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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA

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 Ultimo aggiornamento: 23.12.2013

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TERAPIA DELLO SCOMPENSO CARDIACO

L'obiettivo principale della terapia dello scompenso è l'aumento della gittata cardiaca. I farmaci di elezione sono la digitale, i diuretici che provocano deplezione idrosalina e i vasodilatatori che riducono il pre- e/o il post-carico.

A questi farmaci si sono aggiunti da qualche anno alcuni agenti inotropi adrenergici e non adrenergici, che però trovano generalmente indicazioni assai limitate e più recentemente, nonostante sembri un paradosso, i betabloccanti con i quali sono in corso sperimentazioni cliniche.

La scelta dell'uno piuttosto che dell'altro farmaco o schema terapeutico dovrà dipendere dai diversi tipi di scompenso, che differiscono fra loro per eziologia, modalità di decorso, distretto circolatorio maggiormente interessato ecc. Per tali motivi questa trattazione dovrà essere articolata in diversi paragrafi.

 

 

LO SCOMPENSO CARDIOCIRCOLATORIO CONGESTIZIO CRONICO

 

Premessa indispensabile per una razionale terapia dello scompenso cardiocircolatorio cronico è la conoscenza e la comprensione della fisiopatologia dello scompenso stesso, cioè di quei fenomeni che lo accompagnano e lo caratterizzano. A questo proposito vale la pena di ricordare che in questi ultirni anni l'attenzione si è spostata dal centro (il cuore) alla periferia (i vasi), dalla sistole alla diastole, dalla meccanica cardiaca alla biochimica miocardica, dallo scompenso conclamato alla disfunzione ventricolare asintomatica.

 

 

Fenomeni principali dello scompenso

 

Per necessità di spazio dovremo dare per noti i fenomeni principali; crediamo opportuno tuttavia di riassumerli brevemente quali necessaria premessa al capitolo della terapía.

 

a)Riduzione della gittata sistolica e della portata cardiaca. -   È la conseguenza diretta del ridotto inotropismo miocardico e dell'inadeguatezza dei meccanismi in opera prima che lo scompenso si verifichi. I meccanismi di compenso sono di due tipi: 1) cardiogeni: sono la dilatazione cardiaca (l'allungamento delle fibre miocardiche provoca aumento dell'inotropismo secondo la legge di Starling); la stimolazione simpatica dei beta-recettori cardiaci che induce aumento dell'inotropismo miocardico; l'aumento della frequenza che è fenomeno tardivo e antieconomico (aumento del consumo di ossigeno); 2) extracardiaci: contribuiscono alla sintomatologia dello scompenso e verranno analizzati nei paragrafi seguenti.

 

b) Modificazioni neuroumorali. - Esse includono da una parte l'attivazione del sistema nervoso simpatico, del sistema renina-angiotensina-aldosterone, la vasopressina e il trombossano, tutti con azione vasocostrittrice e sodio ritentiva e dall'altra l'aumento del fattore natriuretico atriale, di fattori endoteliali, delle prostaglandine E2 e I2, la callicreina e la dopamina con azione vasodilatatrice e natriuretica. In una fase iniziale l'attivazione di questi sistemi ha significato compensatorio, ma in una fase più tardiva conduce al progressivo aggravamento del quadro emodinamico.

 

c) Ridistribuzione della portata cardiaca fra i vari distretti circolatori. -   È una conseguenza della stimolazione simpatica indotta dallo scompenso e tende a salvaguardare l' irrorazione dell'encefalo e del miocardio. Tuttavia essa sfocia a più lungo termine in una riduzione della perfusione coronarica angiotensina-dipendente e in anossia tissutale dovuta ad arteriolo-costrizione.

 

d)Aumento della massa sanguigna circolante (o ipervolemia). -   È verosimilmente anch'esso un meccanismo di compenso, volto ad assicurare una maggiore pressione di riempimento del ventricolo destro e quindi una maggiore gittata cardiaca. Quando tuttavia l'allungamento delle fibre miocardiche è tale da non consentire ulteriori aumenti della gittata, l'ipervolemia diviene essa stessa segno di scompenso ed è causa di alcuni fenomeni che lo caratterizzano: la pletora venosa e l'iperaldosteronismo secondario.

 

e)Aumento della differenza arterovenosa in O2 (anossia stagnante). -   È un fenomeno di compenso attraverso il quale i tessuti tendono a mantenere costante l'assunzione di O2.   È la causa principale della cianosi nello scompenso.

 

f)Aumento della pressione venosa. -Dovuto all'aumento della pressione diastolica endoventricolare e alla venocostrizione da stimolazione simpatica, è uno dei fattori condizionanti l'edema cardiogeno.

 

g)Aumento dell'impedenza all'efflusso ventricolare sinistro. - Dovuto sia a vasocostrizione arteriolare (da attivazione del sistema adrenergico) che a modificazioni del tono arteriolare (da ritenzione idrosalina che aumenta il contenuto in sodio e acqua della parete arteriolare e la pressione del liquido interstiziale). L'aumento dell'impedenza provoca a sua volta un aumento della tensione ventricolare sinistra e perciò del consumo di ossigeno miocardico, a parità di gittata sistolica.

 

 

Segni clinici dello scompenso

 

I segni clinici dello scompenso sono conseguenza diretta delle alterazioni fisiopatologiche sopra ricordate.   È quasi superfluo, ma non inutile, ai fini della terapia, ricordarne la patogenesi e il significato.

 

a) Dispnea. -   È il primo e più importante segno dello scompenso di cuore.

La sua patogenesi è discussa. In ogni caso va ricordato che non raggiunge lo scopo di migliorare l'ossigenazione dei tessuti, se non in modo irrilevante, in quanto la difettosa ossigenazione dipende dalla ridotta portata cardiaca più che da un'incompleta ossigenazione del sangue a livello polmonare. Nello stesso tempo, la dispnea fa aumentare il lavoro dei muscoli respiratori e lo stato ansioso del paziente, per cui aumenta il consumo di ossigeno. Va considerato perciò un fenomeno nocivo.

 

b) Edema periferico. - Consegue alla ritenzione idrosalina e all'aumento della pressione venosa. Nel piccolo circolo contribuisce a peggiorare gli scambi respiratori e favorisce la dispnea. La ritenzione idrosalina può favorire inoltre l'aumento dell'impedenza all'efflusso ventricolare sinistro per i motivi che sono stati illustrati sopra. L'edema declive, quando non raggiunge i caratteri dell'anasarca, non aggrava invece di per sé le condizioni generali del paziente né la sua cenestesi, per cui la sua eliminazione non può e non deve costituire lo scopo primo della terapia.

 

c) Epatomegalia e congestione passiva dell'apparato digerente. - Hanno la stessa patogenesi dell'edema. Contribuiscono ad alterare le funzioni digestive e favoriscono perciò la cachessia del paziente con scompenso congestizio cronico.

 

 

TERAPIA DELLO SCOMPENSO CONGESTIZIO CRONICO

 

Nella terapia dello scompenso di circolo i digitalici, cioè quei farmaci che aumentano l'inotropismo cardiaco e riducono la frequenza ventricolare continuano ad essere considerati di elezione soprattutto nei pazienti sintomatici e in quelli con fibrillazione atriale. Tutti gli studi hanno infatti dimostrato in modo inequivocabile che i digitalici sono in grado di migliorare il quadro emodinamico e quindi la sintomatologia dei pazienti scompensati più rapidamente dei vasodilatatori, gli altri farmaci cardine della terapia dello scompenso. Non è stato invece ancora chiarito se al pari di questi ultimi i digitalici siano in grado di aumentare la sopravvivenza. Il meccanismo d'azione è quello della inibizione della pompa sodio-potassio ATPasi dipendente con conseguente riduzione del trasporto transmembrana di sodio e potassio. L'effetto finale è un aumento del sodio intracellulare e quindi del calcio intracellulare. Questo porta ad un aumento del contenuto di calcio del reticolo sarcoplasmatico con una maggiore liberazione di calcio e un aumento di tensione.

La riduzione della frequenza ventricolare nei pazienti con fibrillazione atriale è dovuta ad un blocco atrio-ventricolare che ha una duplice patogenesi: effetto di stimolazione vagale ed effetto digitalico vero e proprio. Il primo è precoce: la sua comparsa non significa che l'effetto digitalico - quello più propriamente desiderato - sia stato raggiunto. Per discriminare il primo dal secondo può valere l'osservazione del contegno della frequenza sotto sforzo: quando il rallentamento della frequenza è dovuto a stimolazione vagale, lo sforzo induce nuovamente tachicardia; quando è dovuto ad azione diretta della digitale sul tessuto di conduzione, la frequenza aumenta di poco sotto sforzo.

La digitale è particolarmente efficace in tutti i casi di scompenso dovuti a miocardiopatia cronica e a sovraccarico ventricolare, sistolico o diastolico.   È assai meno efficace invece nella stenosi mitralica in ritmo sinusale, nella pericardite costrittiva, nella stenosi subaortica, in presenza di una miocardite attiva, nella cardiopatia  tireotossica.

Una delle proprietà di maggior rilievo dell'azione digitalica è di incrementarsi linearmente con la dose: esiste cioè una proporzionalità fra dose somministrata ed aumento dell'inotropismo. Questo significa che anche le più piccole dosi di digitale posseggono una azione inotropa positiva, sia pure lieve: per cui appare logico servirsene anche in quei casi nei quali il margine fra dose terapeutica e dose tossica è così ridotto da non consentire una digitalizzazione "piena" che potrebbe far comparire molto precocemente fenomeni di intossicazione digitalica (v. avanti).

D'altra parte, se è vero che c'è questa proporzionalità fra dose ed effetto inotropo positivo, è anche vero che la linearità del fenomeno tende a venir meno quanto più ci si avvicina alla dose tossica. Di conseguenza sembra poco opportuno procedere ad una digitalizzazione massiva, tale da provocare la comparsa dei segni di intossicazione, quando è più sicura una digitalizzazione progressiva con dosi statisticamente efficaci ma contenute entro limiti di sicurezza.

