iodio sono contenute in molti farmaci usati sia nelle broncopneumopatie croniche sia nelle artropatie croniche, sia recentemente in cardiologia (amiodarone). La maggior parte dei pazienti che diventano ipotiroidei dopo ingestione di iodio hanno infatti una tiroidite cronica autoimmune misconosciuta e autoanticorpi antimicrosomi tiroidei circolanti.   È quindi tassativo dosare sempre tali anticorpi in previsione di terapia con farmaci contenenti iodio.

 

 

IPOTIROIDISMO NELLE MALATTIE POLIENDOCRINE AUTOIMMUNI

 

Le poliendocrinopatie autoimmuni comprendono molto spesso ipotiroidismo o condizioni autoaggressive che possono portare, in prosieguo di tempo, da apparente normalità ad ipofunzione tiroidea, magari larvata. Ciò avviene soprattutto nella tiroidite di Hashimoto. Ecco perché il riconoscimento di una tireopatia autoimmune, che è per lo più agevole, offre la possibilità di chiarire quadri polisindromici non solo organospecifici, ma anche non-organospecifici, come l'artrite reumatoide, il LES, il morbo di Sjogren, il pemfigo, la miastenia ecc. Se perciò sussiste qualche sospetto, l'indagine anticorpale va estesa a tutti quegli anticorpi che sono segnali, talora premonitori, di patologie insospettate o marginali.

Oggigiorno la nosografia tende a distinguere tre tipi di sindromi poliendocrine autoimmuni (SPA) a seconda delle associazioni più frequenti tra loro e cioè:

 

SPA tipo I, caratterizzata da:

-associazioni maggiori: morbo di Addison, ipoparatiroidismo (HLA-A28?), candidiasi cronica (sono sufficienti due stigmate + ricerca delle associazioni minori);

- associazioni minori: malattia tiroidea autoimmune, gastrite atrofica con o senza anemia perniciosa, sindrome di malassorbimento, epatite cronica attiva, menopausa precoce da ipogonadismo ipergonadotropo, ipofisite, vitiligine, alopecia;

 

SPA tipo II, caratterizzata da:

- associazioni maggiori: ipotiroidismo da tiroidite scleroatrofica o suoi equivalenti, morbo di Addison, diabete mellito insulino-dipendente;

- associazioni minori: gastrite atrofica, anemia perniciosa, menopausa precoce da ipogonadismo ipergonadotropo, ipofisiti, alopecia, vitiligine, miastenia.

 

SPA tipo III, il cui connotato centrale è sempre la malattia tiroidea autoimmune (tireotossicosi, mixedema, Hashimoto, esoftalmo endocrino) associata ad una o più delle seguenti sindromi:

- diabete insulino-dipendente;

- gastrite atrofica con o senza anemia perniciosa;

- malattie non-organo-specifiche (Sjogren, pemfigo, pemfigoide, miastenia, vitiligine, alopecia).

 

 

IPOTIROIDISMO NELL'ANZIANO

 

L'ipotiroidismo nelle persone anziane è tutt'altro che raro, specie nelle donne. Esso è spesso misconosciuto, perché i suoi sintomi sono sfumati o atipici o perché investono settori meno colpiti nelle altre età, come quello psicosensoriale e nervoso.   È così che una buona parte dei casi viene ascritta allo stesso processo della senescenza, specie quando essa produce severe devastazioni psico-fisiche.

Il problema del rischio ipotiroideo nell'anziano è emerso con le cognizioni anatomo-istologiche ed immunologiche delle tiroiditi autoimmuni. Le autopsie delle persone anziane hanno mostrato un'incidenza di tale quadro nel 45% di donne sopra i 60 anni contro il 22% di quelle sotto i 40 anni. Inoltre lo screening sierologico mostra chiaramente che l'incidenza di autoanticorpi circolanti aumenta con l'età; fenomeno che viene imputato all'affievolirsi della sorveglianza immunologica negli anziani.

Viene perciò auspicato per l'anziano un sistema di screening analogo a quello per l'ipotiroidismo congenito. Questo non solo in considerazione che un'adeguata opoterapia può modificare l'epidemiologia, ma anche perchè con poca spesa terapeutica si possono risparmiare gli enormi costi di terapie perenni di consistenti popolazioni per trattamenti sintomatici e ricoveri in istituzioni per lungo degenti, case di riposo, reparti geriatrici, manicomi ecc.

 

Il problema è di ordine metodologico perché la stima della reale prevalenza dell'ipotiroidismo senile è tuttora piuttosto controversa sia perché le indagini epidemiologiche vengono spesso fatte su casistiche selezionate, sia per reali differenze regionali, per la diversità di fattori eziopatogenetici (carenza iodica, sostanze gozzigene, predisposizione genetica, farmaci, abitudini alimentari, e malattie extratiroidee come nella "euthyroid sick syndrome"). Anche nelle poche omogenee casistiche di comunità vi è una notevole variabilità: lo studio di Framingham (1985) mostra, ad esempio, in 1256 donne sopra i 60 anni, una prevalenza del 3% di ipotiroidismo manifesto e dell'8,5% di forme subcliniche, mentre lo studio di Kisa (1983) su 1442 donne della stessa età mostrava rispettivamente lo 0,55% e lo 0,95%; cioè 6-8 volte meno. Un corretto studio epidemiologico pertanto deve venir attuato sulle varie fasce di età di popolazioni omogenee includendo non solo il dosaggio di T3 e T4, ma anche quello del TSH e degli anticorpi antitiroide ed escludendo le forme iatrogene. Non si va tuttavia molto lontano dal vero affermando che, dopo i 60 anni, l'ipotiroidismo manifesto può incidere dallo 0,5 al 5%, a seconda dei fattori sopraenunciati. Ma forse l'interesse maggiore sta nel conoscere l'incidenza di quello subclinico. Si deve tener presente che la comparsa di anticorpi antitiroide in persone clinicamente e ormonalmente eutiroidee può precedere di anni la comparsa delle manifestazioni cliniche.

Il quadro clinico suole presentarsi in modo assai variegato, ma vi è accordo sul ritenere che in 2/3 dei casi esso sia silente o atipico.   È per questo che esso viene spesso misconosciuto e variamente attribuito ad altre patologie (tab.08x). Per lo più esso viene scambiato col deterioramento mentale e fisico della senescenza con cui condivide effettivamente vari caratteri.

Ma è soprattutto al settore neuropsichico che deve essere rivolta l'attenzione. Accanto ai sintomi classici della sonnolenza e del difetto della termogenesi, hanno la maggior evidenza lo stato ansiosodepressivo con astenia neuroastenica e muscolare e la lenta involuzione delle facoltà affettivo-ideative che conducono ad alcuni dei quadri riportati a fondo pagina.