Nel caso che la risposta terapeutica sia insufficiente, sarà naturalmente possibile aumentare le dosi del farmaco, previo accertamento che non ci siano altri fattori capaci di spiegare l'insuccesso e dopo aver provato l'associazione con altri farmaci (v. avanti).

La terapia digitalica del paziente con scompenso congestizio cronico non è un intervento d'urgenza che si esaurisce con il ripristino dello stato di compenso: è invece una terapia che va continuata allo scopo di prevenire nuovi episodi di scompenso.

La terapia digitalica si articola perciò in due momenti: a) digitalizzazione iniziale, nel paziente scompensato che non ha ancora ricevuto digitale (o che ne ha sospesa da tempo l'assunzione); b) digitalizzazione di mantenimento.

 

 

Digitalizzazione iniziale

 

Le dosi dei glicosidi digitalici che sono indicate di seguito come necessarie e sufficienti in caso di scompenso congestizio hanno valore puramente orientativo: la risposta a questi farrnaci è infatti molto variabile da individuo a individuo, per cui le dosi devono essere severamente controllate in ogni caso, ad evitare sorprese (v. avanti "Problemi connessi con la terapia digitalica").

Sono particolarmente sensibili alla digitale: a)i soggetti con grave alterazione del miocardio e cospicua cardiomegalia, nei quali il rapporto fra dose terapeutica e dose tossica si avvicina all'unità; b) i soggetti anziani; c) i soggetti con deplezione potassica (diuretici!).

Sono invece relativamente refrattari all'azione digitalica i bambini e i pazienti con tireotossicosi, miocarditi in atto, stenosi mitralica in ritmo sinusale ecc.

La digitalizzazione iniziale può essere rapida (con un'unica dose digitalizzante) o progressiva. Si è già detto per quale motivo questa seconda modalità sembra preferibile, salvo i casi in cui la vita del paziente sia in imminente pericolo.

Quando si sceglie la digitalizzazione progressiva, il paziente dovrà essere controllato prima che ogni ulteriore dose venga somministrata.

Tutti i preparati di digitale agiscono sul miocardio con la stessa modalità, differenziandosi fra loro soltanto per una diversa velocità e durata di azione; queste differenze sono tuttavia irrilevanti per la scelta del preparato, salvo i casi in cui si rchiede un'azione farmacologica rapida come nello scompenso acuto di cuore.

In questi casi è da preferire la digossina, oppure altri farmaci inotropi come la dopamina e la dobutamina che hanno una azione farmacologica immediata (v. avanti).

La via orale di somministrazione è sempre indicata, perché la digitale viene assorbita dall'intestino, sia pure con difficoltà e ritardo, anche quando c'è congestione venosa dei visceri addominali o diarrea da scompenso; la via orale non può essere naturalmente utilizzata se il paziente è in coma, se vomita o quando non è comunque in grado di assumere medicamenti per via orale.

I segni dell'effetto digitalico sono essenzialmente clinici, anche se le modificazioni emodinamiche indotte (diminuzione della pressione telediastolica ventricolare e della pressione atriale destra) precedono nel tempo il miglioramento clinico.

Quest'ultimo è contrassegnato dalla scomparsa dei segni di congestione polmonare (dispnea, ortopnea, rantoli alle basi polmonari), della congestione del circolo sistemico (turbe gastrointestinali, oliguria, edemi) e dalla riduzione della frequenza cardiaca, in qualche caso tuttavia quest'ultima può manifestarsi dopo che il compenso emodinamico è già stato raggiunto.

Va ricordato che la dose ottimale di digitale non è necessariamente quella che provoca la comparsa dei primi segni di intossicazione (v. avanti): si può ottenere un effetto clinico ed emodinamico più che soddisfacente senza che il paziente abbia a manifestare alcuno dei segni tossici da digitale.

 

 

Digitalizzazione di mantenimento

 

  È inutile dire che la terapia di mantenimento va attuata sempre per via orale. Poiché lo scompenso di cuore tende necessariamente a recidivare, la digitalizzazione deve essere continuativa, ininterrotta ed attuata con dosi efficaci. Essa ha lo scopo di conservare nel tempo i benefici che il paziente ha ottenuto con la digitalizzazione iniziale. Le dosi da somministrare dipendono essenzialmente dalla quantità di digitale che il paziente elimina giornalmente e questa varia da individuo a individuo: per cui le dosi che figurano nella tabella 1 hanno carattere esclusivamente indicativo. Spetta poi al medico trovare caso per caso la dose capace di mantenere un livello soddisfacente di azione digitalica e di aggiustarla, se necessario, al comparire di segni di scompenso, o, all'opposto, di segni di intossicazione.

In linea generale i preparati a lenta eliminazione (digitossina) dovrebbero essere preferiti, nel trattamento protratto, ai preparati  la cui eliminazione è rapida: tuttavia, così come nella digitalizzazione iniziale, la miglior garanzia per un impiego soddisfacente del farmaco è rappresentata dall'esperienza che il medico si è fatto con un determinato preparato del commercio.

 

 

 

Problemi connessi con la terapia digitalica

 

Con l'introduzione delle tecniche di misurazione della digitalemia, alcuni dei problemi connessi con la terapia digitalica sono stati chiariti e in parte risolti. Si è riusciti ad approfondire infatti le conoscenze sull'assorbimento, la distribuzione e l'escrezione della digitale e, ciò che è più importante, a stabilire il rapporto fra concentrazione plasmatica ed effetto farmacologico.

Era noto da tempo che l'effetto inotropo positivo della digitale è dose dipendente. Più recentemente è stato dimostrato che aumentando la dose aumenta anche la concentrazione plasmatica della digitale.   È stato inoltre chiaramente dimostrato che esiste un rapporto costante fra concentrazione plasmatica e concentrazione miocardica e fra concentrazione plasmatica ed effetti elettrofisiologici sul cuore.

Detto questo vale tuttavia la pena di riaffermare quanto già fatto osservare da altri e cioè che la determinazione della concentrazione plasmatica della digitale più che essere utilizzata come guida diagnostica assoluta all'effetto del farmaco sull'organismo deve servire per controllare l'effetto dell'organismo sulla digitale.

Gli esempi qui di seguito riportati danno ragione di questa affermazione.

 

 

ALTERAZIONI DELL'ASSORBIMENTO

 

Consideriamo innanzitutto i problemi inerenti all'assorbimento. Con la misurazione della concentrazione plasmatica dei glicosidi digitalici si è potuto stabilire con precisione l'entità dell'assorbimento delle varie preparazioni del commercio ma si  è  anche constatata  un'ampia variabilità individuale pur con la medesima preparazione. Le cause di questa variabilità non sono note che in casi rari, ma il problema almeno ai fini terapeutici si è potuto superare con la determinazione della digitalemia. Misurazioni seriate della  concentrazione  plasmatica   di digitale  sono  naturalmente  indispensabili  in  pazienti affetti da sindromi da male assorbimento, tanto più che in questi soggetti non è stata trovata una correlazione significativa tra i tassi ematici di digitale ed altri indici di malassorbimento. Lo stesso vale per i pazienti che presentano un'alterata motilità intestinale  provocata da lassativi  o  per  i  pazienti  che hanno subito resezioni dell'intestino tenue, soprattutto nel caso di preparazione di digitale a lenta dissoluzione. Evidentemente in questi casi il rilievo della digitalemia consente di aumentare opportunamente il dosaggio in modo da raggiungere l'effetto terapeutico  desiderato.  Alterazioni  nell'assorbimento della digitale sono state osservate anche in pazienti con scompenso  congestizio  ma  in  questi casi si tratterebbe soltanto di un ritardo nell'assorbimento per cui si  ritiene  che  sia  un errore incrementare  la dose del farmaco in questi pazienti che tra l'altro  presentano  molto  spesso  anche  una compromissione della funzione renale.

 

 

INTERAZIONI CON ALTRI FARMACI

 

Anche la contemporanea assunzione di altri farmaci può ridurre l'assorbimento della digitale o perché si tratta di farmaci che interagiscono con la digitale come la colestiramina o perchè aumentano la motilità intestinale come la metoclopramide e la propantelina. Altri farmaci ancora, pur non alterando l'assorbimento intestinale della digitale, ne modificano la concentrazione plasmatica attraverso meccanismi diversi.   È questo il caso dello spironolattone che può interferire con la terapia digitalica in due modi diversi: direttamente bloccandone secrezione tubulare per inibizione competitiva   e quindi aumentandone la concentrazione plasmatica ,o indirettamente aumentando la potassiemia. Fenorbital, fenilbutazone e fentoina determinano invece una riduzione della concentrazione plasmatica di digitale attraverso la stimolazione degli enzimi epatici che metabolizzano il farmaco. Tale fenomeno che concerne essenzialmente la digotossina  è tuttavia di importanza limitata alle dosi terapeutiche solitamente impiegate di questo farmaco. Ben maggiori implicazioni cliniche ha l'interazione digossina-chinidina per la frequenza assai maggiore con la quale questi due farmaci vengono usati nella terapia delle aritmie e per la gravità delle reazioni avverse che una tale associazione può comportare. Studi recenti hanno dimostrato che la contemporanea somministrazione di chinidina determina un incremento medio della concentrazione di digossina di circa 2,5 volte.

L'entità dell'incremento dipende dal dosaggio di chinidina impiegato e dalla durata del trattamento: così mentre un dosaggio di 500 mg/die di chinidina non produce alterazioni apprezzabili di digossina, un dosaggio di 1000 mg/die determina un incremento di concentrazione di circa il doppio.

Tale incremento si verifica in genere 2-3 giorni dopo l'associazione della chinidina e raggiunge un plateau dopo circa 5 giorni. Fra le possibili cause è stata valorizzata la riduzione dell'escrezione renale della digossina che è stata attribuita ad una diminuzione del filtrato glomerulare, ad una diminuzione della secrezione tubulare, ad un aumento dell'assorbimento intestinale del farmaco e alla riduzione del suo volume di distribuzione.

Non è dato peraltro sapere se sia l'aumento della digossinemia a determinare l'elevata incidenza (30%) di effetti collaterali che l'associazione chinidina-digossina determina, in quanto è ancora controverso il grado di influenza esercitato dalla chinidina sui recettori specifici della digossina. Ciò che invece è chiaro è che la riduzione del 50% del dosaggio della digossina in queste circostanze riduce l'incidenza degli effetti collaterali. Un aumento della digossinemia è stato osservato anche quando viene somministrato contemporaneamente verapamile, mentre nessun aumento è mai stato riscontrato con altri farmaci antiaritmici come aimalina, disopiramide, lidocaina, aprindina, procainamide e propafenone. In questi casi non è quindi necessario ridurre il dosaggio della digitale.

 

 

INSUFFICIENZA RENALE

 

Un problema ancor più importante connesso con la terapia digitalica è quello della ridotta escrezione renale dei glicosidi nell'insufficienza renale.

  È noto che la filtrazione glomerulare e in minor misura la secrezione tubulare rappresentano i meccanismi principali con i quali i glicosidi vengono escreti ed è stato ampiamente dimostrato che la loro clearance è direttamente correlata con quella della creatinina. Pertanto l'insuffficienza renale comporta necessariamente una riduzione del dosaggio della digitale. In effetti la misurazione dei livelli plasmatici di digossina e metildigossina nell'insufficienza renale ha confermato la necessità di ridurre il dosaggio di questi glicosidi.   È stato constatato che con una creatininemia di 1,5 mg% la dose di mantenimento deve essere ridotta del 50% rispetto a quella normalmente impiegata. Un ulteriore incremento della creatininemia non comporta invece ulteriori decrementi di dosaggio in quanto il margine di tolleranza ai glicosidi digitalici aumenta a causa dell'iperkaliemia, ipermagnesiemia, ipercalcemia e acidosi che accompagnano l'insufficienza renale.   È noto infatti che l'iperkaliemia e l'ipocalcemia riducono l'effetto inotropo positivo della digitale e che l'ipermagnesiemia è in grado di correggere le aritmie indotte dal sovradosaggio digitalico.

Inoltre l'acidosi metabolica riduce gli effetti tossici della digitale accentuando l'efflusso di potassio dalle cellule agli spazi extracellulari. Nessuna riduzione di dosaggio è invece necessaria quando venga impiegata digitossina.   È stato infatti dimostrato che l'emivita plasmatica della digitossina non aumenta nei pazienti con insufficienza renale; è risultato anzi che la concentrazione plasmatica di digitossina nei pazienti uremici è inferiore a quella dei soggetti con funzione renale normale. Ciò si deve al fatto che l'uremia modifica profondamente il metabolismo di questo farmaco con il risultato di una sua più accelerata eliminazione. L'insufficienza renale non è quindi un fattore precipitante l'intossicazione da digitossina e pertanto il farmaco può essere impiegato in questi casi senza alcun rischio.

 

 

ALTERAZIONI DEL BILANCIO ELETTROLITICO

 

Oltre all'insufficienza renale numerose altre condizioni come la terapia diuretica, la somministrazione di insulina, l'infusione di soluzioni glucosate ecc., possono alterare il bilancio del potassio. Vale la pena di ricordare inoltre che l'ipokaliemia ha già di per sé un effetto aritmogeno e che l'iperkaliemia deprime la conduzione atrioventricolare.

Per quanto concerne gli altri elettroliti, si è già detto che l'ipermagnesiemia ha un effetto antiaritmogeno mentre l'ipomagnesiemia aumenta la sensibilità alla digitale. L'ipercalcemia aumenta l'automatismo ventricolare e tale effetto può essere additivo o sinergico con quello della digitale.   È quindi da evitare la somministrazione endovenosa di calcio nei pazienti digitalizzati. Al contrario i chelanti del calcio trovano utile impiego nella terapia dell'intossicazione digitalica.

 

 

IPER- E IPO-TIROIDISMO

 

Anche l'iper- e l'ipo-tiroidismo possono porre problemi di dosaggio.   È esperienza comune che per ridurre la frequenza cardiaca nei soggetti ipertiroidei in fibrillazione atriale sono necessari dosaggi di digitale molto maggiori di quelli impiegati nella fibrillazione atriale da altra genesi. Ciò era stato attribuito ad una minore sensibilità del miocardio alla digitale nell'ipertiroidismo. In realtà è stato visto che a parità di dosaggio in questi casi la concentrazione plasmatica di digitale è inferiore a quella dei soggetti eutiroidei. In una minoranza dei pazienti ipertiroidei la minor concentrazione plasmatica di digitalici è attribuibile ad un minor assorbimento intestinale; nella maggioranza dei casi si deve invece ad una accelerata escrezione renale da aumento della filtrazione glomerulare, ad un aumento del volume di distribuzione del farmaco a causa dell'aumentata perfusione di sangue nei vari organi.

Alterazioni opposte sono state osservate nell'ipotiroidismo. Ciò comporta la necessità di un aumento del dosaggio di digitale nell'ipertiroidismo e di una sua riduzione nell'ipotiroidismo.

 

 

ALTERAZIONI DEL SISTEMA NERVOSO AUTONOMO

 

Poiché il sistema nervoso autonomo gioca un ruolo assai importante nel mediare gli effetti dei glicosidi digitalici è ovvio che modificazioni patologiche o jatrogene del tono simpatico e parasimpatico possono determinare alterazioni nella sensibilità alla digitale. Così le amine pressorie, taluni broncodilatatori e analettici con attività simpaticomimetica intrinseca, in quanto aumentano l'inotropismo e l'eccitabilità del miocardio, possono scatenare nei soggetti in terapia digitalica pericolose aritmie ventricolari. D'altro canto i parasimpaticomimetici diretti o indiretti possono potenziare l'azione cronotropa e dromotropa negativa della digitale.

Dagli esempi summenzionati risulta evidente che la determinazione della concentrazione plasmatica dei glicosidi digitalici ha chiarito la cinetica di questi farmaci ma solo in rari casi può essere uulizzata come guida diagnostica allo stato di digitalizzazione. A questo proposito va ricordato che fra le cause che influenzano la sensibilità individuale alla digitale assume importanza fondamentale la malattia cardiaca di base. Ischemia del miocardio, cardiomiopatie e valvulopatie possono tutte provocare instabilità elettrica e quindi ridurre la soglia di tolleranza alla digitale. Per lo stesso motivo è ridotta la tolleranza alla digitale nell'anziano che spesso presenta disturbi di ritmo e della conduzione che predispongono alla comparsa di effetti indesiderati.

Rischio tanto maggiore in quanto il soggetto anziano presenta spesso una decurtazione della funzione renale e un impoverimento delle masse muscolari scheletriche.

Il giudizio sul dosaggio e sulla concentrazione plasmatica ottimale della digitale deve basarsi principalmente sulla risposta clinica individuale. Infatti, come si è visto, sono tali e tanti i fattori capaci di variare in modo difficilmente quantificabile l'entità della risposta alla digitale, che la determinazione della digitalemia può essere utile soltanto se interpretata nell'ambito del quadro clinico generale.

 

 

INTOSSICAZIONE DIGITALICA

 

Come si è già detto la sensibilità alla digitale è tanto maggiore e quindi l'intossicazione digitalica è tanto più facile quanto più grave è la cardiopatia. Si realizza perciò quella paradossale condizione per cui quanto più i pazienti avrebbero bisogno del farmaco in dosi adeguate, tanto più prudente deve esserne la somministrazione (v. sopra).

Premessa indispensabile per una corretta terapia digitalica è la conoscenza dei segni dell'intossicazione, che devono poter essere differenziati da quelli della "azione digitalica".

Va detto subito che le modificazioni delle onde di ripolarizzazione ventricolare (ST-T) indotte dalla digitale sono tipiche della "azione" digitalica e non significano "intossicazione", per cui non richiedono la sospensione del farmaco ma soltanto un più attento controllo clinico.

I segni clinici dell'intossicazione digitalica, specie quelli digestivi, sono ben noti a tutti: anoressia, nausea, vomito. Essi sono dovuti all'azione centrale del farmaco più che ad un'azione irritante diretta sulla mucosa gastrica, come si riteneva un tempo.

  È bene ricordare che questi stessi sintomi possono essere dovuti anche allo scompenso ed essere presenti prima che inizi la digitalizzazione: in tal caso ovviamente non controindicano la terapia.

Abbastanza frequenti anche i segni neurologici, come cefalea, astenia, vertigine, depressione. Più raro invece, ma patognomonico, il segno della xantopsia, che può essere precoce e si ha nel 10-20% circa dei casi.

Più importanti i segni cardiaci di intossicazione, dovuti all'azione specifica sul miocardio. Li ricordiamo brevemente:

 

a) Extrasistolia. - Per lo più ventricolare, è un segno possibile di intossicazione che deve essere attentamente valutato caso per caso. Così per esempio nel corso di una digitalizzazione di mantenimento l'extrasistolia potrebbe essere dovuta alla cardiopatia stessa ed avrebbe perciò il significato di una digitalizzazione insufficiente anziché eccessiva. In questo caso è discriminante la misurazione della digitalemia. Segni quasi certi di intossicazione digitalica sono invece il bigeminismo extrasistolico, l'extrasistolia multifocale e quella in salva.   È quasi sicuramente dovuta ad intossicazione l'extrasistolia che si accompagna a disturbi della conduzione o ad altre aritmie.

 

 

b) Tachicardia ectopica. - La comparsa di un ritmo regolare in paziente fibrillante sotto terapia digitalica deve essere sempre riguardata con sospetto. Spesso infatti non significa ripristino del ritmo sinusale, ma comparsa di un ritmo ectopico da intossicazione. Nella maggior parte dei casi i ritmi ectopici sono preceduti dai segni dell'azione digitalica (marcato rallentamento della frequenza), ma nel 10-15% dei casi possono insorgere primitivamente, ciò che rende il loro riconoscimento più difficile. In ogni caso la comparsa di ritmo regolare in un paziente digitalizzato impone un controllo elettrocardiografico.