Il quadro ormonale è decisivo per la diagnosi. Esso va però correttamente interpretato per evitare errori di sopra- e sottovalutazione.

Nell'anziano, i dosaggi della T3 totale e libera sono di scarso ausilio, poiché vi è spesso diminuzione dell'attività desiodante da T4 a T3 (e ciò è anche più evidente nella euthyroid sick syndrome e per effetto di farmaci o di corticosteroidi). Anche i valori di T4 libera o totale si mantengono nell'anziano entro i limiti normali.

Il test più sensibile è ancora il dosaggio di TSH. Va tenuto presente che piccole diminuzioni di TSH sono indotte dal digiuno e dai corticosteroidi, mentre un certo aumento si osserva nella guarigione di gravi malattie extratiroidee.

La terapia non differisce da quella dei soggetti più giovani. Essa tuttavia deve essere molto più cauta nelle dosi e nella loro progressione fino alla dose ottimale, che di solito è un po' inferiore all'usuale. Essa intende mantenere il TSH a livelli alto-normali. Usualmente si inizia con 25 microg salendo di altrettanto ogni 2-4 settimane in relazione alle eventuali ripercussioni cardio-circolatorie indotte dal brusco aumento della gittata sistolica sull'efficienza miocardica e sulla portata coronarica. Sarà utile anche il controllo degli enzimi (transaminasi, CPK-MB, LDH ecc.) e delle lipoproteine aterogene.

L'introduzione nella terapia di stati commotivi cerebrali e di sindromi neuropsichiatriche di tipo depressivo del TRH sintetico, che, indipendentemente dall'effetto endocrino, sembra influenzare a vario livello la funzione del sistema nervoso centrale, ha fatto sorgere il quesito se questo tripeptide possa essere utile nelle manifestazioni neuropsichiatriche dell'ipotiroideo anziano. Allo stato attuale non sono però disponibili dati indicativi nel senso desiderato.

 

 

IPOTIROIDISMO IN GRAVIDANZA

 

La gravidanza in donne ipotiroidee, correttamente trattate o no, pone numerosi problemi: per la madre sorge un grosso problema psicologico e comportamentale relativo al rischio di aborto e di malformazioni fetali; per il medico un problema diagnostico e terapeutico, specie se la tireopatia di base è ignorata. Irregolarità mestruali, difficoltà di concepimento per l'elevata frequenza di cicli anovulatori e storia di pregressi aborti devono mettere in guardia e indurre l'adozione di provvedimenti diagnostici preventivi. Comunque non vi sono prove sicure che all'ipotiroidismo materno siano ascrivibili sia la tendenza all'aborto sia le eventuali anomalie tiroidee del neonato.

Alle gestanti va comunque garantito il massimo impegno, tanto più che oggi sono disponibili mezzi diagnostici e terapeutici così perfezionati da poter dare le più ampie assicurazioni sia per il regolare decorso della gravidanza sia per la mancanza di effetti nocivi per il feto. Si può così attenuare l'apprensione ed ottenere migliore collaborazione.

Come per le non gestanti ipotiroidee è d'obbligo un'adeguata terapia e monitoraggio, così in gravidanza occorre un trattamento e più frequenti controlli.

Già nella gravidanza normale vi è spesso aumento di volume e di flusso ematico della tiroide; vi è iperplasia follicolare e i tireociti aumentano in altezza come per effetto di un'azione tireostimolante. Poiché però nel primo trimestre il TSH è di solito diminuito, il fenomeno viene attribuito alla gonadotropina corionica (HCG), che, pur avendo bassa attività tireostimolante, raggiunge, proprio in tale fase, valori elevatissimi. Nelle malattie trofoblastiche infatti vi è spesso tireotossicosi. Le glicoproteine TSH, HCG, LH e FSH hanno infatti in comune la catena alfa e poche differenze strutturali nella catena beta, che è quella attiva. Il fenomeno indotto dalla HCG sui tireociti è anche dimostrabile in vitro.

Tuttavia, malgrado qualche riserva, il concetto che la funzione dell'asse ipotalamo-ipofisi-tiroide del feto sia indipendente da quello materno ha trovato largo consenso. Analogo consenso esiste per la gravidanza in donne ipotiroidee. R.D. Utiger in un recente Editoriale del New Engl. J. Med., traendo lo spunto da alcuni dati divergenti sullo stesso argomento, pubblicati sullo stesso giornale, afferma che raramente vi è necessità di aumentare, in gravidanza, le dosi di T4; che non occorre preoccuparsi di minori variazioni del TSH e dell'indice di T4 libera sia perché questi valori possono variare da giorno a giorno sia perché per lo più dipendono da fattori extratiroidei materni; che la dose media è di 100 microg in dose unica (salvo casi particolari, come cardiopatie in cui la dose deve essere graduata); che non vi è ragione di aggiungere T3 e tanto meno di sospendere la T4 qualora si manifestasse, per effetto della gravidanza, un miglioramento dell'ipotiroidismo, come talora si vede in alcune forme autoimmuni per la generale attenuazione della reattività immunologica.

 

Eventuali anormalità del neonato vanno per lo più ascritte ad alterazioni autonome della funzione tiroidea fetale. Ma anche in questo caso la gestante va rassicurata, poiché lo screening dell'ipotiroidismo nel neonato costituisce un valido metodo di diagnosi precoce che permette il tempestivo trattamento di eventuali disfunzioni tiroidee e la riduzione dell'ipotiroidismo congenito.

Nella gravidanza normale vi sono tuttavia variazioni che occorre conoscere per poter interpretare correttamente i dati forniti dal laboratorio (fig.01x).

- T4 e T3 totali aumentano a causa del cospicuo e precoce aumento della globulina legante la T4 (TBG), che è indotta dall'aumento degli estrogeni e che essendo maggiore di quello di T4, tende a ridurre la T4 libera: anche in tal modo viene perciò mantenuto l'equilibrio e la disponibilità giornaliera ormonale. Viene inoltre impedito il passaggio transplacentare di T4 anche perché nel feto l'aumento della TBG è assai minore;

- nel primo trimestre il TSH materno risulta basso forse perché il contemporaneo picco di HCG può provocare un certo aumento di T3 libera. Negli altri due trimestri il TSH aumenta fino al termine, pur restando entro i limiti normali. La sua risposta al TRH è pure normale. La placenta è, d'altra parte, praticamente impermeabile al passaggio di T3, T4 e TSH materni. A differenza dei tessuti materni, che dispongono della 5'-desiodasi per la desiodazione di T4 in T3 (T3 neogenesi), la placenta possiede una attiva 5'-desiodasi con la quale trasforma la T4 in reverse-T3, che è inattiva. Il TRH, che pure è presente nella placenta, non sembra esercitare un ruolo importante.

Iodio, tireostatici e anticorpi invece passano, come dimostrano il gozzo da iodio e da tireostatici o la tireotossicosi neonatale da madri con elevati tassi di immunoglobuline tireostimolanti (TSAb).

L'unità feto-placentare è quindi indipendente dalla funzione tiroidea materna. La maturazione dell'asse ipotalamo-ipofisi-tiroide del feto evolve secondo il seguente profilo temporale (fig.02x):

- il TSH compare tra la 10a e la 12a settimana, cresce abbastanza rapidamente fino ad un picco tra la 22a e la 24a settimana, per poi calare lentamente fino alla nascita;

- il TRH compare alla stessa epoca, ma aumenta lentamente fino al termine senza presentare picchi o decrementi paralleli al TSH;

- le T4 totale e libera sono relativamente basse agli esordi, per poi crescere in concomitanza con l'aumento del TSH;

- la T3, che non è misurabile all'inizio, resta a bassa concentrazione fino alla 30a settimana, per poi crescere modestamente fino al termine;

- la r-T3, viceversa, è alta già a metà gravidanza per decrescere poi in modo complementare a T3 e T4 all'epoca del parto;

- la TBG cresce gradualmente anche nel feto, ma in minor misura che nella madre;

- gi anticorpi antitireoglobulina (ATA) e antimicrosomi (AMA), benché possano attraversare la placenta, non sono citotossici per i tireociti fetali. Infatti non c'è correlazione tra la loro concentrazione nel neonato ed ipotiroidismo congenito;

- gli anticorpi antirecettore-TSH sono una eterogenea popolazione di IgG in parte stimolanti (TSAb) e in parte inibenti (TBII o Thyroid Binding Inhibitor Immunoglobulin e TGBA o Thyroid Growth Blocking Antibodies). I primi prevalgono in gestanti ipertiroidee, i secondi nelle ipotiroidee; talora coesistono. Entrambi possono passare il filtro placentare, specie se sono a titolo elevato o se non hanno subito la usuale decurtazione gravidica. Casi di ipotiroidismo neonatale sono talora collegabili con la presenza di anticorpi bloccanti. Si tratta allora di forme transitorie o persistenti analoghe a quelle della prematuranza fetale, che saranno elencate più avanti. La terapia preventiva durante la gravidanza non può in tal caso essere attuata con le iodotironine, che non passerebbero attraverso la placenta. Il trattamento deve essere iniziato subito dopo la nascita secondo i canoni della terapia dell'ipotiroidismo congenito.

L'ontogenesi del sistema ipotalamo-ipofisi-tiroide del feto è così complessa che, a seconda dei vari stadi di maturazione, si possono verificare nei neonati prematuri varie condizioni malformative o disfunzionali. In generale i difetti precoci dell'ontogenesi sono permanenti, mentre quelli più tardivi sono transitori (vedi tab.04x).

 

 

COMA MIXEDEMATOSO

 

Il coma è la più grave complicanza dell'ipotiroidismo inveterato, primitivo od ipofisario. Esso è il segno del profondo deterioramento di tutte le funzioni neuropsichiche, endocrine e di varie funzioni vitali (respiratoria, cardiocircolatoria, renale ecc.) e va considerato, ai fini diagnostici e terapeutici, una condizione multifattoriale che deve essere globalmente valutata e trattata. Ogni ritardo ed incompletezza delle misure correttive comporta l'aggravamento della prognosi ed il raggiungimento di stati irreversibili. La mortalità può arrivare al 40% dei casi. Fortunatamente è evenienza sempre rara.

Premesso che ai fini terapeutici non vi è differenza fra forme primitive e quelle ipofisarie, il trattamento va messo prontamente in atto senza attendere conferme di laboratorio e, possibilmente, presso unità di cura intensiva dove monitoraggio e rianimazione sono meglio attuati. I segni clinici, se disponibili, i dati anamnestici sono quasi sempre sufficienti per la diagnosi operativa e per impostare una terapia di approccio. Essa però deve mirare a tre scopi:

1. compensare il deficit ormonale;

2. mantenere le funzioni vitali correggendo le varie alterazioni dell'omeostasi;

3. rimuovere i fattori precipitanti e le eventuali complicanze (infezioni, specie respiratorie, stati di brusca insufficienza cardio-respiratoria e renale, ritenzione urinaria e fecale, tossici e farmaci).

L'esordio non è quasi mai brusco: in tal caso i familiari possono riferire che negli ultimi giorni il paziente dava segni di un progressivo ottundimento del sensorio e della ideazione, talora con manifestazioni psicotiche od eccitomotorie. Caratteristica immancabile è l'ingravescente freddolosità cui seguono astenia profonda ed invincibile sonnolenza, che trapassa in sopore o in crisi narcolettiche e poi in coma.

I casi ad esordio acuto sono rari, ma hanno maggiore mortalità. Si tratta quasi sempre di soggetti anziani, specie donne, che cadono in coma specie in inverno in occasione di esposizione al freddo.   È per questo che ciò avviene più spesso nei climi freddi. Altre cause precipitanti sono i traumi, specie cerebrali, gli interventi chirurgici, le malattie infettive e metaboliche, l'incongrua assunzione di farmaci (barbiturici, psicofarmaci, sovradosaggi di tireostatici, litio, perclorato ecc.).

Se i pazienti hanno subito una tiroidectomia chirurgica, se ne può constatare la cicatrice. Ma il più spesso si tratta di esiti di ignorate tiroiditi autoimmuni o di trattamenti Roentgen o con iodio radioattivo o di ingiustificata interruzione dell'opoterapia.

L'aspetto fisionomico, benché scambiabile con quello di una senilità patologica o di stati di degradazione somato e neuropsichica, è tuttavia abbastanza suggestivo per avviare non solo la terapia ormonale ma anche provvedimenti ed accertamenti diagnostici dei vari parametri fisiopatologici (ipotermia, ipoventilazione, ipotensione, iponatriemia, ipoglicemia, insufficienza cardiaca, respiratoria, renale, anemia ecc.).

 

La terapia ormonale ideale è quella endovenosa con tiroxina e triiodotironina, che purtroppo però in Italia non sono disponibili per tale uso. Lo si può far preparare estemporaneamente, se ci si può procurare in tempo le sostanze di base. Per ripristinare il pool circolante occorre una dose di 500 microg di T3 ogni 6-8 ore sia perché la sua azione è più pronta sia perché nel coma la desiodazione di T4 è ridotta. In alternativa i due ormoni vengono somministrati per sondino naso-gastrico fino a che il malato non sia in grado di deglutire. Malgrado il mixedema, l'assorbimento intestinale è compensato dalla rallentata peristalsi.