La diagnosi di ritmo ectopico è più difficile quando un "blocco di uscita" è causa di irregolarità del ritmo: in questo caso il ritmo ectopico può essere scambiato per una fibrillazione atriale e ciò può indurre ad aumentare la dose di digitale anziché a sospenderla. La diagnosi corretta in casi del genere non può essere che elettrocardiografica. Delle tachicardie ectopiche, quella più frequentemente dovuta a digitale è la tachicardia giunzionale non parossistica (frequenza del polso 70-130 b/min); c'è poi la tachicardia atriale con blocco (solo nel 50% dei pazienti dovuta ad intossicazione digitalica); la tachicardia giunzionale accelerata; la tachicardia ventricolare.

 

c) Blocco atrioventricolare. -   È segno di intossicazione nel paziente in ritmo sinusale. Può essere invece considerato come benefico nei pazienti in fibrillazione atriale in quanto è il fenomeno che condiziona la normalizzazione della frequenza ventricolare.

In ogni caso il trattamento digitalico va interrotto quando la frequenza ventricolare scende al di sotto dei 50 b/min.

L'associazione del blocco atrioventricolare alle aritmie elencate nel paragrafo precedente è segno sicuro di intossicazione digitalica.

 

 

TRATTAMENTO DELLA INTOSSICAZIONE DIGITALICA

 

Vanno innanzi tutto corretti l'ipossia, l'acidosi e gli squilibri elettrolitici che favoriscono l'intossicazione digitalica (v. sopra). La somministrazione di sali di potassio per vena (20-30 mEq alla velocità di 0,5-0,75 mEq/min) o per os (40-55 mEq per 3 volte al dì) è terapia di elezione dell'intossicazione digitalica; fanno eccezione i casi di blocco dato che il K+ aggrava il blocco stesso e ovviamente i casi di iperkaliemia.

Utili anche la difenilidantoina (120-250 mg i.v. seguita da terapia per os) in caso di tachiaritmie atriali, ed i betabloccanti.

Nelle tachicardie giunzionali sono utili i betabloccanti; nelle aritmie ventricolari la lidocaina. Da evitare invece chinidina e procainamide - che possono dare fibrillazione ventricolare - e la cardioversione, che può provocare la morte.

In caso di blocco è utile l'impiego dell'atropina. Nelle aritmie ventricolari associate a blocco la terapia più efficace e meno rischiosa consiste nell'impiego di un ritmatore endocardico.

 

 

Altri farmaci inotropi

 

In questi ultimi anni a causa degli inconvenienti e dei limiti della terapia digitalica (v. sopra) si è sentita la necessità di poter disporre di nuovi agenti inotropi integrativi o alternativi ai glicosidi digitalici.

Gli inconvenienti della digitale sono ben noti: l'attività aritmogena, la stretta dipendenza dall'equilibrio ionico, la presenza di importanti effetti neurovegetativi, la coesistenza di una azione vasocostrittrice sistemica (soprattutto in seguito a somministrazione endovenosa), l'esistenza di una fase di latenza deleteria nello scompenso acuto, l'efficacia soltanto modesta nelle forme a ritmo sinusale e le pericolose interazioni farmacocinetiche con alcuni antiaritmici e antianginosi.

Già da qualche anno nei casi di scompenso acuto, che notoriamente traggono poco vantaggio dall'impiego dei digitalici, come pure nelle forme croniche che siano gravate da controindicazioni o incompatibilità terapeutiche nei confronti dei digitalici, vengono impiegati il glucagone e alcuni farmaci adrenergici.

Il glucagone, somministrato per via venosa (5 mg in 15 min, poi 2-4 mg/ora) può essere associato alla digitale - con cui agisce sinergicamente - o può sostituirla quando questa debba essere sospesa (intossicazione). L'inconveniente maggiore del farmaco è la nausea e/o il vomito provocato anche da piccole dosi.

L'isoproterenolo - che agisce attraverso una betastimolazione cardiaca - ha l'inconveniente di far aumentare eccessivamente la frequenza cardiaca per cui va usato solo in casi eccezionali e con estrema cautela.

La dopamina - che è l'immediato precursore della noradrenalina - ha tre ordini di effetti fondamentali mediati rispettivamente dai recettori betal (stimolazione adrenergica cardiaca), da quelli dopaminergici (vasodilatazione renale, splancnica e in misura minore di altri distretti), e da quelli alfa adrenergici (vasocostrizione sistemica). In linea di massima si ammette l'esistenza di un progressivo "reclutamento" dei vari tipi di recettori in rapporto al dosaggio del farmaco: alle basse dosi (0.5-2 ng/kg/min) si ha aumento della perfusione renale senza apprezzabili effetti sulla contrattilità, sulla frequenza cardiaca e sulla pressione arteriosa; a dosi maggiori (2-10 ng/ kg/min) sono evidenti un aumento della contrattilità e della gittata; mentre a dosaggi ancora più alti ( > 10 ng/kg/min) si ha un netto aumento delle resistenze periferiche mediato da stimolazione alfa-adrenergica. In linea generale si può dire che la dopamina dà risultati migliori rispetto all'isoproterenolo perché meno tachicardizzante e perché non causa ipotensione. Il suo impiego deve avvenire sotto monitoraggio continuo perché, come si è detto, a dosaggi elevati determina vasocostrizione generalizzata e anche perché aumenta il consumo di O2 miocardico e può causare gravi aritmie ventricolari.

La dobutamina rispetto alla dopamina ha il vantaggio di non aumentare le resistenze periferiche neppure a dosaggi elevati. Anche la dobutamina può tuttavia dare origine con una certa frequenza ad aritmie ventricolari.

L'ibopamina è un altro agente adrenergico ampiamente utilizzato anche cronicamente. Si tratta di un profarmaco che agisce attraverso il suo metabolita epinina. Come la dopamina è un agente multirecettoriale. Attraverso la stimolazione dei recettori DA1 postsinaptici presenti in diversi tessuti provoca vasodilatazione soprattutto nei distretti renale e splancnico e natriuresi e diuresi, forse anche per una azione diretta sul tubulo renale. Attraverso la stimolazione dei recettori DA2 presinaptici e di aldosterone inibisce la secrezione di norepinefrina e di aldosterone. A dosaggi più sostenuti determina l'anivazione dei recettori B2 postsinaptici e alfa 2 presinaptici che contribuiscono alla vasodilatazione. Alle dosi terapeutiche comunemente impiegate (50-100 mg x 2 o 2 x 3/die) i livelli plasmatici di epinina che vengono raggiunti, non sono tali da esercitare un effetto inotropo positivo, tuttavia a causa della riduzione delle resistenze periferiche mediato dai meccanismi già menzionati e dal calo della attività reninica plasmatica la portata cardiaca aumenta in modo assai significativo. Studi ancora in corso mostrano che l'ibopamina oltre a migliorare il quadro emodinamico ha un effetto positivo anche sulla sopravvivenza dei pazienti scompensati.

 

Il prenalterolo è un beta1-mimetico ad azione preminente sull'inotropismo.

Il perbuterolo è un beta2-mimetico con attività beta1-mimetica residua. Gli studi clinici controllati finora con questi due farmaci hanno dato risultati positivi per l'uso a breve termine. A più lungo termine essi risultano invece inefficaci a pausa dello sviluppo di tachifilassi.

Lo xamoterolo, è un beta1-mimetico senza attività agonista per i recettori beta2. Studi recenti ne hanno dimostrato la sostanziale inefficacia al di fuori dei casi di scompenso di lieve entità.

Molte speranze avevano suscitato nel recente passato alcuni agenti inotropi non digitalici e non adrenergici fra i quali i più importanti sono l'amrinone, il milrinone e l'enoximone.

L'effetto inotropo di questi farmaci è attribuibile ad una modificazione diretta del ricambio intracellulare del calcio-ione. Essi possiedono anche un effetto rilassante sulla muscolatura liscia, probabilmente dovuto ad inibizione della fosfodiesterasi. Attualmente l'amrinone è di impiego corrente solo per via endovenosa nel trattamento a breve termine dello scompenso cardiaco ed in particolare in previsione del trapianto cardiaco. Infatti esso può causare importanti effetti collaterali indesiderati quali ipotensione, piastrinopenia dose-dipendente, angina, disturbi gastrointestinali e in particolare aritmie ipercinetiche. L'impiego per os in trattamenti a lungo termine è gravato da trombocitopenia.

Il milrinone, presenta meccanismo d'azione e attività farmacodinamica affine all'amrinone ma nella terapia orale cronica ha dimostrato una tollerabilità migliore grazie ai minori dosaggi ai quali viene usato. Tuttavia trials clinici recenti hanno dimostrato che il trattamento a lungo termine può avere effetti negativi dovuti alla potente azione inotropa accentuata e continuata e pertanto va utilizzato solo per brevi periodi. Infine l'enoxinone, che pur essendo caratterizzato da una struttura chimica del tutto diversa dai due precedenti, appartiene anch'esso alla classe degli inibitori della fosfodiesterasi III.

L'esperienza clinica con questo farmaco ha dato risultati praticamente sovrapponibili a quelli con amrinone e milrinone.

 

 

Betabloccanti

 

Anche se di primo acchito può sembrare paradossale l'impiego dei betabloccanti nel trattamento dello scompenso in realtà esso è giustificato alla luce delle più moderne interpretazioni fisiopatologiche di questa condizione. Infatti i betabloccanti proteggono il miocardio dall'azione degli elevati livelli di norepinefrina, determinano "up-regulation" dei recettori beta1-adrenergici, riducono la frequenza cardiaca, inibiscono la secrezione di renina e riducono le resistenze periferiche e infine hanno attività antiaritmica. Un meccanismo addizionale è rappresentato dalla facilitazione dell'attività inotropa mediata dagli alfa recettori.   È stato dimostrato infatti che i beta-bloccanti aumentano la contrattilità soprattutto nella cardiomiopatia dilatativa che costituisce l'indicazione principale al loro impiego. Va subito sottolineato comunque che l'utilizzo dei betabloccanti in pazienti scompensati richiede particolari cautele e va condotto almeno nelle fasi iniziali in ambiente ospedaliero stante la elevata incidenza (5-20%) di un peggioramento della funzione cardiaca anche con dosaggi iniziali estremamente bassi e con incrementi progressivi estremamente cauti.