Dosi magari ripetute di 100 mg di idrocortisone sono pure indicate, specie se si intuisce che vi è anche shock iposurrenalico, ipotensione, ipoglicemia e iponatriemia. Si tenga però presente che esso inibisce la desiodazione e aumenta la ritenzione idrica.

Antibiotici a largo spettro vanno pure somministrati con larghezza sia a scopo preventivo che curativo delle infezioni, specie polmonari, di cui sogliono mancare i segni (tosse, polipnea, febbre).

Misure di assistenza cardio-respiratoria sono pure necessarie fin dall'inizio. Il successo è infatti in relazione con la tempestività degli interventi e con la completezza di valutazione delle varie sindromi associate e del relativo peso prognostico di ciascuna di esse.

La sindrome ipotermica è l'aspetto più clamoroso, ma purtroppo non sempre viene convenientemente valutata sia perché non si usano termometri tarati a 20-42 °C, sia perché non li si fa azzerare del tutto o perché non vi si presta fede. Il fatto è che temperature di 25-30 °C sono frequenti, cioé valori che rasentano il valore minimo del range di attività degli enzimi (25-30 °C). L'ipotermia è dovuta alla drastica riduzione dei processi ossidativi propri dell'ipotiroidismo, ma nel coma vi è un crollo della termogenesi che sfugge alla comprensione. Può forse giustificarlo la infiltrazione mucopolisaccaridica a livello dei centri termoregolatori, respiratori, ipotalamo-ipofisari nonché le marcate alterazioni della dinamica microcircolatoria cerebrale che riducono ancor di più l'apporto di ossigeno e glucosio.

Malgrado la drammaticità del fenomeno, non è prudente provocare un rapido riscaldamento corporeo; la brusca vasodilazione non mancherebbe di aggravare il precario compenso di circolo. Occorre invece impedire ulteriori perdite o, se si è agli estremi della scala termometrica, attuare una lenta e vigile ripresa termica (non più di 1 °C/ora) tanto più che, se l'opoterapia fa effetto, il recupero termico sarà completo in 24 ore.

La ridotta ventilazione polmonare, che di solito precede l'ipotermia, è altrettanto importante anche se meno clamorosa: 4-8 respiri/min. sono abituali e ciò conduce a grave ipossia, ipercapnia e acidosi respiratoria (carbonarcosi). Ad essa concorrono l'inibizione centrale e di conduzione nervosa, l'inefficienza dei muscoli respiratori, specie del diaframma sollevato dal meteorismo intestinale, l'edema delle mucose e l'ostacolo meccanico dei versamenti peluropericardici. La stasi polmonare favorisce poi le infezioni. Occorre perciò attuare un monitoraggio congiunto emogasanalitico e termico e ricorrere ai sussidi dell'ossigenoterapia e della respirazione controllata.

La sindrome ipotensiva con riduzione della pressione differenziale merita molta attenzione perché esprime sia la componente centrale (cuore da mixedema, versamento pericardico, eventuale coronaropatia dismetabolica) sia quella periferica di precaria neuroregolazione arteriosa. Indicato è l'uso di digitale per infusione. Cauta deve essere la somministrazione di coronarodilatatori (anche perché pare esservi una riduzione dei recettori beta-adrenergici) e delle amine pressorie sia per l'effetto aritmogeno sia per non sovraccaricare il miocardio. La ipovolemia va corretta con infusioni lente di plasma o, se vi è anche anemia, di sangue.

La sindrome di iponatremia diluizionale e di ritenzione idrica tessutale è pure importante: la ridotta perspiratio, l'idropessia e il deficit surrenalico non sono compensati dalla reazione vasopressinica e dalla funzione renale. Vi è oliguria e opsiuria da ridotto flusso renale e filtrato glomerulare. L'edema cerebrale ne è la conseguenza più vistosa. La natremia scende a 120-125 mEq/l; l'osmolalità è bassa nel plasma e alta nelle urine. Questa condizione rende perciò inopportuna la somministrazione di liquidi in eccesso che rischierebbero di provocare un'intossicazione idrica. La quantità necessaria per fornire dosi adeguate di NaCl ipertonico è di 500-1000 ml/24h. L'uso di diuretici (furosemide) è indicato non appena raggiunta la sicurezza elettrolitica. Già l'opoterapia tende a mobilizzare soprattutto acqua libera e a risparmiare sodio.

La sindrome ipoglicemica è un elemento differenziale sia con l'ipotiroidismo di base, in cui la ridotta peristalsi mantiene un sufficiente assorbimento di glucosio, sia con il coma ipofisario in cui l'ipoglicemia è ancor più bassa. La ridotta neoglicogenesi, il deficit surrenalico e la riduzione del glicogeno tessutale sono responsabili di questo aspetto metabolico, la cui terapia, come per l'iponatremia, deve valersi di infusioni ipertoniche e di glicocorticoidi.

Ritenzione urinaria, stipsi e meteorismo sono aspetti importanti della cura.

La prognosi è, in definitiva, in relazione con il grado del coma e con la possibilità di rapido intervento volto a riparare congiuntamente tutti gli aspetti sindromici del complesso quadro clinico.

 

 

IPOTIROIDISMO IATROGENO

 

Una forma sempre più frequente di ipotiroidismo del giovane e dell'adulto è quella iatrogena, per l'asportazione chirurgica di una porzione eccessiva di tessuto tiroideo o in seguito alla terapia dell'ipertiroidismo con iodio radioattivo. Meno frequente, ma da tenere sempre presente, è l'ipotiroidismo che può seguire la radioterapia esterna nella regione del collo anche per malattie non tiroidee.

 

 

Ipotiroidismo post-chirurgico

 

L'ipotiroidismo è la regola negli interventi molto demolitivi per cancro della tiroide, ma poiché è un evento voluto e previsto non rappresenta quasi mai un problema per il medico. In ogni caso questi soggetti dovranno essere trattati per tutta la vita con ormone tiroideo in dosi sufficienti a sopprimere il TSH, per evitare l'effetto stimolante che il TSH può avere sulla crescita di eventuali microfoci tumorali residui.

L'ipotiroidismo può anche seguire interventi ampi per gozzo nodulare non tossico per motivi estetici, meccanici o come prevenzione di una trasformazione eteroplastica. Anche in questi casi si tratta spesso di un evento previsto e voluto; e anche in questi casi è d'altra parte consigliabile, anche in assenza di ipotiroidismo, una terapia TSH soppressiva per evitare una recidiva delle nodulazioni.

Più problematico, perché non sempre prevedibile, è l'ipotiroidismo che segue interventi per gozzo tossico, diffuso o nodulare. La sua incidenza è tanto più alta quanto più il chirurgo teme una recidiva dell'ipertiroidismo ed effettivamente fra ipotiroidismo postoperatorio e ipertiroidismo recidivo dopo tiroidectomia vige una chiara relazione inversa. Approssimativamente dagli studi apparsi in letteratura risulta che il 30-50% dei pazienti sottoposti a tiroidectomia parziale per ipertiroidismo va incontro all'ipotiroidismo in tempo variabile da 1 a 10 anni e che incorre in recidive il 10-15% nello stesso periodo di tempo.

 

Un nostro recente studio, condotto su 100 pazienti affetti da morbo di Basedow, operati con la stessa tecnica e quindi quasi con la stessa quantità di tessuto residuo, ha mostrato a 3 mesi una incidenza dell'ipotiroidismo manifesto pari al 23%, dell'ipotiroidismo subclinico, con T3 e T4 normali e TSH elevato, pari al 33% e dell'eutiroidismo pari al 36%.

Negli anni successivi l'ipotiroidismo subclinico tende a scomparire in genere per un ritorno dell'eutiroidismo, ma spesso per evoluzione verso l'ipotiroidismo manifesto. Sono stati osservati anche taluni casi che dall'ipotiroidismo subclinico sono virati verso l'ipertiroidismo recidivo.   È interessante notare come l'età si sia dimostrata un elemento molto importante nel condizionare l'evoluzione post-operatoria: infatti nei soggetti operati dopo i 40 anni l'ipotiroidismo è relativamente raro (10% nella forma manifesta), mentre nei soggetti giovani è risultato molto frequente (50% in forma manifesta e 25% subclinico nei pazienti inferiori ai 20 anni).

Alcuni Autori hanno rilevato una correlazione fra incidenza dell'ipotiroidismo post-operatorio nei pazienti con morbo di Basedow-Graves e preesistenza degli anticorpi antitiroide. Nel nostro studio al contrario questa relazione non è stata trovata, anzi si è visto che tutti i pazienti che hanno avuto una recidiva avevano elevati livelli di anticorpi antimicrosomi, sia prima sia dopo l'intervento, suggerendo la persistenza di un importante disturbo dell'autoimmunità tiroidea.

 

 

Ipotiroidismo post-radioiodio

 

L'ipotiroidismo segue con notevole frequenza la terapia del morbo di Basedow mediante radioiodio. L'incidenza dell'ipotiroidismo da radioiodio aumenta progressivamente nel tempo con un andamento praticamente lineare: approssimativamente è stato dimostrato che dopo un anno dalla terapia il 20-30% dei pazienti diventano ipotiroidei, il 40-50% dopo 5 anni, il 50-70% dopo 10 anni. In nessuna serie di pazienti apparsa in letteratura la curva di incidenza dimostra la tendenza a formare un plateau, per cui si può affermare che l'ipotiroidismo rappresenta a tempi più o meno lunghi la conclusione obbligata della terapia con radioiodio.

Vi è chiaro rapporto dose-effetto alla base dell'ipotiroidismo post-radioiodio, per cui dosi elevate e ripetute provocano più facilmente questa sequela.   È stata anche dimostrata una minore incidenza di ipotiroidismo nei pazienti con volume tiroideo decisamente aumentato o con caratteristiche nodulari. L'età sembra invece rivestire un ruolo di scarso rilievo (vedi tab.05x).

Per quanto riguarda il ruolo di fenomeni autoimmuni sul determinismo dell'ipotiroidismo dopo terapia con radioiodio è opinione comune che sia importante la presenza di anticorpi antitiroide sia preesistenti alla terapia sia formatisi ex novo in seguito alla distruzione del tessuto tiroideo per effetto delle radiazioni e al passaggio in circolo di proteine tiroidee dotate di capacità antigeniche.

  È stata infatti osservata una incidenza doppia di ipotiroidismo nei soggetti con anticorpi antimicrosomi. Altri Autori segnalano invece una migliore correlazione fra anticorpi antitireoglobulina e ipotiroidismo.

 

 

Ipotiroidismo spontaneo post morbo di Basedow

 

Alcuni pazienti con morbo di Basedow, specialmente in presenza di elevati livelli circolanti di anticorpi antitireoglobulina e antimicrosomi, possono diventare spontaneamente ipotiroidei vari anni dopo la cessazione della terapia con farmaci antitiroidei. In questi pazienti la causa dell'ipotiroidismo non è la terapia farmacologica, ma piuttosto la concomitanza di spontanea tiroidite autoimmune che accompagnava l'ipertiroidismo, e che alla fine ha condotto alla distruzione della ghiandola tiroidea.

 

 

Ipotiroidismo da radiazioni esterne

 

  È stato dimostrato che l'ipotiroidismo può rappresentare una manifestazione tardiva della terapia con radiazioni esterne quando il campo di trattamento include la tiroide. In numerose serie della letteratura fino al 45% dei pazienti trattati con radioterapia esterna bilaterale per linfoma hanno sviluppato un ipotiroidismo subclinico con TSH elevato e il 20% un ipotiroidismo manifesto. Nella maggior parte dei casi l'insufficienza tiroidea compariva entro il primo anno del trattamento. Mentre l'ipotiroidismo dopo terapia radiante esterna si verifica in tempi relativamente brevi e dopo la somministrazione di dosi elevate, la somministrazione di dosi più ridotte, soprattutto se ripetute, può determinare dopo un lasso di tempo notevolmente più lungo, l'insorgenza di carcinomi alla tiroide.

Come è stato ampiamente documentato, pazienti trattati 10-20 anni prima con roentgenterapia al capo o collo per malattie benigne, come tonsilliti o angiomi o tinea capitis sviluppano con estrema frequenza nodularità alla tiroide e in una rilevante percentuale carcinomi tiroidei.

Appare chiaro che tutti i pazienti che a qualsiasi titolo hanno ricevuto terapia radiante esterna al capo o al collo devono essere accuratamente sorvegliati e possibilmente trattati con terapia ormonale TSH soppressiva.

 

 

IPOTIROIDISMO TRANSITORIO

 

L'ipotiroidismo nelle forme descritte finora rappresenta una malattia permanente che richiede pertanto una terapia continuata per tutta la vita. Esistono tuttavia molte circostanze in cui l'ipotiroidismo si può presentare in forma transitoria, destinata spontaneamente a regredire. Queste forme sono elencate nella tab.06x.