 

 

Diuretici

 

Nello scompenso di cuore esiste una ipoperfusione renale relativa cui il rene risponde fisiologicamente con una riduzione dell'escrezione di sale.   È questa la causa principale dell'espansione dei volumi extracellulari che si verifica nello scompenso cardiaco. Ad essa contribuisce la riduzione dell'escrezione sodica derivante dalla stimolazione del sistema renina-angiotensina che è pure causata dalla ipoperfusione renale. Il provvedimento terapeutico più logico al fine di ridurre i volumi extracellulari appare quindi quello diretto ad aumentare il flusso renale. I farmaci ad effetto inotropo positivo, aumentando la portata cardiaca, migliorano anche la pressione di perfusione renale. Essi rappresentano quindi i farmaci di prima scelta nello scompenso di cuore. Spesso tuttavia, nonostante il miglioramento dell'emodinamica renale, la capacità di escrezione del sodio rimane decurtata. Da qui l'opportunità di intervenire direttamente sulla bilancia del sodio mediante i diuretici allo scopo di ridurre i volumi extracellulari e di conseguenza il precarico. Tutti i saluretici sono efficaci in quanto provocano eliminazione di sodio dal quale dipende direttamente il grado di espansione dei volumi extracellulari.

Va anche subito detto tuttavia che la deplezione idrosalina nello scompenso non deve essere troppo drastica e improvvisa perché determinerebbe squilibri idroelettrolitici molto pericolosi o addirittura mortali.

Poiché, come è stato già detto, nello scompenso cardiaco è spesso presente iperaldosteronismo secondario, può essere utile l'associazione con diuretici antialdosteronici che rientrano nella categoria dei diuretici a debole intensità d'azione. A questa stessa categoria appartengono anche i diuretici risparmiatori di potassio di utile impiego in associazione agli altri diuretici, nei casi in cui il pool potassico sia diminuito.

La tabella  2  illustra in dettaglio alcune proprietà dei diuretici di più largo uso clinico e   le loro possibili associazioni.

 

 

DIURETICI A MEDIA INTENSITÀ D'AZIONE

 

Le tiazidi o benzotiadiazine sono tra i diuretici più utili nello scompenso di cuore. Anche  se  tutte  le  tiazidi  agiscono sul "sito di diluizione corticale" che  comprende il tratto corticale dell'ansa ascendente e/o il primo tratto del tubulo distale, esse si diversi-ficano  per  comportamento farmacocinetico e durata di azione. Per cloronazide e idro- clorotiazide la durata d'azione è di 6-12 ore mentre per il clortalidone è di 18-48 ore.

Analogamente a quanto avviene con tutti i diuretici che inibiscono l'assorbimento del sodio a monte del tubulo distale, le tiazidi aumentano l'eliminazione di potassio e di idrogeno.

Esse aumentano anche l'eliminazione di magnesio, talora provocano ipomagnesiemia che può precipitare l'intossicazione digitalica. Determinano inoltre la riduzione dell'escrezione urinaria di calcio. Fra gli effetti indesiderati sono da segnalare le alterazioni del ricambio glucidico, che possono andare dalla semplice diminuzione della tolleranza al carico orale di glucosio sino al coma diabetico in pazienti diabetici mal controllati, e l'iperuricemia, in specie nei pazienti trattati continuativamente, ma che assume importanza clinica solo in rarissimi casi.

Un altro effetto indesiderato comune anche ad altri diuretici è l'aumento della increzione reninica che negli ipertesi può interferire con l'effetto ipotensivo dei diuretici stessi e nello scompenso, in cui già esiste una iperstimolazione del sistema renina-angiotensina, può accelerare lo sviluppo dell'iperaldosteronismo secondario o aggravarlo.

 

 

DIURETICI A FORTE INTENSITÀ D'AZIONE

 

 

Rientrano in questa categoria furosemide, bumetanide, piretanide e acido etacrinico. Essi agiscono a livello della branca ascendente dell'ansa di Henle. Analogamente alle tiazidi aumentano l'escrezione di sodio, di potassio e di idrogeno, mentre contrariamente alle tiazidi aumentano anche l'escrezione urinaria di calcio. Tutti i diuretici di questo gruppo aumentano il flusso renale e provocano una sua ridistribuzione a favore della quota corticale. L'azione diuretica è molto rapida (per via endovenosa compare entro 10 minuti) e molto intensa per cui essi rappresentano i diuretici di scelta nell'edema polmonare acuto. Hanno il vantaggio di poter agire anche quando il filtrato renale è molto decurtato.

Somministrati per os, furosemide e acido etacrinico hanno un picco massimo d'azione dopo due ore ed una durata d'azione di 4-6 ore. Dato l'aumento drastico della diuresi che consegue alla loro somministrazione, questi farmaci possono causare gravi squilibri idroelettrolitici, almeno a breve termine.

 

 

DIURETICI A DEBOLE INTENSITÀ D'AZIONE

 

Comprendono i cosiddetti diuretici risparmiatori di potassio dei quali i principali sono amiloride, spironolattone e canrenoato di potassio. L'amiloride agisce direttamente a livello del tubulo distale aumentando l'escrezione di sodio e cloro e riducendo quella del potassio e dell'idrogeno ed ha una durata di azione di almeno 24 ore.

Spironolattone e canrenoato di potassio hanno effetti qualitativamente analoghi a quelli dell'amiloride, ma agiscono come antagonisti competitivi dell'aldosterone, del desossicorticosterone e di altri steroidi mineraloattivi. Entrambi presentano una fase di latenza con comparsa dell'effetto massimo in circa 24-72 ore e una durata d'azione di circa 48 ore.

L'indicazione maggiore dei diuretici risparmiatori di potassio nello scompenso è rappresentata dall'ipokaliemia dovuta all'impiego di altri tipi di diuretici o all'iperaldosteronismo secondario allo scompenso. Del significato dell'ipokaliemia e dei mezzi per correggerla si tratterà qui di seguito più in dettaglio.

 

 

IPOKALIEMIA DA DIURETICI

 

La complicanza più frequente del trattamento con i diuretici che agiscono a monte della parte distale del nefrone è l'ipokaliemia. Valori di  K+  fra 3 e 3,5 mEq/litri non sono clinicamente significativi sebbene in presenza di probabili fattori concomitanti possano comparire, specie in soggetti anziani, ipotensione posturale, stato letargico, apatia e facile stancabilità. A valori inferiori a 3 mEq/litri compaiono con maggiore frequenza aritmie potenzialmente pericolose, mentre al di sotto di 2 mEq/litri è stata riscontrata un'elevata mortalità.

L'effetto kaliuretico è riconducibile all'inibizione del riassorbimento di sodio dei segmenti più prossimali del nefrone, con aumento della portata sodica endotubulare e aumento della velocità di flusso. La grossa quota di sodio che affluisce al tubulo distale e al dotto collettore comporta un'aumentata escrezione di potassio, in quanto aumenta il gradiente elettrochimico transtubulare che promuove la diffusione passiva del potassio dalla cellula tubulare al lume. In altre parole l'aumento dell'afflusso di sodio al tubulo distale comporta tanto un aumento del flusso della preurina, che influenza positivamente il gradiente di concentrazione transtubulare del potassio, quanto un aumento del sodio a questo livello, capace di aumentare il gradiente elettrico del potassio. A questi due fattori si aggiunge l'aumento dell'increzione di aldosterone che può essere dovuto alla contrazione della volemia provocata dai diuretici stessi, ma che nello scompenso di cuore è già presente prima che i diuretici siano stati usati e che è dovuto in parte alla ipoperfusione renale e in parte all'iperstimolazione simpatica caratteristiche dello scompenso.

L'entità della caduta della potassiemia dipende dal tipo di diuretico usato. Le tiazidi e il clortalidone provocano una caduta media di circa 0,6 mEq/litri, mentre la furosemide di 0,3-0,5 mEq/litri. L'attività kaliuretica di un diuretico è determinata dalla sua durata d'azione: maggiore la durata d'azione, più elevata la caduta della potassiemia poiché l'azione continuativa riduce il tempo durante il quale il rene, libero dall'influenza del diuretico, può esercitare un recupero.

Infatti la frequenza dell'ipokaliemia (K +  < 3,5 mEq/litri) è maggiore con il clortalidone (43%) e con l'idroclorotiazide (28%) che con la furosemide (3,6-11,9%).

Tuttavia nei soggetti con scompenso cardiaco grave, che pure sono trattati abitualmente con furosemide, la frequenza dell'ipokaliemia è più elevata (25%). Si devono quindi invocare oltre agli effetti diretti del diuretico anche i possibili fattori concomitanti e/o predisponenti. Talora questi pazienti, che sono spesso anziani, si ipoalimentano o perché sono anoressici o perché sono sottoposú a severe restrizioni dietetiche per controllare l'insufficienza cardiaca. A ciò si aggiunge il malassorbimento causato dall'atrofia della mucosa intestinale. C'è inoltre da considerare la perdita di tessuto muscolare, espressione della cachessia cardiaca. La perdita di potassio è comunque sempre maggiore rispetto alla perdita del tessuto muscolare e interessa anche la quota intracellulare.

Questo deficit è secondario a "malattia cellulare" causata da ipossia e acidosi che alterano il funzionamento della pompa Na-K di membrana e conseguentemente provocano un aumento della concentrazione intracellulare del sodio e una diminuzione di quella del potassio.