  È assolutamente necessario che il medico conosca la possibilità che l'ipotiroidismo si possa presentare in forma provvisoria e ne conosca le cause. Una volta fatta la diagnosi di ipotiroidismo (che può essere difficile sul piano clinico ma facile sul piano laboratoristico) è indispensabile effettuare sempre la ricerca della causa dell'ipotiroidismo e valutare se tale causa è compatibile con una forma permanente o transitoria. Dal lato terapeutico la scelta se trattare o no un ipotiroidismo transitorio deve essere valutata nel singolo caso. In linea generale si può dire che un ipotiroidismo conclamato e grave anche se sicuramente transitorio va trattato con terapia sostitutiva che dovrà essere poi molto gradatamente sospesa per permettere il recupero funzionale della ghiandola sotto lo stimolo del TSH. Un ipotiroidismo di lieve grado non andrà trattato, onde permettere al TSH di facilitare e accelerare il recupero funzionale.

 

 

IPOTIROIDISMO SUBCLINICO

 

L'ipotiroidismo subclinico, caratterizzato da un aumento del livello di TSH con T3 e T4 normali, è già stato più volte descritto nel corso della presente rassegna.   È inevitabile che tutti i pazienti che sviluppano un ipotiroidismo manifesto hanno attraversato una fase di ipotiroidismo subclinico, la cui durata è soprattutto in relazione con la causa che ha determinato il danno tiroideo. D'altro canto non tutti i soggetti con ipotiroidismo subclinico evolvono verso l'ipotiroidismo manifesto, alcuni di essi si mantengono in una situazione "compensata" relativamente stabile. Sorge quindi il problema di capire quale sia il significato biologico dell'ipotiroidismo subclinico: in altre parole è una situazione di compenso col raggiungimento di un nuovo equilibrio o all'opposto deve essere considerato una condizione patologica con conseguenze negative sullo stato di salute e come tale deve essere trattato?

 

Anche se una risposta definitiva a questi quesiti non è ancora possibile, numerosi elementi fanno ritenere che sia valida la seconda ipotesi. La maggior parte delle ricerche hanno documentato, nell'ipotiroidismo subclinico, un aumento dei livelli ematici di colesterolo e un aumentato rischio di malattie coronariche, anche se altre ricerche non sembrano aver confermato questo dato. Inoltre, nell'ipotiroidismo subclinico i test che misurano l'effetto periferico dell'ormone tiroideo sono alterati anche se modestamente indicando uno stato di ipotiroidismo tessutale. Infine, come è già stato riferito, in questa situazione anche se i livelli di T3 e T4 totali sono normali, i livelli di FT4 sono molto frequentemente ridotti.

Quindi è opinione corrente che i pazienti con ipotiroidismo subclinico vadano trattati con terapia sostitutiva alla stregua dei pazienti con ipotiroidismo manifesto. Il trattamento è semplice, poco costoso e ben tollerato. Spesso i benefici vengono valutati a posteriori dallo stesso paziente con una sensazione di benessere rispetto allo stato precedente.

L'obiettivo è da un lato quello di anticipare il più possibile il trattamento di quei pazienti che poi evolveranno in ipotiroidismo manifesto, prevenendo quindi i danni spesso irreversibili che la malattia comporta. Un secondo e altrettanto importante obiettivo è di proteggere i pazienti, il cui ipotiroidismo subclinico non sia evolutivo, da probabili anche se non sicuri danni biologici.

Appare in ogni caso consigliabile una ricerca della causa dell'ipotiroidismo subclinico (anamnesi ed esame obiettivo per pregressi interventi per terapia con radioiodio, scintigrafia ed ecografia tiroidea, dosaggio degli anticorpi antitiroide). Appare anche consigliabile un periodo preliminare di osservazione con periodici dosaggi di T3, T4 e TSH per confermare il dato ed escludere interferenze farmacologiche od oscillazioni fisiologiche.

 

 

IPOTIROIDISMO CENTRALE

 

L'ipotiroidismo centrale è molto meno frequente dell'ipotiroidismo primario, rappresentando circa il 5% dei casi. Può esistere in forma congenita, estremamente rara o più frequentemente in forma acquisita. Nella maggior parte dei casi il difetto di TSH è accompagnato da una ridotta secrezione di altre tropine ipofisarie e il quadro clinico è caratterizzato dal difetto di molti organi fino al panipopituitarismo. L'ipotiroidismo può essere lieve o può dominare il quadro clinico. In rari casi il difetto di TSH può essere isolato. Le cause più comuni di ipotiroidismo centrale sono l'adenoma pituitarico sia non secernente sia secernente altri ormoni (GH, prolattina, ACTH) che rappresenta il 50% dei casi, il craniofaringioma soprattutto nei soggetti giovani, le forme iatrogene da intervento o irradiazione di altri tumori ipofisari, la necrosi ischemica (sia post-partum, o sindrome di Sheehan, sia da shock) (tab.07x).

Nell'ipotiroidismo centrale la produzione di TSH è per definizione deficitaria e la ghiandola tiroide pur normale di per sé non riceve lo stimolo fisiologico del suo ormone trofico e produce scarse quantità di T3 e di T4. A differenza dell'ipotiroidismo primario non esiste in questo caso alcuna condizione che favorisca la sintesi preferenziale di T3 rispetto alla T4 e pertanto entrambi gli ormoni sono abbassati nello stesso modo. Dal lato ormonale quindi, sia che si tratti di una forma ipofisaria propriamente detta sia che si tratti di una forma ipotalamica, l'ipotiroidismo è caratterizzato da bassi livelli di TSH e da bassi livelli sia di T4 che di T3.

La differenziazione fra forma ipofisaria e forma ipotalamica può essere ottenuta valutando la risposta del TSH allo stimolo del TRH. Nelle lesioni ipotalamiche con ipofisi integra il livello basale di TSH è abbassato, ma è capace di elevarsi dopo stimolazione con TRH esogeno.

Nelle lesioni ipofisarie invece non vi sono cellule tireotrope capaci di rispondere allo stimolo del TRH e i livelli del TSH rimangono costantemente abbassati.

Tuttavia in clinica le cose non si sono rivelate così semplici, in quanto sono stati descritti numerosi pazienti con lesione ipofisaria tumorale o chirurgica, affetti da ipotiroidismo sicuramente non primario, nei quali la concentrazione del TSH era normale e rispondeva in modo normale o addirittura esagerato alla stimolazione con TRH esogeno. La spiegazione di questo comportamento imprevisto può essere duplice: che la lesione ipofisaria abbia una estensione soprasellare con contemporanea compromissione ipotalamica e persistenza di una parte di ipofisi capace di rispondere, il che farebbe classificare questi casi come forme prevalentemente ipotalamiche piuttosto che ipofisarie; che il TSH prodotto in questi soggetti sia un ormone alterato, immunologicamente normale e quindi dosabile, ma inattivo dal punto di vista metabolico e quindi responsabile dell'ipotiroidismo.

 

 

Terapia

 

Obiettivo della terapia dell'ipotiroidismo primario o secondario è di fornire al paziente una appropriata quantità di ormone tiroideo esogeno, tale da mantenere una concentrazione ematica la più possibile vicina a quella del soggetto normale.

A priori l'ipotiroidismo secondario andrebbe curato in maniera etiologica, somministrando l'ormone mancante, cioé il TSH, in modo da ripristinare la secrezione ormonale della tiroide che è intrinsecamente normale. Tuttavia tale terapia non è attuabile nella pratica date le difficoltà all'impiego terapeutico del TSH umano, ottenibile in quantità limitatissime da materiale autoptico, e dato che il TSH di origine animale è immunologicamente eterogeneo e costantemente, ed a breve termine, determina la produzione nell'organismo ricevente di anticorpi inattivanti. Le preparazioni di ormone tiroideo utilizzabili nella pratica clinica rientrano in due categorie:

a) preparazioni estrattive da ghiandole animali:

b) ormoni sintetici.

Gli estratti di tiroide derivano da numerosi animali domestici, in genere da maiali o da pecore. Il loro contenuto ormonale e quindi la loro potenza metabolica non sono sufficientemente standardizzati ed esistono notevoli differenze fra le diverse preparazioni commerciali: sia il contenuto iodico sia soprattutto il contenuto reale in ormone tiroideo sono grandemente variabili non solo fra i preparati delle varie ditte, ma anche fra i diversi lotti di uno stesso preparato.

Il medico che si accinge ad impiegare questi prodotti dovrebbe conoscere bene il contenuto equivalente, in termini di T3 e di T4, di ogni compressa del preparato in questione; deve inoltre considerare che trattandosi di materiale organico, esso richiede un processo di digestione e di assorbimento e che entrambi questi processi possono essere compromessi nell'ipotiroidismo.

Le preparazioni sintetiche disponibili sono i sali sodici della tiroxina e della triiodotironina.   È chiaro che la uniforme e costante potenza metabolica di questi prodotti rappresenta rispetto ai preparati estrattivi un vantaggio enorme.

Nella scelta fra T4 e T3 va tenuto presente che la T3 viene assorbita all'85% mentre la T4 solo al 60%, che la T3 ha una potenza due-tre volte superiore a quella della T4, che il tempo di emivita della T3 è di 1-2 giorni mentre quello della T4 è di 6-7 giorni, che la T4 rappresenta in gran parte un pro-ormone e che l'ormone metabolicamente attivo è forse solo la T3. La T3 è particolarmente utile quando si voglia ottenere velocemente un effetto o lo si voglia altrettanto velocemente troncare.

 

Gli svantaggi della T3 sono soprattutto in relazione con la sua rapidità d'azione, con la maggiore attività e con la breve sopravvivenza nel circolo sanguigno, per cui essa richiede una suddivisione della dose in varie assunzioni giornaliere onde evitare elevati e pericolosi picchi ematici, mentre con la T4 o con i preparati estrattivi è sufficiente una somministrazione al giorno o a giorni alterni o, come proposto da alcuni ricercatori, una volta alla settimana. La T3 andrebbe quindi evitata quando non si è sicuri della completa collaborazione del paziente e del resto, come in ogni terapia, un'elevata percentuale di insuccessi terapeutici è proprio legata alla incompleta assunzione del farmaco da parte dei pazienti.

Particolare attenzione e cautela richiede poi l'uso della T3 nei cardiopatici o negli anziani in generale, nei quali un effetto metabolico troppo energico o veloce, senza che vi corrisponda un adeguato aumento della irrorazione sanguigna, può causare gravi danni, in particolar modo episodi di insufficienza coronarica acuta. D'altro canto la sua rapida scomparsa dal sangue può prevenire effetti di accumulo pericolosi proprio nei cardiopatici, per cui, in mani prudenti, si può affermare che la T3 può essere usata con tranquillità in qualsiasi paziente.

La dose di ormone tiroideo deve essere pienamente sostitutiva.   È errato il concetto di somministrare in un soggetto con ipotiroidismo di lieve entità una dose non sostitutiva, che vada a sommarsi alla quantità di ormone prodotta dalla tiroide del paziente. In effetti l'ormone esogeno si somma a quello endogeno solo in un primo tempo, finché la concentrazione ematica viene riportata alla norma.

A questo punto però, cioè di fronte a normali livelli sierici di ormone tiroideo, la secrezione di TSH da parte dell'ipofisi viene soppressa ed il residuo tiroideo non viene più stimolato e cessa di produrre ormone endogeno.

La terapia sostitutiva con ormone tiroideo deve quindi essere regolata dal principio "o tutto o nulla".

La dose sostitutiva di T4 varia da 100 a 150 microg/die in assenza di T3, mentre la dose sostitutiva di T3 in assenza di T4 dovrebbe aggirarsi sui 60-80 microg/die.   È preferibile in ogni caso adattare la dose al peso corporeo del paziente ed in questo modo le dosi consigliabili diventano 1,7-2,3 microg/kg/die per la T4 e 0,9-1,1 microg/kg/die per la T3. Qualora ci si accinga ad iniziare una terapia sostitutiva con ormone tiroideo è sempre utile iniziare con piccole dosi per saggiare le responsività del paziente ed aumentare poi gradualmente fino a raggiungere la dose desiderata dopo un certo lasso di tempo. Tale principio generale va applicato in modo particolare nei soggetti in età avanzata o con note cliniche che facciano sospettare una insufficienza coronarica. In questi soggetti appare anche prudente associare alla terapia sostitutiva dei preparati beta-bloccanti per ridurre l'effetto stimolante dell'ormone tiroideo sul tessuto miocardico.

Spesso può essere conveniente limitarsi a correggere l'ipotiroidismo solo parzialmente, in quanto i danni che una terapia troppo energica può arrecare all'organismo di un paziente ipotiroideo anziano e cardiopatico possono essere notevoli, mentre la conservazione di un grado lieve di ipotiroidismo e quindi di un basso consumo di ossigeno può essere senza grandi conseguenze negative, e rappresentare invece un vantaggio.

 

 

MONITORAGGIO DELLA TERAPIA

 

La determinazione del livello sierico del TSH è senz'altro la misura più sensibile e precisa dell'efficacia della terapia nel caso dell'ipotiroidismo primario, in quanto la dose sostitutiva deve essere considerata quella che riporta i livelli di TSH, precedentemente elevati, entro i limiti normali. Il dosaggio del TSH nel siero deve essere effettuato almeno un mese dopo l'inizio della terapia con una determinata dose, in quanto il meccanismo di soppressione della ipofisi, specie se utilizza la T4 od i preparati estrattivi, è piuttosto lento a manifestarsi.