 

 

INDICAZIONI ALLA CORREZIONE DELL'IPOKALIEMIA: MEZZI A DISPOSIZIONE E LORO EFFICACIA RELATIVA

 

Non esistono dubbi circa la necessità di intervenire nei pazienti con scompenso cardiaco grave, specie in quelli trattati con la digitale. Questo in quanto:

1) nello scompenso diminuisce il potassio intracellulare, ciò che aumenta la sensibilità del miocardio alla digitale, anche se la frequenza di intossicazione digitalica non è strettamente correlata con il grado di deplezione potassica;

2) i diuretici di uso comune provocano perdita di potassio soprattutto a spese del pool intracellulare;

3) il miglioramento delle condizioni circolatorie indotto dalla digitale favorisce lo spostamento del potassio verso le cellule per cui, se il pool potassico è diminuito, può determinarsi improvvisa ipokaliemia e di conseguenza la comparsa di segni di intossicazione digitalica.

I mezzi a disposizione per correggere l'ipokaliemia sono diversi e comprendono fondamentalmente: una dieta ricca di potassio, supplementi orali di potassio e diuretici risparmiatori di potassio.

Qualsiasi tipo di dieta contiene quantità di potassio sufficienti a mantenere in equilibrio il bilancio dell'organismo in condizioni normali. Gli alimenti di origine vegetale e in particolare i legumi, i cereali e la frutta secca contengono elevate quantità di potassio. Un'alimentazione ricca di potassio può controbilanciare le perdite urinarie dell'elettrolita indotte dai diuretici, ma raramente è sufficiente a correggere il deficit del "total body K + " e/o l'ipokaliemia, una volta che questi si siano instaurati.

 

I supplementi orali di potassio devono essere somministrati come KCI; infatti sali di potassio a reazione alcalina (citrato, bicarbonato, aspartato) non sono indicati perché l'ipokaliemia da diuretici si accompagna quasi sempre ad alcalosi ipocloremica che esalta l'escrezione renale di potassio.

Il KCl è disponibile in tre forme:

 

- la soluzione liquida che è poco tollerata (nausea, vomito e crampi addominali);

- sotto forma di compresse gastroresistenti che possono essere causa di ulcerazioni intestinali soprattutto in presenza di un rallentato transito intestinale;

- la forma ritardo, assai meglio tollerata.

I supplementi orali di potassio alle dosi comunemente usate di 20-25 mEq/die non hanno tuttavia che una modesta influenza sulla potassiemia. In genere sono necessari circa 50-60 mEq/die per portare la potassiemia all'80% dei valori normali nell'80% dei pazienti. Studi recenti condotti su soggetti trattati a lungo termine con i diuretici hanno inoltre messo in evidenza che i supplementi orali di potassio non hanno alcuna efficacia sul "total body K+" perché l'aumentato introito è bilanciato da una aumentata escrezione urinaria del potassio.

Dei diuretici risparmiatori di potassio si è già trattato in precedenza.

Qui basterà ricordare che sono più efficaci dei supplementi orali di potassio nel correggere l'ipokaliemia e che possono correggere anche il deficit del "total body K + ".   È stato inoltre dimostrato che amiloride e triamterene antagonizzano la perdita del potassio miocardico indotta dalla digitale prevenendo o almeno ritardando così l'eventuale insorgenza di intossicazione digitalica.

Il più comune e grave effetto collaterale della terapia con supplementi orali di potassio o con diuretici risparmiatori di potassio è l'iperkaliemia che in termini statistici di morbilità e mortalità è molto più pericolosa dell'ipokaliemia. Ne consegue che l'uso dei sali di potassio e dei diuretici risparmiatori di potassio deve essere prudente.

Va ricordato a questo proposito che alcune semplici precauzioni possono ridurre la necessità di una terapia supplementare di potassio: piccole dosi di furosemide provocano una minore perdita di potassio che non le tiazidi a parità di effetto natriuretico e una modesta riduzione del sale nella dieta a circa 70-80 mEq/die riduce sia l'escrezione renale di potassio che la dose di diuretico richiesta per il trattamento dello scompenso.

 

 

Vasodilatatori

 

I vasodilatatori non sono certo farmaci nuovi nel campo della terapia cardiovascolare: ciò che è relativamente nuovo è l'indicazione dei vasodilatatori per il trattamento dello scompenso cardiaco acuto e cronico. Per la verità l'ipotesi che venodilatatori e arteriodilatatori potessero avere un effetto benefico rispettivamente sulla pressione di riempimento ventricolare e sulla portata cardiaca nel cuore scompensato risale a circa quarant'anni fa ma solo da un decennio essi sono entrati nella pratica clinica. La ragione di questo ritardo è addebitabile al timore che l'uso di questi farmaci, che riducono le resistenze periferiche, provocasse una catastrofica caduta della pressione in pazienti che hanno una bassa portata cardiaca. In realtà ciò non si verifica perché l'aumento della gittata cardiaca che consegue alla riduzione del postcarico controbilancia la riduzione delle resistenze periferiche, con il risultato finale di un aumento della portata cardiaca senza riduzione significativa della pressione sistemica. Durante gli ultimi dieci anni i vasodilatatori hanno acquisito piena cittadinanza nel trattamento dello scompenso acuto e cronico di cuore in pazienti selezionati. Nuovi farmaci con meccanismi d'azione diversi si sono aggiunti a quelli tradizionali e nuovi schemi terapeutici sono stati proposti.

Inizialmente i vasodilatatori sono stati utilizzati esclusivamente in presenza di una grave compromissione miocardica primitiva o secondaria a danno valvolare o ischemico in cui l'aumento dell'inotropismo del miocardio ancora funzionante può risultare insufficiente a migliorare la performance cardiaca e può addirittura essere pericoloso perché determina un aumento del fabbisogno di ossigeno miocardico. In questi casi l'unico modo per aumentare la portata cardiaca è quello di ridurre l'impedenza all'efflusso ventricolare e/o di diminuire il ritorno venoso al cuore, limitatamente ai casi con pressione di riempimento ventricolare elevata. Per questo i vasodilatatori, che sono in grado di ridurre le resistenze periferiche e/o il precarico, venivano proposti come farmaci alternativi nello scompenso cardiaco, quando digitalici e diuretici avessero fallito o fossero controindicati. In effetti nei pazienti in scompenso cronico affetti da cardiopatia ischemica con grave compromissione della contrattilità miocardica, l'aggiunta dei vasodilatatori alla terapia tradizionale si è dimostrata efficace nel migliorare la portata cardiaca, nel promuovere la diuresi e nel ridurre il consumo di ossigeno miocardico. Più recentemente l'uso dei vasodilatatori è stato esteso ai pazienti in una fase meno avanzata dello scompenso, dopo la dimostrazione che la vasocostrizione è una componente precoce del quadro emodinamico della sindrome. In effetti è stato provato in studi recentissimi che essi sono in grado di prolungare la sopravvivenza in pazienti con scompenso di grado moderato già in trattamento con digitale e diuretici. I vasodilatatori trovano indicazione anche nello scompenso acuto del ventricolo sinistro e nell'infarto acuto del miocardio quando vi sia un aumento della pressione di riempimento del ventricolo sinistro. Costituiscono indicazione anche l'insufficienza mitralica complicante l'infarto, la perforazione del setto interventricolare e l'insufficienza e stenosi aortica.

Alcuni vasodilatatori hanno un'azione preminente sui vasi di resistenza e quindi riducono il postcarico, altri agiscono soprattutto sui vasi di capacitanza e quindi riducono il precarico e altri ancora agiscono in modo bilanciato sia sulle arteriole che sulle vene (tab.03x).

Quelli che hanno un'azione preminente sul postcarico (idralazina, minoxidil, nifedipina, fenossibenzamina, fentolamina) determinano un aumento della gittata cardiaca e della frazione di eiezione conseguente alla riduzione delle resistenze periferiche, anche se la contrattilità miocardica non migliora. La pressione arteriosa si abbassa solo di poco in quanto, come si è già detto, la riduzione delle resistenze periferiche è controbilanciata dall'aumento della gittata.

I sintomi da bassa portata migliorano come pure quelli dovuti allo stato congestizio. Infatti con la riduzione del postcarico si riduce il volume telesistolico e di conseguenza anche il volume telediastolico e la pressione telediastolica.

I farmaci che hanno un'azione preminente sui vasi di capacitanza (nitroglicerina, isosorbide dinitrato) determinano una caduta della pressione venosa, pooling venoso e riduzione del ritorno venoso che a sua volta determina una riduzione del volume diastolico ventricolare e della pressione telediastolica con miglioramento dei sintomi dello scompenso. Anche la portata cardiaca può ridursi: ma tale riduzione è per lo più assai modesta perché la curva che correla la portata con il volume ventricolare è piatta nello scompenso di cuore. Tuttavia nei casi in cui la portata cardiaca è molto ridotta e la pressione telediastolica non molto elevata, in conseguenza per esempio del trattamento diuretico, l'uso dei vasodilatatori a prevalente azione sul distretto venoso può ridurre ulteriormente la portata cardiaca e provocare addirittura shock.   È quindi importante misurare la pressione di riempimento ventricolare e la portata cardiaca prima di istituire tale terapia. In linea generale i pazienti che meglio rispondono alla terapia con i vasodilatatori a prevalente azione sul distretto venoso sono quelli con una elevata pressione telediastolica del ventricolo sinistro.

 

Infine i vasodilatatori che hanno un'azione bilanciata sia sul distretto arterioso che su quello venoso (inibitori dell'enzima di conversione, nitroprussiato sodico, prazosina, trimazosina) determinano contemporaneamente da una parte riduzione delle resistenze periferiche e quindi del postcarico e dall'altra una riduzione del ritorno venoso e quindi del precarico con conseguente aumento della gittata e miglioramento dei sintomi dello scompenso.

Da ciò si può dedurre come l'indicazione all'uso dell'uno piuttosto che dell'altro vasodilatatore debba essere ricavata dai dati emodinamici che consentono una migliore precisazione del meccanismo dello scompenso e della componente emodinamica più alterata.

Essi permettono inoltre di valutare l'entità della risposta e gli eventuali effetti collaterali.

Nella tabella 3 è riportato l'elenco dei principali vasodilatatori, la via di somministrazione, il picco d'azione, la durata d'azione, il dosaggio, i più importanti effetti col-laterali ed il meccanismo d'azione.

 

 

VASODILATATORI A PREMINENTE AZIONE SUI VASI DI CAPACITANZA

 

Nitroglicerina. - Il meccanismo con il quale determina il rilasciamento della muscolatura liscia è tuttora sconosciuto. Avendo una azione preminente sui vasi di capacitanza, determina pooling di sangue nel distretto venoso e riduce il precarico. L'effetto della nitroglicerina sulla portata cardiaca è assai variabile e dipende dal grado di gravità dello scompenso. In generale tanto più alta è la pressione occludente polmonare e più bassa la portata cardiaca iniziale, tanto maggiore è l'incremento della portata. La riduzione della sintomatologia dolorosa che si osserva in pazienti scompensati e con miocardiopatia ischemica durante il trattamento con nitroglicerina non è comunque dovuta tanto al miglioramento della perfusione miocardica quanto alla riduzione del consumo di ossigeno miocardico in seguito alla riduzione del precarico.

  È stato tuttavia segnalato che la nitroglicerina può anche determinare un aumento del flusso sanguigno al miocardio ischemico tramite vasi collaterali e/o dilatazione dei vasi coronarici stenosati.

 

Isosorbide dinitrato. - Anche l'isosorbide dinitrato agisce direttamente sulle miocellule vascolari lisce del distretto venoso determinando pooling di sangue nei vasi di capacitanza e quindi riduzione del precarico. L'effetto collaterale segnalato con maggior frequenza è la cefalea che tuttavia scompare dopo la prima o la seconda settimana di trattamento. Ben più importanti possono essere gli effetti collaterali nei pazienti impropriamente selezionati per il trattamento con i nitrati: la riduzione del precarico in pazienti che non abbiano un volume ed una pressione telediastolica aumentati può infatti provocare caduta della portata cardiaca, ipotensione e sincope.

 

 

VASODILATATORI A PREMINENTE AZIONE SUI VASI DI RESISTENZA

 

Idralazina - L'idralazina è un derivato della ftalazina in uso da circa 40 anni nel trattamento dell'ipertensione arteriosa. Agisce direttamente sulla miocellula vascolare liscia delle arteriole riducendo le resistenze periferiche.   È questo il meccanismo principale con il quale nello scompenso determina un aumento della portata cardiaca, mentre non modifica la pressione di riempimento ventricolare.

Nel soggetto normale e nell'iperteso determina immancabilmente un aumento della frequenza cardiaca secondario all'aumento dell'attività simpatica riflessa provocato dalla caduta della pressione sistemica. Ciò accade solo raramente in pazienti scompensati. Il mancato aumento della frequenza cardiaca in questi casi è dovuto alla riduzione dell'ipertono simpatico proprio dello scompenso, allorché la situazione emodinamica migliora grazie al vasodilatatore. In altre parole la riduzione dell'ipertono simpatico che si ha con il miglioramento della situazione emodinamica bilancia la tendenza all'aumento della frequenza causato dal vasodilatatore.

 

Mínoxidil. - Il minoxidil è un potente vasodilatatore ad azione diretta sulla muscolatura liscia arteriolare, ma per il quale è stata recentemente proposta anche un'azione calcioantagonista. Il suo impiego nel trattamento dello scompenso cardiaco refrattario è stato sinora saltuario e limitato a brevi periodi di tempo. In pazienti scompensati affetti da cardiopatia primitiva o ischemica ha dato risultati simili a quelli ottenuti con l'idralazina. Esso aumenta la portata cardiaca attraverso la riduzione delle resistenze periferiche con effetti insignificanti sia sulla pressione sistemica sia sulla frequenza cardiaca. Essendo un potente vasodilatatore determina una cospicua ritenzione idrosalina per cui deve essere associato ai diuretici. Un effetto collaterale importante del minoxidil è l'ipertricosi che costituisce una limitazione all'impiego del farmaco specie nelle donne.

 

Nifedipina. - Anche il calcioantagonista nifedipina è stato recentemente impiegato nello scompenso cardiaco. Esso agisce prevalentemente sulle resistenze periferiche ma esistono studi che dimostrano un'azione dilatatrice anche a livello delle arterie polmonari.   È stato inoltre dimostrato nell'animale che esso aumenta il ritorno venoso.

Nonostante il farmaco abbia un effetto inotropo negativo, esso aumenta la performance cardiaca nello scompenso di grado moderato: ciò si deve presumibilmente al fatto che l'effetto inotropo negativo viene mascherato dalla riduzione delle resistenze periferiche, per cui gli indici di contrattilità risultano non significativamente ridotti o addirittura migliorati.

 

Fentolomina. - La fentolamina è una imidazolina con attività alfa-bloccante. Tale attività è 3-5 volte più potente sui recettori alfa1-postsinaptici che sui recettori alfa2-presinaptici. C'è da dire tuttavia che alle dosi comunemente impiegate l'effetto vasodilatatore non è dovuto tanto all'attività alfa-bloccante quanto ad una azione diretta del farmaco sulle miocellule vascolari lisce. A dosi elevate prevale invece il meccanismo di alfa-blocco. Il farmaco è disponibile in Italia soltanto nella preparazione per uso endovenoso, il che costituisce una limitazione per l'impiego a lungo termine. La fentolamina è stata usata soprattutto in pazienti con infarto miocardico in fase acuta nei quali ha provocato una diminuzione della pressione di riempimento del ventricolo sinistro, un aumento della portata cardiaca ed una riduzione cospicua delle resistenze periferiche senza che si verificasse un calo significativo della pressione sistemica né un aumento della frequenza cardiaca. Più recentemente la

preparazione orale è stata impiegata negli Stati Uniti anche nello scompenso cronico refrattario.

 

 

VASODILATATORI AD AZIONE SIA SUI VASI DI RESISTENZA SIA DI CAPACITANZA

 

Inibitori dell'enzima dí conversione. - Captopril ed enalapril sono capostipiti di una lunga serie di farmaci appartenenti alla stessa classe oggi disponibili sul mercato. Tutti questi farmaci inibiscono l'enzima che converte l'angiotensina I, sostanza relativamente poco attiva, in angiotensina II che è una potente sostanza vasocostrittrice. Essi riducono le resistenze periferiche anche attraverso il blocco della degradazione della bradichinina, che viene idrolizzata dalla stessa idrolasi che opera la conversione dell'angiotensina I e che ha un'azione vasodilatatrice.

 

All'azione ipotensiva potrebbero anche contribuire le prostaglandine renali che vengono liberate dalla bradichinina e che hanno un'azione sodioescretrice e vasodilatatrice.   È stato inoltre recentemente dimostrato che gli inibitori dell'enzima di conversione riducono la concentrazione plasmatica delle catecolamine e forse producono anche una vasodilatazione diretta. Sono dunque molteplici i meccanismi attraverso i quali questi farmaci determinano una vasodilatazione.

Il motivo del loro impiego nello scompenso sta nel fatto che in questa condizione esiste un ipertono simpatico e quindi un'iperincrezione reninica che determina da un lato un aumento delle resistenze periferiche e dall'altro conduce allo sviluppo di un iperaldosteronismo secondario e quindi a ritenzione sodica. Mentre la stimolazione moderata di questo sistema può determinare un miglioramento della omeostasi circolatoria, un'eccessiva concentrazione dell'angiotensina II può invece determinare una vasocostrizione esagerata, particolarmente delle arteriole glomerulari con caduta del filtrato, insufficienza renale ed ulteriore peggioramento della situazione emodinamica. Gli inibitori dell'enzima di conversione, inibendo la formazione dell'angiotensina II, riducono le resistenze periferiche ed inibiscono la secrezione dell'aldosterone.

In effetti è stato dimostrato che la somministrazione di una singola dose di 25-50 mg di captopril o di 10 mg di enalapril determina un significativo incremento della portata cardiaca con diminuzione della pressione sistemica. Questi farmaci hanno anche un'azione dilatatrice sui vasi di capacitanza com'è dimostrato dal fatto che riducono la pressione in atrio destro e il rapporto fra volume di sangue nel distretto cardiopolmonare e volume totale di sangue. Altri effetti positivi degli inibitori dell'enzima di conversione sono la riduzione dello stress parietale, I'aumento del flusso coronarico, la prevenzione del rimodellamento ventricolare post-infartuale, l'incremento della concentrazione intra ed extracellulare di potassio e di magnesio e infine la riduzione delle aritmie ventricolari nei pazienti scompensati.

Tra i vantaggi degli inibitori dell'enzima di conversione rispetto ad altri vasodilatatori impiegati nello scompenso cardiaco, va ricordato il fatto che con essi non si manifesta tachifilassi, probabilmente perché non determinano ritenzione idrosalina neppure a medio-lungo termine. Studi recenti confermano la persistenza della loro efficacia anche dopo anni di trattamento continuativo, un miglioramento della qualità di vita e un aumento significativo della sopravvivenza rispetto a digitale e diuretici.

Ancor più recentemente è stata dimostrata la capacità di questi farmaci di prevenire la progressiva dilatazione ventricolare che si verifica nel post-infarto.

Il dosaggio iniziale raccomandato per il captopril è di 25 mg per os, aumentabile fino a 75 mg in tre somministrazioni giornaliere e per l'enalapril di 5 mg per os aumentabile fino a 20 mg in una o due somministrazioni giornaliere. Dosaggi più elevati specie in presenza di deplezione salina possono portare a ipotensione e ad insufficienza renale. Fra i potenziali effetti collaterali sono da ricordare rash maculopapulare, tosse stizzosa, perdita del gusto, proteinuria e neutropenia.

Generalmente se uno di questi effetti collaterali compare con uno qualsiasi dei farmaci appartenenti a questa classe è assai probabile che si manifesti anche con tutti gli altri, e quindi non vale la pena di passare da una molecola all'altra, ma si dovrà ricorrere a un vasodilatatore di classe diversa.

 

Nitroprussiato sodico. - Il nitroprussiato sodico determina una vasodilatazione diretta sia venosa sia arteriosa indipendente dall'innervazione simpatica. Può essere somministrato soltanto per infusione venosa ed ha un effetto istantaneo.