La misurazione dei livelli di TSH nel siero, purché sia effettuata con metodi immunometrici con anticorpi monoclonali, è anche utile nel segnalare un eccesso di dose. Con questi metodi infatti, a differenza di quelli radioimmunologici, è possibile distinguere i valori di TSH soppressi (indice di dose eccessiva) da quelli normali.

  È sempre buona norma, per entrambi questi scopi, eseguire contemporaneamente anche i dosaggi della T4 e FT4 per una valutazione più esatta e completa: questi dosaggi sono tuttavia, come è ovvio, senza valore nei soggetti in terapia con sola T3. In questi ultimi soggetti è necessario il dosaggio della T3, tenendo conto che in assenza di T4 la soppressione del TSH si ottiene con livelli ematici di T3 doppi di quelli normali, come è stato dimostrato dal nostro gruppo.

Nei soggetti in terapia con preparati estrattivi va tenuto presente che il processo di preparazione del farmaco determina costantemente una desiodazione parziale della T4 in T3; inoltre la T3 viene assorbita maggiormente della T4. Per queste ragioni una terapia pienamente sostitutiva, che ha riportato il TSH entro i limiti normali, può accompagnarsi a livelli di T4 ai limiti inferiori della norma. In questi casi una valutazione dell'efficacia della terapia sostitutiva desunta dalla determinazione della sola T4 può erroneamente far sospettare una persistenza dell'ipotiroidismo ed indurre a somministrare dosi eccessive e quindi potenzialmente tossiche. In questi soggetti quindi è necessaria la valutazione contemporanea di T4, T3 e TSH.

 

 

Farmaci e sostanze interferenti sulla funzione tiroidea

 

Le sostanze che interferiscono sulla funzione tiroidea sono numerose e varie. La loro conoscenza è indispensabile per la corretta interpretazione dei quadri clinici e dei dati di laboratorio.

L'argomento è però troppo vasto per essere approfondito in questa sede. Si rimanda perciò alla ottima Guida che, unica nel suo genere, la Società di Endocrinologia ha recentemente pubblicato sul Journal of Endocrinological Investigation.

Essa fornisce anche i nomi commerciali, le funzioni interferite, il meccanismo d'azione a livello ipofiso-tiroideo.

 

1. Alterazioni delle proteine di trasporto

 

   a) aumento della TBG: clofibrato, estrogeni, metadone, perfenazina, 5-fluoruracile;

   b) diminuzione della TBG: androgeni, corticosteroidi, danazolo, L-asparaginasi;

   c) interferenze di legame alle proteine di trasporto acido acetilsalicilico e paraminosalicilico, alofenato, diazepam, difenilidantoina, eparina, fenclofenac, fenilbutazone, fenobarbital, orfenadrina, sulfaniluree.

 

2. Azioni a livello ipotalamo-ipofisario: aloperidolo, apomorfina, benserazide, biperidone, bromocriptina, dopamina, fentolamina, furosemide, levodopa, lisuride, metisergide, metoclopramide, peridebil, piridossina, somatostatina, somatotropo, spironolattone, sulpiride, teofillina, tioridazina.

 

3. Accelerato metabolismo degli ormoni ed induzione della 5-desiodasi: carbamazepina, fenobarbital, pirimidone, rifampicina, somatotropo.

 

 

4. Inibizione della conversione periferica della T4 a T3: amiodarone, clorimipramina, corticosteroidi, mezzi di contrasto iodati, propiltiouracile, propranololo.

 

5. Inibizione della sintesi e/o della secrezione degli ormoni tiroidei e/o della captazione tiroidea dello ioduro: acido aminosalicilico, acetazolamide, aminoglutetimide, beclometazone, betametasone, carbimazolo, clomifene, cotrimossazolo, deflazacort, desossicortone, fenilbutazione, iodio, litio, metimazolo, perclorato di potassio, propiltiouracile, resorcinolo, sulfaniluree, triamcinolone.

 

6. Riduzione del circolo enteroepatico: colestipol, colestiramina.

 

7. Riduzione del volume di distribuzione: clortalidone, idroclorotiazide.

  

Però, di alcuni farmaci di largo impiego occorre sottolineare l'importanza:

   1. corticosteroidi: riducono, sia a dosi fisiologiche sia farmacologiche, la TBG il TSH e la sua risposta al TRH, la conversione di T4 a T3, mentre aumentano la rT3.

   2. amiodarone e iodici: inibiscono la sintesi e la secrezione degli ormoni tiroidei e/o la iodocaptazione tiroidea (effetto Wolff-Chaikoff) e possono dare origine a quadri di ipotiroidismo, specie se associati a tiroiditi autoimmuni, non sempre reversibili; più frequente è invece la produzione di quadri di ipertiroidismo;

   3. estrogeni: aumento della TBG con aumento di T3 e T4 totali;

   4. eparina: alterazione delle proteine di trasporto e dei legami ormonali con riduzione delle frazioni totali e del TSH e aumento delle frazioni libere;

   5. difenilidantoina e diazepam: alterazione delle proteine di trasporto e dei legami ormonali con riduzione delle frazioni totali e aumento di quelle libere;

   6. propranololo: inibizione della conversione a T3 e aumento di rT3 (negli ipotiroidei in trattamento con tiroxina e propranololo la concentrazione di T4 sierica resta perciò alta).       

 

 

Letture consigliate

 

 

Burrow Gerard N., Oppenheimer Jack H., Volpé Robert: Thyroid function & disease, W.B. Saunders Company, 1989.

Drexhage H.A., De Vijder J.J.M., Wiersinga W.M.: The thyroid gland, environment and autoimmunity, Excerpta Medica (International Congress Series 896), 1990.

Falk Stephen A.: Thyroid disease. Endocrinology, surgery, nuclear medicine, and radiotherapy, Raven Press, 1990.

Leslie J., DeGroot e Coll., The thyroid and its disease, Wiley Medical Publication, fifth edition, 1984.

Sidney H., Ingbar and Lewis E., Braverman.: Werner’s the thyroid. A fundamental and clinical text, J.B. Lippincott Company, Philadelphia, fifth edition, 1986.

Van Middleswrth Lester, Giverns James R.: The thyroid gland. A pratical clinical treatise, Year Book Medical Publishers, inc., 1986.

 

 

M. Austoni

Direttore Istituto di Semeiotica Medica

Università di Padova

 

 

B. Busnardo

Professore Associato di Semeiotica Medica

Università di Padova

 

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