Esso provoca un aumento della portata cardiaca in pazienti scompensati, sia attraverso la riduzione del ritorno venoso al cuore e quindi la riduzione della pressione telediastolica del ventricolo sinistro, sia attraverso il calo delle resistenze periferiche. La frequenza cardiaca rimane praticamente immutata.

L'entità dell'aumento della portata cardiaca dipende in larga misura dal grado di riduzione della pressione di riempimento ventricolare. Tuttavia se la pressione di riempimento scende eccessivamente, sotto i 10 mmHg, l'aumento è trascurabile, mentre se rimane al di sopra dei 10 mmHg, l'aumento è assai più cospicuo.

L'importanza di mantenere la pressione di riempimento del ventricolo sinistro sopra i livelli normali è confermata dalla osservazione che l'espansione della volemia mediante infusione di destrano, sino a provocare un aumento della pressione di riempimento fino a 12 mmHg, determina in pazienti trattati con nitroprussiato un cospicuo aumento della portata cardiaca.

Questa osservazione è importante perché dimostra come l'impiego del nitroprussiato in pazienti non opportunamente selezionati, cioè in pazienti con una bassa pressione di riempimento, possa provocare una riduzione invece che un aumento della portata cardiaca.   È quindi importante assicurarsi che la pressione di riempimento del ventricolo sinistro sia elevata prima di iniziare la terapia con nitroprussiato.

Il farmaco, determinando una riduzione della tensione della parete del ventricolo sinistro, esercita anche un'azione di risparmio sul consumo di ossigeno miocardico. Inoltre, poiché riduce maggiormente la pressione telediastolica del ventricolo sinistro che non la pressione aortica diastolica, determina un aumento della perfusione subendocardica. L'effetto collaterale maggiore è rappresentato dall'azione tossica esercitata dal suo metabolita, il tiocianato. Infusioni prolungate di nitroprussiato, specie in pazienti con insufficienza renale, sono perciò da evitare. La somministrazione di idrocobalamina parrebbe comunque prevenire i fenomeni di tossicità da tiocianato.

 

Prazosina. - La prazosina è un derivato chinazolinico che dilata sia le vene che le arterie attraverso il blocco degli alfa1 recettori postsinaptici. L'affinità per gli alfa2 recettori presinaptici sarebbe invece assai modesta. In questo senso la prazosina si differenzia dagli altri alfabloccanti classici (fenossibenzamina e fentolamina) che, pur avendo un'attività più potente per gli alfa1 recettori postsinaptici, bloccano anche i recettori alfa2 presinaptici i quali normalmente esercitano un'azione frenante sulla secrezione del mediatore noradrenalina. Ciò giustifica la mancanza con la prazosina dell'overflow catecolaminico nello spazio sinaptico che è invece caratteristico degli alfa-bloccanti classici e che spiega la stimolazione simpatica di tipo beta che essi determinano con tachicardia ed iperincrezione reninica.

L'effetto emodinamico è simile a quello che si osserva con il nitroprussiato sodico, con il vantaggio di un'azione più duratura.

Secondo alcuni Autori la prazosina sarebbe efficace anche dopo trattamento prolungato con aumento della tolleranza all'esercizio fisico, miglioramento ecocardiografico della funzione cardiaca, riduzione della dispnea e dell'astenia e riduzione della sintomatologia anginosa, con effetti collaterali del tutto trascurabili. Secondo alcuni Autori, invece, dopo sei mesi di trattamento continuativo si svilupperebbe tolleranza al farmaco.

 

Secondo altri ancora, lo sviluppo della tolleranza si manifesterebbe già con la seconda somministrazione a distanza di 12-24 ore dalla prima, né pare che l'aumento del dosaggio migliori significativamente i parametri emodinamici. Questo fenomeno di "tachifilassi" parrebbe tuttavia superabile con il passaggio temporaneo ad un altro vasodilatatore, in particolare all'idralazina.

Secondo altri Autori ancora, con il trattamento cronico si ridurrebbe l'effetto del farmaco sull'aumento della pressione diastolica polmonare provocato dall'esercizio fisico, mentre si renderebbe più evidente l'effetto sulla gittata cardiaca che aumenterebbe significativamente appunto solo dopo un trattamento prolungato.

Va detto peraltro che con la prazosina non è stato possibile dimostrare alcun miglioramento della sopravvivenza.

 

Doxazosina e terazosina sono nuovi derivati chinazolinici che presentano rispetto al capostipite prazosina una affinità ancora più spiccata per il recettore alfa 1-postsinaptico.

Sebbene il loro impiego nello scompenso sia ancora limitato a casistiche selezionate, l'impressione che si trae dai primi studi clinici è che non si verifichi con essi comparsa di fenomeni di tolleranza in trattamento cronico.

 

 

Trattamento di forme particolari di scompenso

 

EDEMA POLMONARE ACUTO

 

I presidi terapeutici sono quelli classici, in particolare la morfina (10 mg i.v. o s.c.) che ha un effetto drastico e immediato sulla sintomatologia.

Riduce l'ansia e dilata le vene polmonari e sistemiche.

Utile anche la furosemide per via venosa (25-50 mg in 30-60 sec) che induce venodilatazione e una pronta e cospicua diuresi e la nitroglicerina per via sublinguale (0,8-2,5 mg ogni 10 min) o per via endovenosa (bolo 0,1 mg).

 

 

INFARTO DEL MIOCARDIO

 

Lo scompenso nell'infarto miocardico può essere dovuto a complicanze (rottura di corde tendinee o lesione dei muscoli papillari con insufficienza mitralica; perforazione settale; aneurisma; tamponamento pericardico) che vanno riconosciute clinicamente e trattate in via chirurgica, se necessario. L'uso della digitale è sconsigliabile sia per la prolungata fase di latenza d'azione, sia perché aumenta il consumo di O2 e può favorire l'insorgenza di aritmie (in animali i quali avevano un infarto miocardico, la dose tossica di digitale è risultata ridotta a 1/3 del normale!), sia perché determina una vasocostrizione sistemica.

Nello scompenso cardiaco da infarto miocardico trovano invece impiego elettivo il glucagone, la dopamina e la dobutamina, pur con le precauzioni sopra ricordate.

Abbiamo già detto dell'impiego dei vasodilatatori in questa forma morbosa e dei successi ottenuti specie con il nitroprussiato sodico (40-60 ng/min) e con la fentolamina (0,3-2 mg/min) in casi con pressione telediastolica del ventricolo sinistro aumentata. Studi recenti dimostrano che nei soggetti infartuati, anche in assenza di sintomi di scompenso, esiste sempre una riduzione della frazione di eiezione e un incremento della pressione telediastolica del ventricolo sinistro. La somministrazione di inibitori dell'enzima di conversione in questi casi si è dimostrata più efficace della furosemide nel normalizzare i parametri emodinamici e certamente utile nel prevenire il rimodellamento ventricolare.

 

 

CUORE POLMONARE CRONICO

 

In questa forma di cardiopatia la correzione dei fenomeni indotti dall'insufficienza respiratoria è imperativa e preminente.

L'ipossia, l'acidosi respiratoria, il broncospasmo, la flogosi bronchiale o broncopolmonare rendono vano ogni tentativo di correzione dell'insufficienza cardiocircolatoria con i comuni presidi, la digitale e i diuretici; l'intossicazione digitalica è più facile.

Tra i provvedimenti terapeutici indispensabili ricordiamo: l'uso degli antibiotici in dosi adeguate; l'ossigenazione (per via nasale con un flusso di 3-5 litri/min); l'uso di broncodilatatori; l'uso del cortisone se necessario.

Nei casi più gravi può rendersi necessaria una terapia intensiva con respirazione a pressione positiva intermittente o con respirazione a pressione positiva costante: con tali provvedimenti si possono avere risultati anche sorprendenti, impensabili prima che questa terapia venisse introdotta.

 

 

SCOMPENSO IN PAZIENTI CON INSUFFICIENZA RENALE

 

Va tenuto conto del maggior rischio di intossicazione digitalica, dato che l'emuntorio renale è la via più importante di eliminazione del farmaco, specie per la digossina (80% della dose somministrata, v. sopra). Il dosaggio dei diuretici va opportunamente aumentato con preferenza per i diuretici più attivi (per es. furosemide). Estremamente pericolosa può essere la somministrazione di sali di K+, dato che questi pazienti sono spesso iperkaliemici (v. sopra).

Infine cautela va osservata con gli inibitori dell'enzima di conversione, la cui eliminazione avviene per via renale. In questi casi i dosaggi vanno opportunamente ridotti (captopril non più di 12,5-25 mg al giorno, enalapril non più di 10 mg al giorno).

 

 

CARDIOPATIA TIREOTOSSICA

 

Come già detto, in questa cardiopatia l'efficacia della digitale è decisamente ridotta; la frequenza ventricolare, nei pazienti con fibrillazione atriale, si riduce assai meno che nelle altre forme di cardiopatia (stenosi mitralica, miocardiosclerosi).

Oltre al trattamento della tireotossicosi - che è imperativo - appare efficace l'associazione con reserpina (0,25 mg 4 volte al dì) o con farmaci betabloccanti (per es. propranololo 40 mg  4 volte al dì).  

 

 

 

Letture consigliate

Ferrari M.: Farmacologia Clinica Cardiovascolare. Ed. Piccin, Padova, 1995.

Hurst: Il cuore, arterie e vene. 8a Ed. Mc Graw Hill Libri Italia, Milano, 1995.

Neri Serneri G.C., Masotti G., Modesti P.A.: Heart failure. Ed. Scientific. Press, Firenze, 1995.

Robertson J.I.S., Nicholls M.G.: The Renin-Angiotesin System. Ed. Gower Medical Publishing, London, 1993.

Woodley M., Whelan A.: Manual ao Medical Therapeutics. Ed. Little Brown and Company, Boston 1995.

 

 

ACHILLE CESARE PESSINA

Direttore Cattedra di Medicina Interna,

Università di Padova

 

 

CESARE DAL PALU’

Direttore Scuola di Specializzazione

in Medicina Interna, Università di Padova

 

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